Con la dichiarazione congiunta della premier Sanna Marin e del presidente Sauli Niinisto, la Finlandia ha formalizzato la sua intenzione di aderire alla Nato. Sei mesi fa un annuncio del genere avrebbe scatenato un terremoto politico globale e il vero rischio di un’escalation militare, perché ritenuta ingiustificata.

Ma alla luce dell’aggressione russa all’Ucraina, paese fino a febbraio neutrale, gli scandinavi hanno realizzato che la neutralità non garantisce più la loro indipendenza. L’architettura di sicurezza europea è fondata su principi sanciti ad Helsinki nel 1975, luogo della conferenza che diede vita all’Osce, ma il regime di Putin vuole sostituire il modello basato sul diritto internazionale per risolvere le controversie con uno basato sulla violenza e la sopraffazione. L’adesione alla Nato pare dunque agli scandinavi una strada obbligata.

Una strana neutralità

La Norvegia è un membro fondatore dell’Alleanza atlantica e ne esprime il segretario generale con un mandato eccezionalmente prorogato, l’ex premier laburista Jens Stoltenberg, ma non fa parte dell’Unione europea. Mentre la Danimarca aderisce a entrambe le organizzazioni e il primo giugno terrà un referendum per abolire la clausola opt-out della Difesa Ue, arrivando alla piena integrazione euro-atlantica.

Ha suscitato tanto clamore e polemica in Italia l’accordo tra Londra, Stoccolma ed Helsinki per garantire una protezione militare britannica nella fase di transizione, tra la richiesta di adesione e l’effettivo ingresso dei due paesi nella Nato.

Premesso che la Russia non avrebbe le forze per un attacco convenzionale contro la Finlandia (con quali truppe e per quali obiettivi strategici?), vale la pena ricordare che la neutralità attiva di quel paese è da tempo evoluta con l’ingresso nell’Unione europea, che all’articolo 42 del suo trattato prevede una clausola di difesa reciproca da parte degli stati membri.

Perciò, se per ipotesi Mosca decidesse di aggredire Finlandia e Svezia prima dell’ammissione e quindi ancora prive della protezione dell’articolo 5 sulla mutua difesa, l’Unione Europea sarebbe comunque tenuta a difenderle. Con la Brexit, l’unica potenza nucleare dell’Ue resta la Francia, che con la sua “force de frappe” ha una capacità di deterrenza nucleare totalmente autonoma.

I contrari

Tra i membri della Nato, per il momento hanno sollevato obiezioni all’allargamento solo il presidente croato Zoran Milanović e quello turco Recep Tayyip Erdogan. La posizione del capo di stato di Zagabria non discende tanto da un’analisi strategica dei rapporti con la Russia, quanto da un calcolo politico tutto balcanico.

Milanović vuole infatti che la comunità internazionale faccia pressione sulla Bosnia affinché venga cambiata la legge elettorale prima del voto di ottobre, per tutelare i diritti dei croati locali. Tuttavia, il governo di centrodestra guidato da Andrej Plenković è favorevole all’ingresso degli scandinavi e avrà l’ultima parola.

Erdogan ha invece dichiarato che la Turchia non vede favorevolmente l’ingresso, specialmente della Svezia, perché Stoccolma è divenuta un rifugio per i terroristi del Pkk e della diaspora curda. Anche in questo caso non si tratta di un giudizio sul rischio di escalation con Mosca, bensì di un tentativo di mercanteggiare vantaggi con l’occidente, forniture militari e aiuti economici.

Resta l’incognita dell’Ungheria di Viktor Orbán, che ha mantenuto un’ambiguità di fondo per tutto il corso della guerra e potrebbe fungere da cavallo di Troia russo nella Nato in cambio di forniture energetiche.

I rischi

Sul medio-lungo termine, l’adesione alla Nato di Finlandia e Svezia comporta una serie di rischi e implicazioni strategiche che vale la pena considerare. Gli oltre 1.300 chilometri di confine tra Finlandia e Russia diventeranno territorio Nato. Mosca potrebbe utilizzare questo elemento per alimentare la sindrome dell’accerchiamento e dell’assedio, cardine della sua propaganda anti occidentale.

Se fino ad ora le esercitazioni nordiche dell’Alleanza si svolgevano in Norvegia o nei Baltici, è certo che la Finlandia diventerebbe terreno di grandi manovre che simulano un attacco russo e una risposta difensiva. È prevedibile anche una fortificazione della frontiera benché sia difficile sigillare un territorio tanto vasto da infiltrazioni.

La Carelia è proprio la regione di confine orientale in cui si svolse la Guerra d’Inverno nel 1939-40 e vide i finnici frenare l’avanzata sovietica. Esiste un minoritario movimento irredentista finlandese che vorrebbe la restituzione della Carelia da parte della Russia. Mentre in Finlandia vivono circa 30mila cittadini russi e altrettanti russofoni, soprattutto nelle città di confine e del sud, in un paese di circa cinque milioni di abitanti.

Non è da escludere che, oltre alle ritorsioni energetiche, la Russia impieghi rappresaglie di guerra ibrida per destabilizzare la Finlandia e impedire il suo ingresso nella Nato, come attentati e cyberattacchi per intimorire l’opinione pubblica. Ci provò nel 2016 in Montenegro con il colpo di Stato fallito e poi in Nord Macedonia.

Il controllo del mare

Un altro tema strategico posto dall’eventuale adesione di Svezia e Finlandia alla Nato è il controllo del Mar Baltico, la cui flotta russa sarebbe relegata nelle basi di Kaliningrad e San Pietroburgo. Quest’ultima città costituisce anche una rotta commerciale importante che potrebbe subire un blocco navale in caso di guerra, ragione che potrebbe spingere Mosca a spostare il baricentro sulla Flotta del Nord con base nell’oblast di Murmansk.

Proprio la partita dell’Artico potrebbe in futuro aumentare il rischio di escalation tra Nato e Russia, su una rotta commerciale che diventerà strategica, oltre che per l’esplorazione di nuove riserve energetiche.

Si tratta di rischi concreti di cui l’Europa deve tenere conto, mitigati dal fatto che dopo la guerra in Ucraina la Russia impiegherà anni per ricostruire una forza militare credibile e capace di un conflitto convenzionale. Le armi più pericolose di Mosca restano la guerra ibrida con l’inquinamento della democrazia e la minaccia nucleare.

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