Come una sorta di Serenissima moderna, gli Emirati Arabi Uniti allungano i propri tentacoli commerciali e militari allo stesso tempo. Piccolo territorio ma grandi spazi marittimi e tanta tecnologia oltre, ovviamente, ai soldi del petrolio. Ma tutto ciò non sarebbe stato sufficiente senza una testa pensante, un uomo con una visione a dirigere il paese: Mohamed bin Zayed al Nahyan, chiamato MBZ, terzo presidente degli Eau e sovrano di Abu Dhabi, la capitale politica dei sette emirati (Abu Dhabi, Ajman, Dubai, Fujaira, Ras al-Khaima, Sharja e Umm al-Qaywayn) che formano lo stato unitario.

Posti all’incrocio tra oceano Indiano, golfo Persico e la costa orientale africana, gli Emirati sono in una posizione privilegiata che ha permesso loro di aumentare in influenza sia verso l’Africa che nel Mediterraneo. L’idea di MBZ è stata semplice e visionaria: il paese doveva smettere di vivere della sola estrazione di petrolio e gas, per diversificare i propri investimenti e mutarsi in una potenza commerciale e logistica.

Inizialmente ciò è avvenuto grazie a mega progetti portuali che hanno consentito agli Emirati di accrescere la propria presenza e i propri profitti in tre continenti. Successivamente MBZ ha dato un contenuto geopolitico a tale svolta commerciale, utilizzando anche il volet militaire. La marina emiratina non è più soltanto mercantile e la partecipazione alla guerra in Yemen  ha mostrato l’accresciuta potenza della sua aeronautica militare e del suo esercito.

Opere infrastrutturali

Gli unici avversari che riescono a fermare l’espansione degli Emirati in Africa oggi sono i cinesi. L’ultimo progetto è un nuovo porto nel mar Rosso in collaborazione con il Sudan. Secondo Africa Report, gli EAU rappresentano il quarto investitore globale del continente sub sahariano dietro Cina, Europa e Stati Uniti. Dubai è divenuta negli anni un hub regionale di logistica e riesportazione per tutta l’Africa: ad esempio l’oro che vi viene estratto passa da lì per essere raffinato, lavorato e rivenduto.

Ciò vale non solo per i paesi africani affacciati sull’oceano indiano ma anche per quelli dell’Africa occidentale. Dal punto di vista della sicurezza il paese gioca un ruolo di stabilizzatore tra il mar Rosso e il Golfo: l’esercito emiratino aveva aperto una base sull’isola di Socotra, posta al crocevia tra i due mari, con accesso allo strategico stretto di Bab el-Mandeb dove transitano tutte le merci che si dirigono verso Suez e il Mediterraneo cioè verso l’Europa.

Somalia, Gibuti, Eritrea e Sudan sono cruciali per le ambizioni degli Emirati nella regione, sia dal punto di vista dei mercati che rappresentano ma soprattutto da quello geopolitico. Da almeno un paio di decenni sono diventati lo snodo per tutto ciò che va e viene dalla Somalia: i più ricchi uomini d’affari somali sono tutti basati a Dubai.

Gli emiratini stanno investendo in numerosi altri paesi africani seguendo i grandi piani economici già messi in opera dalle loro imprese di punta come il gigantesco Dubai Ports World, che ha in concessione tre porti kenioti (Mombasa, Lamu e Kisumu), o l’alleato-rivale Abu Dhabi Ports. In Kenya l’idea è di sviluppare trasporti e logistica fino al “porto secco” di Naivasha, sull’omonimo lago dentro la Rift Valley. Tanti progetti sono sul tavolo per collegare l’interno del continente (Uganda, Lago Vittoria ecc.) con la costa: anche la Cina è della partita così come numerose imprese occidentali.

Due gli obiettivi: lo sfruttamento del petrolio che è stato scoperto sul lago Vittoria (ma c’è la ferma opposizione di molta popolazione locale); la creazione di corridoi logistico-commerciali che uniscano i due oceani. La politica aggressiva di espansione degli Emirati già li vede protagonisti in Egitto, Algeria, Gibuti, Ruanda, Mozambico e Senegal.

Obiettivo Nigeria

Ora lo sguardo si volge anche verso la Nigeria. L’idea di costruire o riattivare grandi porti e/o linee di trasporto è legata alla creazione di zone di libero scambio e grandi progetti agricoli, di energia e di sicurezza. Le zone di libero scambio stanno ridiventando cruciali: quando la globalizzazione avanzava a passi da gigante, tutto il mondo era destinato a interconnettersi. Ora che, a causa della pandemia e delle conseguenze della guerra in Ucraina, sono in atto un reshoring generalizzato e l’accorciamento delle filiere, il modello delle zone di libero scambio torna utile come hub commerciale.

Sui progetti agricoli si conduce una battaglia senza esclusione di colpi perché l‘Africa resta l’ultimo contente con terreno arabile libero. Per ciò che concerne l’energia rinnovabile gli Emirati sono in lizza con le più grandi potenze grazie a un settore tecnologico molto avanzato.

Infine la sicurezza è forse il settore più in voga del momento vista l’instabilità globale, nel quale MBZ spinge il suo paese ad avere un ruolo significativo. In Africa la competizione è forte: oltre la Cina e all’occidente, ci sono la Turchia (oltre 40 ambasciate aperte in 10 anni), la stessa Arabia Saudita, (da sempre impegnata nel campo religioso ma ora con nuove ambizioni), il Qatar e anche Israele. Una delle cose che manca nel continente è il servizio di trasporto interno tra paesi, sia aereo che su gomma, per non parlare della quasi totale assenza di ferrovie interstatali.

Sono tutti settori dove gli Emirati vogliono implicarsi al pari dei loro concorrenti. Il contesto pare favorevole: dopo anni di tensione il riavvicinamento degli Emirati e dell’Arabia Saudita con la Turchia e il Qatar favorisce collaborazioni. Tra l’altro Ankara ha assolutamente bisogno di tutto il supporto finanziario possibile in un momento di svalutazione e iperinflazione. Gli accordi di Abramo sono un altro elemento di distensione che aumenta le possibilità di espansione economica: dall’agosto 2020 gli Emirati hanno aperto con Israele una strada innovativa che sta cambiando tutto l’assetto strategico del medio oriente, il cui baricentro si è spostato dal Cairo, Damasco o Baghdad verso Riad e la stessa Abu Dhabi.

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