L’invasione dell’Ucraina ha sicuramente rivoluzionato il modo di fare la guerra moderna, la sua dottrina e strategia. In questo ha giocato un ruolo fondamentale la disponibilità degli armamenti, che hanno determinato un cambiamento netto non solo sul campo, ma anche nell’industria bellica. La guerra su larga scala ha messo a nudo i problemi di molti paesi europei, impreparati a un conflitto convenzionale di tali proporzioni, con quelli che sono stati definiti “eserciti bonsai”, pensati per operazioni fuori area o di peacekeeping, ma persino al Pentagono hanno cominciato a nutrire preoccupazioni sui propri arsenali.

Aiuti all’Ucraina

L’amministrazione Biden ha ottenuto l’approvazione del Congresso per assegnare 40 miliardi di aiuti all’Ucraina, dopo i 38 già stanziati in precedenza. Circa metà sono destinati al settore difesa, ma restano una cifra modesta (il 5,6 per cento) se comparati alla spesa militare complessiva statunitense, che ha superato i 740 miliardi nel 2022. C’è chi fa notare che gli Stati Uniti hanno già ottenuto un risultato strategico significativo: distruggere quasi metà della forza convenzionale schierata dalla Russia a inizio invasione investendo solo il 5 per cento della spesa.

La guerra ha comunque sfatato il mito delle forze armate russe, accuratamente coltivato dal ministro Shoigu nello scorso decennio. L’Ucraina è stata in grado di impartire a Mosca sonore sconfitte. Tra gli effetti collaterali dell’invasione, oltre all’adesione di Svezia e Finlandia alla Nato, c’è stata la determinazione di molti paesi a raggiungere o persino superare il 2 per cento del bilancio per la difesa.

Secondo il think tank tedesco Kiel Institute for the world economy, gli Stati Uniti, il Regno Unito e la Polonia sono rispettivamente i primi tre paesi che hanno donato più aiuto militare all’Ucraina in termini assoluti. Altri paesi l’hanno fatto in misura significativa in rapporto alla propria economia o alle risorse militari disponibili.

Secondo alcune stime, due terzi dei paesi Nato hanno consumato una parte significativa delle loro risorse per inviarle all’Ucraina, ma Francia, Germania, Italia e Paesi Bassi sono ancora in grado di fornire armi in quantità, se lo vorranno. Nel complesso, la Nato ha già donato armi per circa 40 miliardi di dollari, cifra pari alla spesa in Difesa dalla Francia.

Alcuni funzionari americani hanno avvertito del rischio di esaurire armi e munizioni cedibili a Kiev questo inverno. A settembre 2022 il Pentagono ha dichiarato di aver consegnato all’Ucraina 800mila munizioni per gli obici da 155mm, indispensabili per l’artiglieria. È vero che Ucraina e Russia stanno consumando munizioni a un ritmo senza precedenti dalla Seconda guerra mondiale. Per dare un’idea, in Afghanistan la Nato sparava in media 300 colpi di artiglieria al giorno, ma le forze ucraine ne sparano 6-7mila e i russi intorno ai 40-50mila al giorno. Gli Stati Uniti producono solo 15mila colpi di artiglieria al mese.

Nei primi mesi di guerra, è stato grazie ai paesi post-sovietici membri della Nato che avevano ancora a disposizione depositi che l’Ucraina ha potuto ricevere munizioni di calibri compatibili. Poi si è capito che era necessario passare ad armi con standard Nato per mantenere il ritmo rispetto agli attacchi russi. Per la difesa ucraina si è trattato di una rivoluzione, da mettere in pratica in poche settimane. Infatti, gli artiglieri e gli specialisti della difesa aerea si sono sottoposti ad addestramenti intensivi in Polonia, Germania, Regno Unito e persino oltre oceano, per imparare a usare i nuovi sistemi d’arma.

L’industria russa

Mosca ha sperimentato problemi analoghi. Molti si chiedono come possa pensare di vincere una corsa agli armamenti contro il blocco occidentale, che ha un prodotto interno lordo e una capacità di spesa immensamente superiore a quella precaria della Russia. Già durante il declino del potere sovietico, negli anni Ottanta, l’Urss ha sacrificato interi settori economici per tenere in piedi l’industria della difesa, con risultati catastrofici pochi anni dopo.

L’apparato industriale russo ha sofferto pesantemente per le sanzioni occidentali, che impediscono il rifornimento di materiali e componenti, compresi i microchip per la produzione di missili e altri sistemi d’arma. Il Cremlino non è in grado di compensare queste perdite tecnologiche nel breve termine e ha scelto la quantità sulla qualità, con scarsa efficacia e precisione. Nonostante ciò, le fabbriche faticano a produrre il volume necessario per gli arsenali balistici e si affidano a droni iraniani, o ad altre armi compatibili provenienti da paesi post-sovietici e dalla Corea del Nord.

In proposito, esperti indipendenti hanno dimostrato che i velivoli a pilotaggio remoto iraniani Shahed-136 sono altamente dipendenti da componenti fabbricate da oltre settanta aziende di tredici paesi diversi, in buona parte americane e anche europee. Un altro dato interessante messo in evidenza dall’intelligence militare britannica è che Mosca sta usando vettori balistici As-15 Kent da cui rimuove la testata nucleare per lanciarli come missili convenzionali, forse perché non ha quasi più a disposizione altri missili a lungo raggio.

Se proviamo ad analizzare il bilancio per la difesa russo del 2022, notiamo che è di 57 miliardi di dollari, a cui vanno aggiunti quasi altrettanti fondi destinati all’apparato repressivo di sicurezza interna (Rosgvardia, Fsb e altre agenzie). Da giugno, gli aggiornamenti alla spesa russa per la difesa e la sicurezza nazionale sono stati secretati, ma sappiamo che prima valevano circa 500 milioni di rubli al mese. La previsione di bilancio per il 2023 proposta a ottobre si attesta ben oltre i 57 miliardi di quest’anno, con un aumento stimato del 46 per cento.

Le numerose visite di esponenti del governo russo a fabbriche militari cercano di risolvere una serie di problemi alle linee di produzione. Per i mezzi pesanti la priorità è ricaduta su vecchi modelli di carro armato come il T-62 – a quanto pare ne verranno “modernizzati” 800 esemplari. La Russia non è neanche in grado di coprire, ad esempio, le perdite di elicotteri da combattimento Ka-52 subite in Ucraina, ne ha persi almeno ventisette ed è in grado di produrne massimo venti all’anno. Gli esperti fanno notare che, oltre alla mancanza di componenti tecnologiche, all’industria russa manca la manodopera specializzata per lavorare, situazione peggiorata dalla coscrizione in molte regioni.

La strategia di Mosca

Questa situazione si ripercuote sul campo di battaglia con la necessità di adeguare la strategia alle risorse disponibili. L’8 ottobre il Cremlino ha nominato quale nuovo comandante dell’invasione il generale Sergej Surovikin, che aveva già guidato le operazioni russe nella guerra civile siriana a fianco del regime di Bashar al Assad. La sua nomina è arrivata dopo le fallimentari offensive russe nel Donbass e verso Odessa, per passare a una campagna di bombardamenti simile a quella compiuta proprio in Siria, con feroci attacchi indiscriminati sulla popolazione civile e l’uso di armi chimiche proibite.

Infatti, nel mese di ottobre la Russia ha cominciato a colpire sistematicamente le infrastrutture per l’energia, le centrali termoelettriche e idroelettriche, che hanno causato blackout in tutto il paese, nonché nella vicina Moldavia, che dipende totalmente dall’Ucraina per l’elettricità ed è rimasta parimenti al buio. La compagnia ucraina per l’elettricità Ukrenergo ha dichiarato di aver perso il 30 per cento della capacità di produzione energetica a causa dei bombardamenti russi, lasciando senza corrente 6 milioni di persone. Nei giorni successivi molte delle linee sono state ripristinate e l’Unione europea ha annunciato un piano straordinario per fornire al paese migliaia di generatori da usare nelle città ma anche per le truppe. A questo si somma l’aiuto della Nato e di Svezia e Finlandia, che stanno fornendo uniformi invernali, tute termiche, sacchi a pelo militari e tende con cucine da campo.

Il generale Surovikin ha messo in pratica una vera campagna di terrorismo dal cielo contro i centri urbani per seminare il panico e fiaccare il morale avversario. L’obiettivo è quello di lasciare al gelo gli ucraini, in un inverno rigido, e fare pressione sul governo Zelensky per spingerlo a un negoziato. In Siria, Mosca aveva impiegato principalmente l’aeronautica, grande assente della guerra attuale, per sostenere gli sforzi del regime di Damasco e degli alleati iraniani nel riprendere nel 2016 Aleppo, ridotta a un cumulo di macerie. Negli ultimi mesi sono emersi video e resoconti dell’uso di una sostanza simile al fosforo bianco su Popasna, Mar’inka e in altre località del Donbass: si tratta delle munizioni incendiarie di termite 9N510 sparate dai lanciarazzi Grad. È stato documentato in molti casi anche l’uso di bombe a grappolo, sparate sulle città con i missili Uragan, che contengono capsule di acciaio esplosive.

Le bombe russe, imprecise e spesso intercettate, non sono state in grado di tagliare le linee di comunicazione che corrono da ovest a est, con strade e ferrovie che permettono l’afflusso di rifornimenti da Polonia, Romania, Ungheria e Slovacchia. La catena logistica Nato non dipende come quella russa dal trasporto su rotaia, ma può essere gestita in maniera più dinamica e soprattutto informale con piccoli carichi attraverso la frontiera. Al contrario, la Russia ha subito un durissimo colpo con l’attacco al ponte di Kerch, che ha danneggiato la rete da cui giungeva in Crimea il materiale bellico per il fronte meridionale. La via alternativa è quella per mare, ma la creazione di una flottiglia di barchini esplosivi e droni di nuova generazione permette all’Ucraina di porre una minaccia fortissima alle navi russe – spesso affondate – e persino ai porti della penisola, presi continuamente di mira.

Il sistema Delta

Gli ucraini hanno implementato con l’aiuto della Nato un nuovo sistema di intelligence chiamato Delta, che convoglia e mette a sistema informazioni raccolte da militari, funzionari locali e persino civili che avvistano movimenti di truppe russe. È stato impiegato durante l’offensiva di Kherson e ha dato i suoi frutti, permettendo di colpire le arterie logistiche e di manovra nemiche fino a costringere Mosca alla ritirata oltre il fiume Dnipro. Il sistema è l’emblema di come questo conflitto stia cambiando la dottrina di guerra moderna, con una maggiore integrazione di tutte le componenti.

Delta mette insieme mappe tattiche delle posizioni nemiche con alta precisione, incluso il numero di truppe in ogni posizione e le armi a disposizione delle singole unità, frutto del lavoro di intelligence che deriva da droni, satelliti, intercettazioni, informazioni della resistenza o altre fonti sul terreno. Dal 2017, Delta è stato inserito nelle esercitazioni congiunte tra Ucraina e Nato, ma è stato usato massicciamente per la prima volta durante l’invasione russa, a cominciare dalla controffensiva a nord di Kiev, che grazie ai droni e all’osservazione dal terreno ha messo insieme dati sulla consistenza e posizione delle truppe occupanti.

A differenza di altri sistemi di raccolta ed elaborazione di intelligence militare, una volta elaborata e analizzata, è accessibile a tutte le unità sul campo e permette quindi una “operational awareness” avanzata. Gli ucraini si sono resi conto delle enormi potenzialità del sistema Delta, che ha permesso di identificare oltre 1.500 obiettivi russi tra depositi di munizioni, basi logistiche, ponti, posti di comando e caserme. L’artiglieria e la missilistica ucraina, come gli obici e gli Himars forniti dall’occidente, hanno colpito tali obiettivi strategici poche ore dopo, causando danni ben peggiori di quanto potrebbe una singola sconfitta sul campo.

Le altre armi

(John Hamilton/U.S. Army via AP)

Adesso, Kiev chiede nuovi tipi di armi, primi fra tutti gli Atacms (Army tactical missile system) con una gittata di 300 chilometri, che potrebbero colpire basi aeree e missilistiche in Russia e Crimea, per fermare i bombardamenti sulle città ucraine. Ma l’Ucraina vorrebbe anche caccia occidentali per colpire le posizioni russe sul terreno e contrastare l’aviazione, carri armati moderni come quelli tedeschi o americani. Gli Atacms non sono stati forniti per il timore che un attacco diretto al territorio russo potrebbe scatenare un’escalation più vasta con il coinvolgimento della Nato. Per quanto riguarda caccia e carri armati, i modelli occidentali richiedono mesi di addestramento per piloti e carristi, oltre a team di manutenzione specializzati. Dalla fine della Guerra fredda, gli Stati Uniti hanno smantellato buona parte dei loro sistemi di difesa aerea a corto raggio e difficilmente i paesi europei possono fornirne quanti richiesti.

L’introduzione di nuovi mezzi come i barchini esplosivi, il sistema anti-drone EDM4S SkyWiper, ma anche sofisticati mezzi di difesa aerea prodotti in Germania si sono dimostrati un game-changer tattico. In particolare, gli SkyWiper sono di produzione lituana e permettono di interrompere le comunicazioni di un drone con un sistema di jamming. Creati nel 2019 da una compagnia di Kaunas, più che altro con finalità antiterrorismo, non erano mai stati usati prima in un conflitto reale, ma si sono dimostrati i più efficienti nel fermare i droni dei russi.

La Lituania ha inviato alcune dozzine di SkyWiper in Ucraina già a ottobre 2021, mentre il ministro della Difesa di Vilnius ha annunciato che ad agosto di quest’anno ne sono stati spediti altri cinquanta. Nell’ultimo decennio la Lituania ha cercato di rivoluzionare la sua produzione della difesa, passando da un modello sovietico a equipaggiamento di alta tecnologia. Un altro esempio arriva dai missili aria-aria a corto e medio raggio Iris-T fabbricati in Germania, che usano un sistema di rilevamento e inseguimento del bersaglio ad infrarosso.

L’Ucraina ha dimostrato anche molta inventiva e adattabilità. Ad esempio, con l’utilizzo di droni “fatti in casa” che rilasciano granate sulle trincee russe, ma anche barchini esplosivi teleguidati, efficaci contro le navi nemiche. Per bombardare l’Isola dei Serpenti, quando era occupata, pare che gli ucraini abbiano messo alcuni obici semoventi francesi Caesar su delle chiatte e le abbiano spinte alcuni chilometri in mare, perché dalla terraferma era fuori gittata. Per proteggere gli Himars occidentali dalle azioni di controbatteria russa, gli ucraini hanno fabbricato delle copie in legno che ai satelliti di Mosca sembravano reali e hanno attirato costosi missili su di loro. La Nato sta comunque spingendo per fare economia di munizioni e materiali, ad esempio evitando di sparare un missile che costa 150mila dollari a un drone che ne costa 20mila.

La produzione europea

I paesi europei non sono esenti dallo sforzo di produzione bellica. L’Ucraina ha ricevuto circa 2 miliardi di armi ed equipaggiamento da aziende della Repubblica Ceca. Primo fra tutti il gruppo cecoslovacco Stv che controlla aziende come Excalibur Army, Tatra Trucks e Tatra Defence, e produce munizionamento da 155 e 152 millimetri per gli obici, ma anche proiettili per i carri sovietici T-72. Da anni la Repubblica Ceca ha sviluppato un’importante industria militare in continuità con quella del periodo socialista. Non è un caso se nel 2014 sabotatori dei servizi militari russi abbiano fatto saltare un deposito di munizioni a Vrbetice, con la morte di due operai. L’azienda riforniva di munizioni l’Ucraina, già in guerra nel Donbass, e l’operazione si inseriva in un piano più ampio del Gru per soffocare i rifornimenti a Kiev.

La polacca Pgz ha in programma di investire quasi 2 miliardi nella prossima decade, oltre il doppio di quanto era previsto dai piani aziendali prima dell’invasione di febbraio. Produrrà un migliaio di lanciamissili antiaerei spalleggiabili Piorun nel 2023, contro i 600 del 2022 e i 300 degli anni precedenti. L’azienda ha già consegnato pezzi di artiglieria, mortai, obici, munizioni e dotazioni personali all’Ucraina. Se la rivista Politico ha definito la Polonia come la «futura superpotenza militare europea», con massicci acquisti in Corea del Sud per diventare la prima forza terrestre del Vecchio continente superando la Francia, c’è chi si chiede quanto queste ambizioni siano alla portata dell’economia di Varsavia.

Per adesso restano le preoccupazioni di molti stati maggiori Nato nel bilanciare le forniture all’Ucraina con le esigenze interne. La Francia ha già ceduto 18 obici Caesar, cioè il 20 per cento di quelli che possiede e si è comprensibilmente mostrata riluttante a privarsi di ulteriori. L’Unione europea ha approvato un fondo di 3 miliardi di euro, lo European peace facility, per rimborsare i paesi membri, ma è già stato consumato al 90 per cento.

Anche i vertici militari di Canada e Svezia hanno manifestato problemi interni nel sostituire gli arsenali ceduti, soprattutto per l’artiglieria da 155mm. Anche se sulla carta il calibro è lo stesso, in realtà le munizioni prodotte dai vari paesi Nato per gli obici non sono identiche, quindi possono presentarsi problemi di inceppamento, surriscaldamento o difetti durante il tiro. È un modo per i produttori di garantirsi la vendita delle forniture, altrimenti sarebbero a rischio sul mercato. Anche per questo è stato calcolato che l’Ucraina può utilizzare contemporaneamente solo due terzi dei circa 350 obici forniti dall’occidente.

In conclusione, la guerra ha messo in evidenza limiti e punti deboli della Russia, ma anche dei paesi Nato, oltre a riscrivere la moderna dottrina dei conflitti convenzionali.

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