La risoluzione votata dall’associazione internazionale di esperti chiede di mettere fine ai «crimini contro l’umanità». Tel Aviv: «È vergognosa». Nuove tensioni tra i falchi dell’esecutivo e il capo dell’esercito sull’invasione di Gaza City
«Le politiche e le azioni di Israele a Gaza soddisfano la definizione legale di genocidio». Questa volta, le accuse contro lo Stato ebraico non provengono da ong o leader politici, ma dall’International association of genocide scholars (Iags).
Senza mezzi termini in una risoluzione approvata dall’86 per cento dei suoi membri (500), la più grande associazione internazionale di accademici del genocidio accusa il governo di Benjamin Netanyahu di compiere atti che rientrano nella definizione di genocidio «commessi con l’intenzione di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso».
In tre pagine di documento i giuristi chiedono a Israele di «porre fine immediatamente a tutti gli atti che costituiscono genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità contro i palestinesi di Gaza, compresi gli attacchi deliberati e l'uccisione di civili, inclusi i bambini».
La Iags, inoltre, accusa l’Idf di sfollare forzatamente, affamare e privare la popolazione civile degli aiuti umanitari. Nulla di nuovo rispetto a quanto più volte denunciato dalle organizzazioni delle Nazioni Unite e da inchieste giornalistiche realizzate sul campo.
Immediata la reazione di Tel Aviv. Il ministero degli Esteri ha bollato la risoluzione come «vergognosa». «È un imbarazzo per la professione legale e per qualsiasi standard accademico», ha scritto in una nota. «Si basa interamente sulla campagna di menzogne di Hamas e sul riciclaggio di tali menzogne da parte di altri».
Scontro interno
E mentre da più parti organizzazioni e istituzioni provano a esercitare pressioni su Israele, crescono le divisioni all’interno del gabinetto di guerra che si protraggono oramai da mesi.
Secondo quanto riportano i media ebraici nell’ultima riunione l’esecutivo si è diviso sul votare o meno un’intesa per raggiungere un accordo di tregua e il rilascio degli ostaggi.
L’incontro è stato caratterizzato da toni accesi ed è durato diverse ore, con il premier Benjamin Netanyahu che è tornato a ribadire di non voler raggiungere un accordo parziale perché il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sarebbe contrario.
I falchi dell’ultradestra Itamar Ben Gvir e Bezalel Smotrich hanno chiesto di mettere la proposta ai voti in modo tale da bocciarla una volta per tutte. Ma Netanyahu ha ribadito il suo diniego, dato che l’accordo «non è sul tavolo» e comunque «un’intesa parziale non è rilevante».
La proposta che Hamas ha accettato lo scorso 18 agosto prevede il rilascio di 10 ostaggi vivi e la restituzione di 18 ostaggi morti in più fasi. In cambio un cessate il fuoco di 60 giorni, il rilascio di circa mille detenuti palestinesi e l’entrata nella Striscia degli aiuti umanitari.
A porre il tema dell’accordo è stato il capo dell’Idf, Eyal Zamir, il quale ha avvertito che il piano per conquistare Gaza City (già in corso) trascinerà il paese in una vera e propria occupazione miltare.
L’Idf, quindi, ha espresso – ancora una volta – la sua contrarietà alla nuova offensiva. «State andando verso un governo militare», ha detto Zamir, «perché non ci sarà nessun altro organismo che possa assumersi la responsabilità della popolazione». Dalla parte del generale si sono schierati i ministri degli Esteri, Gideon Sa’ar, e dell’Intelligence Gila Gamliel.
A rispondere a tono è stato Ben-Gvir. «Invece di un governo militare, incoraggiate l'emigrazione volontaria». Ma finora, il piano non sta procedendo come previsto. Alcuni funzionari della sicurezza israeliana hanno detto a Channel 12 che l’evacuazione di Gaza City, al momento, va a rilento. Sarebbero solo 10mila le persone che si sono trasferite verso sud nelle ultime tre settimane, con un milione che è ancora nell’area interessata dai bombardamenti. A dimostrazione che nella Striscia non c’è più un posto sicuro, come dichiarano da tempo i gazawi che quindi non vogliono lasciare le proprie case per paura che vengano demolite, come accade in questi giorni nella periferia della città.
Il piano per Gaza
A oltre 24 ore dalla pubblicazione del piano Riviera per Gaza a cui starebbe pensando l’amministrazione Trump, non c’è stata ancora una condanna forte da parte dei paesi arabi che finora si sono opposti a qualsiasi soluzione che preveda lo sfollamento dei civili.
Ha risposto invece Hamas, tramite Bassem Naim, membro dell'ufficio politico del gruppo. «Gaza non è in vendita», ha detto ribadendo che la Striscia è «parte integrante della grande patria palestinese». E mentre nella Striscia proseguono i raid dell’Idf, ieri altri 42 gazawi uccisi, l’iniziativa della Global Sumud Flotilla per portare aiutare umanitari è ufficialmente partita. Cosa accadrà alla flotta una volta arrivata nelle acque israeliane è ancora ignoto. I presagi non sono dei migliori.
Il ministro Ben Gvir ha detto che gli attivisti saranno trattati come terroristi. Saranno arrestati e detenuti nelle prigioni israeliane di Ketziot e Damon, in condizioni rigorose riservate ai prigionieri di massima sicurezza. «Non permetteremo che chi sostiene il terrorismo viva nell'agiatezza. Dovranno affrontare le conseguenze delle loro azioni», ha aggiunto. «La Marina e le forze dell'ordine israeliane sono pienamente pronte ad affrontare qualsiasi minaccia alla sicurezza che si presenti».
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