Il Consiglio di sicurezza ha votato il ritiro della missione nel sud del Libano. Lo Stato ebraico: «Una buona notizia». Nella Striscia uccisi altri 52 palestinesi
Gaza City sta diventando un cumulo di cenere e macerie. Ogni giorno che passa i bombardamenti dell’esercito israeliano sono sempre più intensi. Ai danni dei missili e dei droni si sommano quelli causati da macchinari edili e robot carichi di bombe. Secondo la protezione civile della Striscia, l’Idf ha finora demolito più di 1500 case nel quartiere di Zeitoun dall’inizio di agosto. Nella parte meridionale della periferia non è rimasto più un edificio in piedi. Le demolizioni costanti e programmate hanno fatto evacuare circa l’80 per cento dei residenti.
E il sangue continua a scorrere mentre il mondo resta paralizzato di fronte a una guerra che da tempo ha smarrito il suo obiettivo. Nella giornata di giovedì sono state uccise almeno 52 persone, tra cui una donna e un bambino nel campo profughi di Bureji.
Allarmi inascoltati
«Gaza è a un punto di rottura», ha detto la direttrice del Programma alimentare mondiale (Pam), Cindy McCain. «Mezzo milione di persone qui a Gaza sta soffrendo la fame. Vi parlo da Deir al Balah, dove la carestia è attesa nelle prossime settimane se il cibo non raggiungerà le migliaia di famiglie che stanno soffrendo la fame», ha denunciato McCain. I mezzi per porre fine alla carestia ci sono. È assente la volontà politica da parte dello Stato ebraico di fermare il massacro.
Per Israele, però sono tutte menzogne, e combatte le organizzazioni internazionali con la propaganda mediatica. Come già accaduto nei mesi scorsi, è apparsa nella pagina Youtube del ministero degli Esteri uno spot per smentire la carestia in corso a Gaza. «Politici cinici e media di parte stanno mentendo, le immagini no», dice una voce nel video. «C’è cibo a Gaza, qualsiasi altra affermazione è una bugia».
Per il momento, quindi, Tel Aviv non abbandona il piano fallimentare escogitato insieme agli Stati Uniti con il quale è stata affidata alla Gaza humanitarian foundation (Ghf) la consegna di pacchi alimentari alla popolazione tra una strage di civili e l’altra. Come se non bastassero le morti innocenti, gli esperti nominati dal Consiglio Onu per i diritti umani hanno affermato in una dichiarazione congiunta di aver ricevuto segnalazioni secondo cui diverse persone, tra cui un bambino, sono state «sottoposte a sparizione forzata» dopo essersi recate nei siti di distribuzione degli aiuti a Rafah, nel sud di Gaza.
«Le segnalazioni di sparizioni forzate contro civili affamati in cerca del loro diritto fondamentale al cibo non sono solo scioccanti, ma equivalgono anche a tortura», dicono gli esperti Onu. «L'uso del cibo come strumento per operare sparizioni mirate e di massa deve cessare immediatamente», hanno aggiunto, accusando l’esercito di essere «direttamente coinvolto nelle sparizioni forzate di persone in cerca di aiuti».
Dalla Ghf smentiscono le accuse. «Operiamo in una zona di guerra dove permangono gravi accuse contro tutte le parti che operano al di fuori dei nostri siti. Ma all'interno delle strutture della Ghf non ci sono prove di sparizioni forzate».
La decisione dell’Onu
In una guerra dove fake news e distorsione della realtà sono all’ordine del giorno, la notizia dello smantellamento della missione Onu in Libano equivale alla perdita di occhi indipendenti che possano denunciare le violazioni del diritto internazionale in un’area di confine in perenne tensione, come hanno dimostrato i mesi scorsi. Le truppe di peacekeeping dell’Unifil – più volte prese di mira dall’esercito dello Stato ebraico e da Hezbollah – sono una garanzia di sicurezza, soprattutto per la popolazione civile. Tel Aviv e Washington chiedevano da tempo di non rinnovare il mandato della missione, ma al Consiglio di sicurezza gli Stati Uniti hanno deciso di non apporre il proprio veto e di votare il documento redatto dalla delegazione francese. Il compromesso è stato raggiunto.
L’obiettivo è far diventare il governo libanese «l’unico garante della sicurezza» nel sud del Libano, a nord della frontiera tracciata dall’Onu con Israele conosciuta come la Blue Line. Per questo motivo la missione sarà prorogata fino a dicembre 2026 e poi – a quarantotto anni dalla sua istituzione – inizierà un graduale ritiro lungo un anno. Cosa accadrà rischia di essere prevedibile. Non è un caso se al termine del voto c’è stata l’esultanza dell’ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon. «Per una volta, abbiamo una buona notizia dall'Onu», ha detto Danon. Il diplomatico ha accusato la missione Onu di aver fallito nel prevenire l’avanzata di Hezbollah: «L’Unifil non è riuscita a impedire al gruppo di prendere il controllo dell'area».
La soluzione due popoli due stati è sempre più un miraggio. Alla Farnesina il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, ha incontrato il suo omologo saudita, Principe Faisal Bin Farhan al Saud. In una dichiarazione congiunta entrambi hanno chiesto il rilascio degli ostaggi, l’accesso degli aiuti umanitari a Gaza e hanno condannato qualsiasi azione unilaterale o violenta in Cisgiordania che comprometta la soluzione dei due Stati.
Una soluzione già compromessa da tempo e rimasta carta straccia. «Non ci sarà uno Stato palestinese», ha ribadito il capo della diplomazia israeliana dopo il suo incontro a Washington con Marco Rubio.
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