Le parole del premier israeliano Benjamin Netanyahu pronunciate in un evento tenuto a Gerusalemme rientrano perfettamente nell’epoca della post-verità in cui viviamo.

Nonostante inchieste giornalistiche, immagini verificate e dichiarazioni di ufficiali militari che in anonimo stanno raccontando attraverso i quotidiani israeliani l’orrore della carestia imposta a Gaza, per il premier nella Striscia «non c’è fame».

«Abbiamo consentito l’arrivo di aiuti umanitari fin dall’inizio della guerra. Altrimenti, non ci sarebbero abitanti a Gaza», ha detto Netanyahu accusando Hamas di attuare un «capovolgimento della verità». Ma ieri anche il suo alleato più fedele, Donald Trump, ha ammesso le responsabilità di Israele nelle morti innocenti per carestia. «C’è una fame vera a Gaza, non si può fingere», ha detto il presidente degli Stati Uniti.

«Israele ha una responsabilità significativa», ha aggiunto prima di annunciare che nella Striscia saranno allestiti «centri di distribuzione di alimenti con gente molto perbene». L’ingresso sarà libero, senza recinzioni. Resta da capire come verranno tradotte in concreto le sue parole. Ma per il momento le dichiarazioni di Trump decretano il fallimento – già annunciato – del piano umanitario varato da Tel Aviv e Washington che ha portato alla privatizzazione e alla militarizzazione degli aiuti attraverso la Gaza humanitarian foundation (Ghf). Un piano che ha causato più di mille morti e 4mila feriti.

Dati alla mano

Se non bastasse l’ammissione pubblica di Trump bisogna guardare ai dati delle calorie immesse nella Striscia in questi ultimi mesi. Il nuovo piano di aiuti umanitari è entrato in vigore a metà maggio, in un momento in cui a Gaza vigeva un blocco totale da oltre 80 giorni. Per recuperare dall’assedio bisognava garantire l’ingresso di migliaia di camion e così non è stato.

Sono entrati una manciata di tir mentre la Ghf iniziava la distribuzione nei suoi quattro hub.

La fondazione privata, incaricata di somministrare gli aiuti, ha annunciato che i suoi pacchi alimentari sono in grado di fornire a ciascun palestinese 1750 kcal giornaliere. Un numero deficitario se si considera che: non tutti i civili riescono a ottenere gli aiuti (spesso ci si arriva percorrendo chilometri a piedi e sotto un clima rovente, quindi complicato per donne, anziani, bambini e feriti); dopo un lungo periodo di carestia le quantità immesse dalla Ghf sono insufficienti (ammesso che tutti riescono a prendere i pacchi).

Ad ammetterlo è lo stesso ministero della Difesa israeliano che durante il blocco imposto a Gaza nel 2010 aveva calcolato il fabbisogno giornaliero nella Striscia in almeno 2.200 kcal. Ben 600 al di sopra di quelli somministrate dalla Ghf. Se si aggiunge lo scenario di guerra e le mattanze nei centri di distribuzione appare evidente come la strategia politica del governo israeliano sia quella di tenere sotto controllo la popolazione attraverso la fame.

Comunità internazionale

I leader internazionali hanno aspettato fino all’ultimo, distratti anche un po’ dall’operazione militare israeliana contro l’Iran, nella speranza che le trattative a Doha avrebbero portato a una tregua con Hamas. Ma con i negoziati falliti, primi ministri e cancellieri stanno correndo ai ripari.

Ieri il premier britannico Keir Starmer si è detto «inorridito» dalle immagini provenienti dalla Striscia e ha provato ad esercitare pressioni nei confronti di Trump durante il loro incontro in Scozia. Egitto e Qatar stanno lavorando a corridoi umanitari per salvare i civili.

Ma le critiche contro Netanyahu arrivando anche sul fronte interno. Cinque rettori di università israeliane hanno chiesto al premier di «risolvere l’orribile problema della fame a Gaza». Due ong israeliane per i diritti umani, B'Tselem e Physicians for Human Rights, hanno pubblicato un rapporto in cui accusano Israele di genocidio. In una nota le ong dicono «che Israele sta intraprendendo un’azione coordinata e deliberata per distruggere la società palestinese nella Striscia di Gaza. In altre parole: Israele sta commettendo un genocidio contro i palestinesi nella Striscia di Gaza». La responsabilità – si legge – ricade su Israele, ma anche sulla comunità internazionale.

Resta incerto il destino degli attivisti della Freedom Flotilla intercettati dalle autorità israeliane mentre portavano aiuti umanitari via mare a Gaza. Quattro di loro hanno deciso di accettare l’espulsione e fare ritorno nei loro paesi d’origine, tra cui l’italiano Antonio Mazzeo.

Gli altri 17 hanno rifiutato e iniziato uno sciopero della fame in attesa di comparire in tribunale. Impuniti, per ora, i coloni che da mesi compiono raid contro i palestinesi. Le ultime violenze si sono verificate a Taibeh, l’unico villaggio palestinese interamente cristiano. Raid che ha suscitato l’ira del ministro degli Esteri Antonio Tajani.

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