Boris Johnson non ha alcuna intenzione di dimettersi e prende tempo in ogni modo possibile, ma lo scandalo delle feste a Downing Street in piena pandemia rende la sua posizione sempre più fragile. Il «fallimento di leadership» è scritto nero su bianco nel rapporto stilato da Sue Gray, la funzionaria britannica a capo dell’inchiesta sulle feste, e pubblicato online dal governo. Nonostante i tentativi, in parte riusciti, di ritardare la piena pubblicazione della sua indagine, Gray ha comunque trasmesso le sue conclusioni; e sono dure. Ma i giudizi che più preoccupano Johnson sono quelli dei suoi compagni di partito in parlamento: se almeno 54 fra loro formalizzano via lettera che intendono sfiduciarlo, la sua leadership è a un passo dal tracollo. E questo lunedì pomeriggio in aula proprio dai conservatori sono arrivate parole aspre, a cominciare dalla ex premier Theresa May, che è stata spodestata da Johnson e ora va alla resa dei conti: dal rapporto è evidente «che il premier non ha rispettato le regole che ha imposto. Dunque o non ha capito le sue stesse regole, o ha pensato che il governo potesse ignorarle».

Il rapporto e i freni

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Dopo la serie di rivelazioni su feste e assembramenti a Downing Street nel pieno delle restrizioni anti Covid, Sue Gray ha portato avanti un’indagine su mandato del governo stesso. Il suo compito era raccogliere elementi, verificare natura e finalità degli incontri. Formalmente il premier non ha mai impedito la pubblicazione del rapporto, ma a limitarla fortemente è intervenuta la polizia metropolitana. Dopo aver ignorato per mesi il caso delle feste a Downing Street nonostante la sede di governo in teoria sia controllata, quando ormai il lavoro di Gray era arrivato quasi a conclusione, Scotland Yard ne ha inibito la pubblicazione totale in ragione di un’indagine parallela avviata dalla polizia stessa.

A capo della polizia c’è Cressida Dick, figura controversa: il modo in cui la polizia ha gestito l’episodio dell’omicidio di Sarah Everard, la ragazza londinese rapita e uccisa nel 2021 mentre tornava a casa, è solo uno dei casi che le sono valsi critiche. Ma il premier le ha sempre confermato la fiducia. Il governo Johnson ha anche portato avanti il «police bill» per rafforzare i poteri repressivi della polizia.

Questo lunedì pomeriggio il premier in parlamento si è fatto scudo con i deputati che chiedevano conto delle feste con questo argomento: «Aspettiamo gli esiti dell’indagine della polizia». Ma Johnson ha dovuto comunque prendere atto del rapporto Gray. La funzionaria, constatando di essere «estremamente limitata» su ciò che può dire in merito agli eventi, ha fatto pubblicare un dossier parziale ma con tanto di conclusioni.

«C’è una lezione da trarre, e il governo deve affrontarla subito: su questo non c’è indagine della polizia da attendere». Considerate le restrizioni, che il governo ha chiesto ai cittadini di rispettare, certi comportamenti sono «difficili da giustificare», scrive Gray. E aggiunge: «Almeno alcuni degli incontri esaminati rappresentano un serio fallimento nell’osservare non solo gli standard elevati che ci si aspetta da chi ha un ruolo di governo, ma pure quelli generali».

Il punto dei «sacrifici» compiuti dai britannici, che stridono con il comportamento dei governanti, è ribadito da Gray, e ha sollevato in questi mesi moti di indignazione sia tra i deputati che nella società civile: mentre a Downing Street ci si assembrava, c’era chi non ha potuto dare l’ultimo saluto ai suoi cari. Molte delle adunate oggetto di indagine «non avrebbero dovuto esser consentite, aver luogo e svilupparsi nel modo in cui è avvenuto».

Tra le conclusioni c’è la necessità di intervenire per controllare il consumo di alcol, perché «un suo eccessivo consumo è inappropriato»; tra le rivelazioni relative alle feste c’era pure un invito a «portarsi da bere». Gray fa un’analisi di quello che non esita a definire «un fallimento» e spiega che «negli ultimi anni il personale che lavora a Downing Street è molto aumentato, ma le strutture di comando non sono cambiate di conseguenza: sono frammentarie e questo rende più difficile la accountability», la possibilità quindi di individuare la catena di responsabilità e di chiedere conto dei passi falsi.

Il futuro di Johnson

FILE - Britain's Prime Minister Boris Johnson speaks during a media briefing on COVID-19, in Downing Street, London, Dec. 15, 2021. Fighting for his career, British Prime Minister Boris Johnson has one constant refrain: Wait for Sue Gray. Gray is a senior civil servant who may hold Johnson’s political future in her hands. She has the job of investigating allegations that the prime minister and his staff attended lockdown-flouting parties on government property. (Tolga Akmen/Pool via AP, File)

Lunedì pomeriggio Johnson ha commentato davanti ai parlamentari il rapporto. Ha esordito con le scuse ma poi ha rilanciato la sua azione di governo. «Per prima cosa voglio chiedere scusa per gli eventi e per come la cosa è stata gestita: so che tutto questo è avvenuto mentre i britannici soffrivano per i loro cari».

Il premier ha annunciato cambiamenti nella gestione del gabinetto, in risposta alle «lezioni» di Gray: vista la frammentazione che lei denuncia, Johnson ha promesso di «creare un ufficio del primo ministro», rivedere i codici di condotta e recepire le raccomandazioni. «I get it and I will fix it»: ho capito la lezione e metterò a posto le cose, ha promesso. Poi però ha concluso: «So qual è la questione e il punto è se questo governo possa ancora meritare fiducia riguardo alla sua capacità di governo, e io dico di sì: abbiamo detto che avremmo portato a casa Brexit e l’abbiamo fatto». Per il leader laburista Keir Starmer il premier dovrebbe invece dimettersi ed è «un uomo senza alcun pudore». Ma anche dal fronte conservatore arrivano critiche e segni di sfiducia.

«Non ho più fiducia in lei», sono le parole del tory Andrew Mitchell; e come lui, altri. Boris Johnson ha invitato gli scettici ad aspettare l’indagine della polizia e ha esibito la stessa spavalderia con cui nel 2019 in campagna elettorale saliva a bordo di una ruspa al grido di “Get Brexit done”. Stavolta aggiunge lo slogan: «Unirò l’occidente contro Vladimir Putin!». Ma chissà quanto tempo a bordo gli concederanno ancora i conservatori.

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