Domani ha fatto parte della carovana italiana composta da deputati, eurodeputati, ong e giornalisti giunta al confine tra l’Egitto e la Striscia per documentare la crisi umanitaria e il blocco degli aiuti da parte dell’esercito israeliano. Lunga la lista dei beni non ammessi, mentre il piano di Netanyahu prevede la militarizzazione e la privatizzazione degli aiuti. Nel frattempo, due milioni di persone sono malnutrite e si contano già 29 gazawi morti di inedia
A Gaza l'esercito israeliano sta usando la fame come un'arma di guerra. Dal 2 marzo al 19 maggio nella Striscia non è entrato alcun aiuto umanitario. Durante la tregua, invece, Israele ha autorizzato l’ingresso di circa 600 tir al giorno. Il risultato è che due milioni di persone sono malnutrite e si contano già 29 gazawi morti di inedia: sono principalmente anziani e bambini.
Dopo diverse pressioni internazionali, Israele ha ammesso dentro Gaza un centinaio di tir attraverso il valico di Kerem Shalom. Troppo pochi per sfamare l’intera popolazione. Così, fuori dai forni, è iniziata la ressa per il pane.
Il nostro viaggio a rafah
Siamo stati al valico di Rafah, l’ultimo punto di frontiera tra l’Egitto e la Striscia, insieme alla carovana italiana composta da deputati, eurodeputati, ong e giornalisti per documentare la crisi umanitaria e il blocco degli aiuti da parte dell’esercito israeliano.
La carovana è arrivata fin qui per chiedere, tra le altre cose, la fine dell'occupazione e dell'impunità per i crimini internazionali commessi, il cessate il fuoco, l'ingresso degli aiuti e l'embargo alla vendita di armi allo stato ebraico. L'obiettivo era anche quello di entrare a Gaza, «ma quel cancello è rimasto sbarrato».
Qui abbiamo visitato anche i due grandi magazzini della Croce rossa egiziana vicino al confine.
Il primo, di 30mila metri quadri è stracolmo, Il secondo, grande quasi il doppio, è in fase di ampliamento. A pochi minuti di distanza c'è l'hub di stoccaggio dove ci sono tutti i pallet rifiutati. Le regole d'ingaggio dell'esercito israeliano sono rigidissime. Lofty S. Gheit, head of operation and strategic communication della Croce Rossa egiziana, si prende diversi minuti per elencarle tutte. Nel tendone dei pacchi rigettati ci sono sedie a rotelle e stampelle. «Respinte perché c'è il ferro», spiega. I sacchi a pelo, invece, sono stati rispediti al mittente perché di colore verde militare. Un kit di giochi per bambini che contiene pupazzi e palloni non può entrare perché il box che li contiene «non andava bene».
In quei magazzini dunque ci sono tonnellate di beni che aspettano solo di essere consegnati: cibo, acqua, medicine, vaccini e beni essenziali per la vita di tutti i giorni.
L'inventario è grande: ci sono bombole di ossigeno, generatori diesel, torce alimentate da pannelli solari, ruote di automobili e medicinali. Tanti medicinali. Delle unità refrigeranti custodiscono vaccini, insulina e altri farmaci essenziali per patologie comuni. Servono per conservarli in attesa dell'usura del tempo. «A volte qualcuno osserva che la varietà di materiali rifiutati non è tanta. Ma sono quelli più essenziali per portare a termine il nostro lavoro», dice S. Gheit. «Siamo pronti a inviare tutto, le porte dell'Egitto sono aperte, quelle dell'altro lato no».
Le accuse di bibi
Il cibo sarà distribuito all’interno di hub recintati, la cui sicurezza sarà garantita da contractors privati. Questo piano è stato fortemente criticato dalle Nazioni unite. Diverse organizzazioni internazionali temono che una volta dentro gli hub, i palestinesi sfollati non ne usciranno più.
Il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha anche accusato Hamas di distorcere gli aiuti trattenendone gran parte e vendendo il resto a prezzi esorbitanti. Di queste accuse, però, non ci sono prove certe. L’Onu e le sue agenzie hanno più volte illustrato gli standard seguiti per la consegna degli aiuti, un modello capillare con rigidi controlli e con poche possibilità che i carichi non giungano a destinazione.
Netanyahu ha annunciato che nei prossimi giorni sarà attuato il nuovo piano per la consegna dei viveri, che prevede la militarizzazione e la privatizzazione degli aiuti umanitari, affidando la gestione a entità private statunitensi e israeliane, come la Gaza Humanitarian Foundation.
Una decisione che mina i principi cardini del diritto umanitario, tra cui trasparenza e imparzialità. I palestinesi saranno raccolti in 3-5 hub già costruiti nella Striscia. La loro paura è di essere sfollati per sempre, mentre il resto di Gaza rischia di passare sotto il controllo militare di Israele.
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