Khartoum è una città enorme, di dieci milioni di abitanti. La guerra, iniziata poco più di una settimana fa, per ora si svolge al centro e attorno alla zona dell’aeroporto internazionale. Molti quartieri restano appesi a una strana calma sperando che i combattimenti non si avvicinino. Ma i servizi sono fermi: non c’è elettricità se non ogni tanto, manca l’acqua, i negozi non ricevono rifornimenti, non ci si può muovere, non arriva più nulla da fuori e chi cerca di fare la spesa rischia di vedersi tagliare la via del ritorno da improvvise interruzioni stradali.

Combattimenti feroci

I due schieramenti continuano a combattersi ferocemente. Mohamed Hamdan Dagalo, noto anche come "Hemedti", comandante delle forze di supporto rapido (Rsf), e suo fratello, vice comandante Abdel Rahim Dagalo, sono apparsi separatamente nella capitale sudanese sabato 22 febbraio, per dimostrare la loro presenza sul fronte degli scontri.

Diversi video li mostrano in tenuta da battaglia in punti diversi della città. È la risposta di Hemedti all’intervista rilasciata il giorno prima ad Al Arabiya dal presidente Abdel Fattah al-Burhan, comandante in capo delle Forze Armate Sudanesi (SAF), che aveva dichiarato che nessuno sapeva dove si trovasse il suo ex vice, nemmeno le sue truppe.

Al-Burhan è trincerato al Comando generale delle SAF a Khartoum attorno al quale la battaglia prosegue senza interruzioni. Si conferma che l'esercito sudanese ha preso sin dalle prime ore del conflitto il controllo della sede dell'RSF nella capitale.

La dinamica dei fatti rimane ancora incerta, ma sembra sempre più certo che ad attaccare per prime a Khartoum siano state le SAF, dopo che le RSF avevano fatto sfoggio di aggressività, accerchiando l’aeroporto di Merowe più a nord. In ogni caso, dimostrando di essere al fianco dei suoi uomini in pieno centro di Khartoum, Hemedti continua a sfidare al Burhan.

L’ex numero due della giunta sudanese aveva già rilasciato un’intervista ad al Arabiya, ribadendo di trovarsi nella capitale con le sue truppe per visitare i soldati feriti e uccisi, prima di aggiungere che «quello che ha detto al-Burhan sono fandonie a cui non risponderò». Probabilmente in seguito ha voluto dimostrare la propria presenza in video nel timore di essere smentito. Intanto i combattimenti proseguono strada per strada.

Per le SAF è difficile entrare nei dedali dei quartieri popolari dove si sono nascoste le RSF, con l’obiettivo di non offrire il fianco agli attacchi aerei. Per ora soltanto l’esercito regolare dispone di aviazione, anche se qualche osservatore si aspetta che le RSF possano presto disporre di droni.

Queste ultime sono comunque riuscite a occupare gli aeroporti di Khartoum e Nyala, mentre gli altri sono rimasti sotto il controllo delle SAF. Nel mezzo degli scontri le evacuazioni degli occidentali e degli altri paesi si svolgono con grandi difficoltà. Gli americani hanno evacuato il personale diplomatico con gli elicotteri ma restano gli altri connazionali.

Gli egiziani sono riusciti a far liberare una parte dei loro soldati arrestati dalle RSF, mentre i qatarini hanno denunciato un attacco al loro convoglio sulla via per Port Sudan. Un simile attacco è avvenuto ai francesi (coordinati con belgi e olandesi) che hanno dovuto interrompere temporaneamente i salvataggi. Si stanno coordinando le partenze da una base aerea militare un po' fuori Khartoum, concessa dalle SAF dopo molte insistenze, dove atterrano i voli (anche i nostri), anche perché l’aeroporto internazionale è zona di combattimenti tra le due parti. Sauditi, kuweitiani e giordani hanno portato a termine una prima fase di evacuazioni senza subire danni.

Per ora russi, coreani e canadesi non hanno iniziato le loro operazioni mentre domenica 23 aprile ha visto l’evacuazione di altri Stati tra cui l’Italia. Il nostro paese si è occupato di evacuare anche diverse autorità religiose oltre che cittadini di diverse nazionalità, inclusi alcuni africani. Il lavoro è stato svolto dall’unità di crisi del ministero degli esteri, dalla difesa e dai nostri militari della base di Gibuti. Si pone ora il problema dei tanti cittadini di paesi africani o che non sono in grado di evacuare i propri connazionali, come nel caso della Nigeria o delle Filippine.

Chi non ha altri mezzi si sta rivolgendo alle strutture delle Nazioni Unite, già sovraccariche e sotto stress a causa dei bisogni umanitari. Molti prendono da soli e loro rischio e pericolo la via di Kassala verso sud, con la speranza di trovare rifugio in Eritrea.

Altri preferiscono la strada per Port Sudan che per ora rimane abbastanza tranquillo, o del Ciad. Intanto la società civile sudanese cerca di contenere gli effetti negativi della guerra e di soccorrere i civili sudanesi rimasti senza protezione, né cibo, né elettricità e spesso anche senza acqua.

Yassir Arman, storico leader della corrente democratica del fronte popolare di liberazione del Sudan Nord, (SPLM-N) e figura di spicco delle Forze per la Libertà e il Cambiamento (FFC), ha lanciato un appello per un’ampia coalizione di partiti e associazioni a protezione dei civili e della democrazia in Sudan. Arman ha chiesto la creazione di un fronte civile unico che si mobiliti contro tutte le cause di divisione della società sudanese, siano esse geografiche, etniche, religiose, militari o culturali. "Dovremmo basare – ha dichiarato- la nostra unità sui valori e gli obiettivi della rivoluzione di dicembre che ha unito i sudanesi di tutto il Sudan" facendo riferimento alla cacciata del regime di al Bechir che vide la società civile protagonista. Le FFC accusano i paesi amici del Sudan di aver dato troppo retta ai due militari che ora si battono  tra loro, e di non aver sostenuto sufficientemente la parte civile del paese. Le FFC sono organizzate da tempo in comitati popolari di quartiere diffusi capillarmente in tutta la città: in questo modo hanno potuto resistere durante questi anni alla pressione dei militari delle SAF e dei miliziani RSF.

Il 70 per cento degli ospedali fuori uso

Ora si stanno organizzando per aiutare la popolazione, fornire medicine e cibo, mettere al sicuro chi fugge dai combattimenti. Hanno anche messo in piedi un sistema di informazioni su whattsup per avvisare in tempo reale la popolazione della situazione dei combattimenti, dei punti pericolosi in città e dei posti di blocco. L’elettricità va e viene ma questo servizio, anche se a singhiozzo, si sta dimostrando molto utile, soprattutto ora che polizia, pompieri e protezione civile sono scamparsi del tutto. Come è accaduto altre volte in situazioni del genere, gli stranieri vengono evacuati mentre i locali restano a soffrire le conseguenze di una guerra di cui non sono in alcun modo responsabili. Un po’ dovunque a Khartoum la gente organizza dei centri di salute improvvisati, visto che il 70 per cento degli ospedali è fuori uso o abbandonato.

Com’è noto invece l’ospedale di Emergency rimane operativo anche se a ritmo ridotto: per ora non è stato né attaccato e rimane rispettato da entrambi i contendenti, con oltre 40 italiani al suo interno. Volontari a piedi, in moto o in risciò a pedali si offrono per spostare le persone in difficoltà o per metterle al riparo. Alcuni più temerari utilizzano i minibus da trasporto, rischiando di essere immediatamente presi di mira dai combattenti che circolano continuamente sulle “tecniche” o su blindati. Durante questa settimana di scontri molti stranieri – anche occidentali – isolati e rimasti bloccati lontano dalle loro ambasciate, sono stati aiutati in questo modo a raggiungerle o a mettersi in salvo. Le violenze non si svolgono solo nella capitale ma anche in altre aree del paese causando lo spostamento di popolazioni in un quadro di grandi povertà. Ad aumentare il caos voci insistenti riportano che le RSF abbiano attaccato la prigione di Kober nella capitale, liberando molti prigionieri e forse anche l’ex presidente Omar al Bechir. Intanto Erdogan ha proposto la sua mediazione. 

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