Nel 2019 in Colombia sono stati distrutti quasi 100mila ettari di piante di coca, circa la metà dell’intera produzione nazionale. Se la guerra all’offerta di droga fosse efficace, come conseguenza sarebbero crollati la produzione di cocaina e il suo commercio; nel mondo i consumi si sarebbero ridotti e i prezzi esplosi. Ma l’economia della polvere bianca non risponde a una idea perversa delle leggi di mercato. Anzi, se ne fa beffe da mezzo secolo. Oggi si stima che in Colombia le coltivazioni siano stabilmente sopra i 200mila ettari, quindi l’intera quantità di piante estirpata in un anno è stata ricollocata in poco tempo.

Intatta anche la catena del business: lo scorso anno la produzione di cocaina pura è cresciuta dell’8 per cento, a 951 tonnellate, e i prezzi finali in Europa e negli Stati Uniti sono stabili, come da parecchi anni.

I prossimi dati ufficiali – a cura dell’Unodc, l’agenzia antidroga dell’Onu – ci diranno piuttosto quali sono stati gli effetti della pandemia.

Probabile nell’intero pianeta una riduzione dei consumi di sostanze “festaiole” (coca e droghe sintetiche varie) e un aumento di quella per eccellenza da divano, la marijuana. Ma il trend generale non dovrebbe essere cambiato.

Un campo di coca durante un'operazione di estirpazione manuale, a San Miguel, sul confine fra Colombia ed Ecuador (AP Photo/Fernando Vergara, File)

La sconfitta

Dopo aver raccontato la situazione in Brasile, la seconda puntata del nostro viaggio nella guerra perduta contro i narcos ci porta sull’asse Stati Uniti-Colombia, dove è in corso da decenni il confronto tra il primo paese consumatore al mondo e il maggior produttore. Dai tempi cinematografici di Pablo Escobar, tutto è cambiato ma nulla è davvero cambiato.

A quell’epoca la Colombia era il pusher del pianeta, grazie ai cartelli di Medellín e Cali che si occupavano di raffinazione e traffico, mentre la coltivazione delle piante era lasciata ai due paesi vicini, Perù e Bolivia. Oggi la prima parte della catena si è trasferita nella stessa Colombia, dove si coltiva il 70 per cento della coca; gli attori sul mercato sono molti di più, mentre i cartelli con il loro strascico di sangue si sono ingigantiti più prossimi alla destinazione della “roba”, vale a dire in Messico.

Invece non si è spostato di una virgola il paradigma della guerra alla droga, iniziata all’epoca della presidenza Nixon ma i cui contorni sono stati meglio definiti negli anni Ottanta di Ronald Reagan: i paesi consumatori vogliono colpire l’offerta, distruggere il prodotto, convincere i campesinos a fare altro, perché così pensano che la cocaina e le altre droghe spariranno dalle loro piazze.

Dal 1999, quando venne lanciato dalla presidenza Clinton il plan Colombia, gli Stati Uniti hanno iniettato invano 11 miliardi di dollari nella guerra ai narcos, che in realtà sono finiti quasi tutti in armi per combattere la guerriglia. Al congresso di Washington è recente la più clamorosa ammissione di sconfitta. Nel rapporto (dicembre 2020) della commissione bipartisan sul tema droghe si legge che il “Plan” è stato un fallimento totale. Negli ultimi vent’anni sono cresciuti produzione, traffico e consumi.

Non hanno funzionato né le fumigazioni con gli aerei, durate fino al 2015, né l’estirpazione a mano delle piantine da parte dei soldati colombiani che scendono sui campi in elicottero. I sequestri intercettano solo una piccola parte dell’export e lo scenario preoccupa, perché la crisi economica potrebbe far tornare indietro i coltivatori andini che erano stati incentivati economicamente a passare ad altri prodotti, come banane e avocados.

Aerei impegnati nelle fumigazioni (AP Photo/Fernando Vergara, File)

Danni ambientali

E poi la peggiore notizia per gli Stati Uniti: dice il rapporto del Congresso che in dieci anni sono morte 500mila persone per overdose, il numero più alto (71mila) nel 2019. La cocaina non è la principale responsabile, d’accordo, ma la sostanza non cambia. Le droghe sono un problema di salute pubblica, e il rapporto riconosce che la domanda traina l’offerta e non viceversa.

«Non solo non si ammettono i fallimenti del passato, ma adesso in Colombia abbiamo un governo che appoggia la repressione più tradizionale e vuole addirittura tornare indietro nel tempo», dice Catalina Gil Pinzon, esperta in politica di droghe e studiosa del processo di pace nel suo paese. Intenzione del presidente Ivan Duque è riprendere a spargere erbicidi sui campi di coca con gli aerei, le temute fumigaciones, che erano state sospese nel 2015.

Si tratta di una pratica nociva per l’ambiente e la salute di chi vive nelle campagne interessate, che venne dichiarata tale dall’Oms e il cui stop è stato determinato da una sentenza della Corte suprema colombiana. La sostanza che si utilizza, il glifosato, è un potente diserbante considerato cancerogeno. La Colombia è l’unico paese dove dal 1994 al 2015 è stato usato, mentre Perù e Bolivia si sono sempre rifiutati, limitandosi all’estirpazione manuale.

«Oltre ai rischi sanitari, il ritorno ai diserbanti è segnale che il nostro governo è tornato a narcotizzare tutta l’agenda politica. Tutto quel che conta è la coca – dice Gil – Siamo ancora nel mezzo di un accordo di pace molto complesso, dopo la resa delle Farc (la guerriglia marxista che ha combattuto il governo per oltre 60 anni, ndr), che prevedeva incentivi pubblici per sostituire le coltivazioni, poiché molti campesinos rifornivano i guerriglieri. Ma tutto è stato abbandonato a favore dell’opzione militare. Si torna alla guerra di un tempo».

Un membro delle forze speciali in un quartiere pericoloso di Bogota, in Colombia (Antonio Galante / VWPics via AP Images)

La polvere non è un lusso

E non ci sono segnali che possa funzionare. Tanto i campi colpiti con la chimica che quelli distrutti con il machete vengono sempre ripiantati da altre parti. La coca si spinge in regioni più impervie, nascosta sotto gli alberi.

Gli incas la consideravano una pianta magica, un dono degli dei, e avevano ragione: cresce in pochi posti al mondo, ma offre raccolti continui, non ha bisogno di cure particolari o di irrigazione. L’attacco dal cielo è invece una pratica estremamente cara.

Secondo uno studio si spendono tra i 70mila e i 100mila dollari per eliminare appena un ettaro, che può essere ripiantato da un’altra parte in una settimana. Per questo le curve di riduzione dei campi coltivati citate da chi canta vittoria (sia all’epoca degli aerei, sia oggi con le estirpazioni manuali) tornano sempre verso l’alto. Il conto è semplice.

Quando venne lanciato il Plan Colombia nel 1999, la Colombia aveva 160mila ettari coltivati; oggi, come si diceva, sono sopra i 200mila. Sono cambiate anche le tecniche, per cui con meno foglie si produce più pasta base. Come risultato, nonostante gli attacchi all’offerta, i prezzi finali della cocaina sono stabili da anni sulle piazze internazionali, e sono enormemente più bassi di quando tutta la guerra iniziò, nel secolo scorso, e la polvere bianca era un lusso per pochi.

Ivan Marulanda, un senatore del Partido verde colombiano, ha presentato di recente un progetto di legge per regolare produzione e commercio delle foglie di coca, al fine di stroncare il narcotraffico. «Con l’aria che tira le possibilità che venga approvato sono praticamente zero – dice Catalina Gil – Ma ciò non impedisce che si possa andare avanti in questa direzione. Perù e Bolivia hanno da tempo zone di coltivazione legale e un mercato per uso medicinale. Sono esperienze che stanno funzionando».

Uno studio comparativo tra i tre paesi produttori di coca ha dimostrato le differenze. In Colombia, dove tutto il mercato è illegale, i narcos comprano ai contadini 25 libbre di foglie a 18 dollari, mentre nel commercio legalizzato a Lima ce ne vogliono 50 e a La Paz ben 85. Significa che l’illegalità spinge la produzione e abbassa i prezzi, e non viceversa. E poi nella catena della coca-cocaina quel che resta ai coltivatori sono le briciole, meno del 10 per cento, mentre tutto il resto va al traffico.

I fautori di una linea alternativa in Colombia si augurano che il cambio politico a Washington e alcune esperienze di liberalizzazione negli stessi Usa possano cambiare il vento, o almeno scoraggiare Duque sulle fumigazioni. Se nella politica interna sulle droghe gli Stati Uniti stanno rivedendo le loro certezze, perché non dovrebbe succedere anche con la loro politica estera? Al momento le indicazioni del dipartimento di Stato all’ambasciata in Colombia sono a favore che si compia il processo di pace, quindi che si realizzino le promesse dei governi precedenti a favore dei campesinos e degli ex guerriglieri che hanno abbandonate le armi. Nessuno di questi progetti prevede il ritorno della guerra chimica.

© Riproduzione riservata