La guerra in Ucraina ha avuto un impatto negativo sul continente africano, che ha dovuto fare i conti con l’aumento del prezzo del cibo e con l’aggravarsi dell’insicurezza alimentare a causa dell’interruzione delle linee di approvvigionamento del grano, ma per alcuni governi il conflitto rappresenta un’importante occasione di guadagno. La rottura dei rapporti diplomatici con la Russia e la necessità di ridurre nel più breve tempo possibile la propria dipendenza da Mosca hanno diretto lo sguardo dell’Europa verso i mercati energetici dell’Africa, riportando l’attenzione anche su progetti ormai dimenticati. Tra questi spicca il Trans-Saharan Gas Pipeline, il gasdotto che, una volta realizzato, dovrebbe portare il gas liquefatto prodotto dalla Nigeria fino in Sicilia passando per Niger e Algeria.

Il progetto, dal valore stimato di 13 miliardi di dollari, sarebbe in grado di trasportare fino a 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno nel paese nordafricano e da lì in Italia attraverso il gasdotto Trans-mediterraneo.

Del Trans-Saharan Gas Pipeline si è parlato per la prima volta 40 anni fa, anche se la prima firma di un memorandum tra i paesi interessati dal progetto risale al 2009, ma le controversie politiche e l’instabilità della regione per cui dovrebbe passare il gasdotto ne hanno sempre ritardato la realizzazione.

Con la guerra in Ucraina però il progetto ha migliori possibilità di riuscita. L’Unione europea ha mostrato già a febbraio il proprio interesse verso il gas liquefatto della Nigeria, attualmente venduto quasi esclusivamente alla Cina, mentre a fine luglio è arrivata la firma di un nuovo memorandum tra Nigeria, Niger e Algeria per la realizzazione del gasdotto trans-sahariano.

Il settore militare

L’aumento delle vendite di gas liquefatto all’Europa permetterebbe ai paesi coinvolti nel progetto di incrementare i propri guadagni, ma anche di rafforzare la propria posizione geopolitica, attirando l’attenzione dei maggiori player regionali e internazionali, e ottenendo così dei vantaggi anche in altri settori. Come ad esempio quello militare. Proprio quest’ultimo ambito è al centro della competizione tra Stati Uniti, Cina e Russia in Nigeria, alimentata ancora di più dalla guerra in Ucraina.

Lo scoppio del conflitto e l’imposizione delle sanzioni occidentali contro Mosca hanno ridotto le capacità russe di tenere fede agli accordi presi sul piano militare con i propri partner, consentendo ad altri attori di inserirsi in quei mercati fino a poco fa dominati dalla Federazione.

Tra questi rientra anche quello della Nigeria, che negli anni ha importato ingenti quantità di materiale militare dalla Russia, pur rivolgendosi contemporaneamente, ma in misura minore, anche agli Usa e alla Cina. La rottura delle linee di approvvigionamento militare russe è quindi un’occasione da non perdere per Washington e Pechino, interessate a rafforzare i rapporti con Abuja.

È in quest’ottica che va letta la decisione degli Usa di approvare ad aprile la vendita per un valore di un miliardo di dollari di 12 elicotteri da combattimento AH-1Z Cobra alla Nigeria, superando così il veto inizialmente imposto dal Senato a causa dei timori sul rispetto dei diritti umani nel paese e sull’uso eccessivo della forza da parte delle forze armate contro i civili. Timori ritenuti però secondari rispetto a un’ulteriore espansione dell’influenza cinese in Nigeria nel settore militare, oltre che in quello economico.

Russia, Cina e Turchia

Foto AP

Il paese da cui la Nigeria importa il maggior numero di prodotti bellici è da sempre la Russia, sulla base di una cooperazione militare che va avanti dai tempi dell’Urss e che è stata rinnovata l’ultima volta nel 2021. Con l’invasione dell’Ucraina, però, Mosca non è più in grado di fornire assistenza né di ammodernare gli armamenti venduti in precedenza alle forze armate nigeriane, con ricadute negative in primis sull’aeronautica, che utilizza principalmente mezzi e tecnologia russa.

Il vuoto lasciato dalla Federazione sarà in parte compensato dall’acquisto dei Cobra americani, ma la Cina non starà a guardare. Negli ultimi tre anni Pechino ha aumentato la propria presenza nel mercato della difesa nigeriano, vendendo ad Abuja veicoli corazzati, carri armati ei droni Wing Loong II, simili ai Reaper MQ-9 americani ma molto meno costosi (e pertanto meno efficienti).

I costi contenuti e la mancanza di interesse verso il rispetto dei diritti umani nei paesi acquirenti sono da sempre i punti di forza di Pechino, ma la Cina deve fare i conti anche con l’espansione della Turchia, soprattutto nel settore dei velivoli senza pilota.

Anche Ankara infatti è pronta a trarre vantaggio dalle difficoltà della Russia, così da rafforzare la propria presenza in Africa e in particolare in Nigeria, paese con cui ha da poco siglato un accoro bilaterale nel settore della difesa e che è già suo sesto partner commerciale nel continente africano.

Solo alcuni giorni fa il governo nigeriano ha finalizzato l’acquisto di sei elicotteri d’attacco T-129, realizzati dalla Turkish Aerospace Industries (Tai) su licenza della Leonardo e che dovrebbero essere impiegati nelle operazioni anti terrorismo. Sempre la Turchia ha anche venduto ad Abuja, nel 2021, due pattugliatori offshore, attrezzati con cannoni prodotti dall’italiana Leonardo, per controllare il Golfo di Guinea. I due paesi inoltre sono da tempo in trattativa per la compravendita dei droni Bayraktar TB2 di produzione turca, già parte dell’arsenale di diversi eserciti africani.

Gas e armi

L’eventuale realizzazione del gasdotto trans-sahariano avrà delle conseguenze anche sul piano militare. Dato l’alto livello di insicurezza della regione che l’infrastruttura dovrebbe attraversare a causa della presenza tanto gruppi jihadisti quanto di criminali locali, la Nigeria dovrebbe aumentare le proprie capacità militari per garantire il corretto funzionamento del gasdotto.

Il che vuol dire destinare sempre maggiori fondi, ottenibili anche grazie alla vendita stessa di gas liquefatto all’Europa, all’acquisto di armamenti e all’addestramento dei propri soldati, a tutto vantaggio di paesi terzi. Un dettaglio che non sfugge di certo a Stati Uniti, Cina e Turchia, interessati in diverso modo a espandere la propria influenza in un paese che potrebbe presto assumere un ruolo di maggiore rilievo nello scacchiere internazionale.

© Riproduzione riservata