L’operazione militare volta alla «completa occupazione» di Gaza City è iniziata. I soldati israeliani hanno conquistato in poco tempo la periferia della città. È solo l’inizio della nuova invasione, e mentre avanzavano i tank israeliani, migliaia di gazawi si sono rimessi in marcia verso la costa e verso sud caricando carretti di fortuna con i pochi beni a disposizione. Le immagini provenienti dalla Striscia non sono nuove rispetto a quelle viste negli ultimi 23 mesi, la popolazione civile è stata sfollata da nord a sud, da est a ovest centinaia di volte. In queste ore stiamo assistendo a un altro spostamento forzato con preavvisi di poco tempo e senza reali alternative per trovare un rifugio. Non tutti sono intenzionati a lasciare case e tende dato che, come i civili ripetono da mesi, «nessun posto è al sicuro a Gaza». A evacuare sono anche le Ong umanitarie e i medici presenti nel nord della Striscia dopo l’ordine arrivato dall’Idf nelle ultime ore.

Insomma, non c’è trattativa che tenga. Se da una parte il premier Benjamin Netanyahu ha dato ordine di eseguire «negoziati immediati per la liberazione di tutti gli ostaggi», dall’altra ha confermato di aver approvato «i piani dell’Idf per la conquista di Gaza e la sconfitta di Hamas». L’obiettivo è arrivare alla fine della guerra «secondo condizioni accettabili per Israele». Non è chiaro quali siano queste condizioni «accettabili», ciò che è chiaro, per ora, è che l’offensiva è in corso nonostante Hamas abbia accettato l’accordo per la tregua mediato dall’Egitto e dal Qatar. La bozza modellata sulla proposta degli alleati statunitensi, prevede il rilascio graduale degli ostaggi, l’ingresso degli aiuti umanitari e un cessate il fuoco di 60 giorni.

Per venerdì 22 è attesa la risposta di Netanyahu, ma l’accelerazione delle operazioni militari per prendere il controllo di Gaza City fa pensare che non sia affatto scontato raggiungere un accordo nel breve termine. E questo nonostante i familiari degli ostaggi abbiano chiesto, per l’ennesima volta, di accettare la tregua. Il premier ha spiegato a chiare le lettere che l’occupazione ci sarà comunque, anche in presenza di un accordo di tregua: «Lo faremo comunque, non c’è dubbio che Hamas non rimarrà a Gaza. Ci stiamo avvicinando alla fine della guerra», ha detto a Sky News. E la guerra, secondo un’inchiesta del Guardian, della testata israeliano-palestinese +972 Magazine ha finora causato la morte di 5 civili ogni 6 palestinesi uccisi. Immediata la risposta dell’Idf: «I numeri nell’articolo non sono corretti e non riflettono i dati presenti nei nostri sistemi».

E intanto, mentre si attende la risposta diplomatica, è iniziato l’esodo della popolazione verso quel circa 14 per cento di territorio rimasto fuori da ordini di evacuazione e fuori dal controllo dell’Idf. Quasi un milione di persone deve capire come sopravvivere mentre i bombardamenti si intensificano in tutto il territorio.

«È fondamentale raggiungere un cessate il fuoco a Gaza e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi, ed evitare le morti e le distruzioni di massa che un’operazione militare contro Gaza causerebbe», ha detto il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che ha condannato l’approvazione da parte di Israele del nuovo insediamento illegale di 3400 abitazioni che dividerà in due la Cisgiordania.

Dichiarazioni di condanna anche da parte della premier Giorgia Meloni. «Tale decisione è contraria al diritto internazionale e rischia di compromettere definitivamente la soluzione dei due Stati», si legge in una nota di Palazzo Chigi, dove si esprime la «preoccupazione» alla luce della nuova operazione Idf, che rappresenta «un’ulteriore escalation». L’ok ai nuovi insediamenti ha suscitato anche l’ira dell’Arabia Saudita – finora ambigua nei confronti di Tel Aviv – che ha accusato Israele di genocidio. «L'inizio da parte di Israele dell'espansione della costruzione di insediamenti attorno a Gerusalemme occupata e l'espansione delle sue operazioni e aggressioni» sono «crimini di genocidio contro civili indifesi a Gaza». Le dichiarazioni sono arrivate nel giorno in cui il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi ha incontrato il principe bin Salman.

«Approccio arrogante»

E anche dal Cairo sono arrivate pesante accuse contro lo Stato ebraico e la comunità internazionale. «L’approccio arrogante del potere e la persistente violazione del diritto internazionale al servizio di interessi politici ristretti o false convinzioni costituiscono un grave errore di calcolo derivante dal declino e dalla debolezza del sistema giudiziario internazionale», scrive il ministero degli Esteri. Sistema che viene colpito anche dagli Stati Uniti dopo le sanzioni imposte contro quattro giudici della Corte penale internazionale per le indagini sui crimini di guerra commessi da Israele. Per l’Ue sono «inaccettabili» e pericolose per l’indipendenza dell’organismo.

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