«Ritengo necessario prendere la seguente decisione – è del tutto adeguata alle minacce che dobbiamo affrontare – vale a dire: proteggere la nostra Patria, la sua sovranità e integrità territoriale, garantire la sicurezza del nostro popolo e del popolo nei territori liberati, ritengo necessario sostenere la proposta del Ministero della Difesa e dello Stato Maggiore Generale di condurre una mobilitazione parziale nella Federazione russa». Con queste parole il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato la mobilitazione parziale immediata che consiste, come ha specificato il ministro della Difesa, Sergej Shoigu, nel richiamo di 300mila riservisti, «con esperienza di combattimento, secondo le specializzazioni militari richieste dai comandi delle forze armate».

Dopo la controffensiva ucraina che ha dimostrato l’inesperienza/incapacità strategica delle truppe russe sinora coinvolte nel conflitto, il presidente Putin, indebolito politicamente e militarmente e sollecitato dalle forze nazionaliste del Cremlino, ha rilanciato la sfida all’occidente. Nel breve discorso, annunciato nella serata del 20 settembre e rinviato alle otto della mattina successiva «quando l’Estremo Oriente si sveglierà», Putin ha riconfermato i punti essenziali della narrazione di questi mesi: proseguire nella liberazione del Donbass che «era e resta l’obiettivo della operazione militare speciale».

Il presidente russo non ha utilizzato il termine “guerra”, ma ha ribadito le motivazioni che hanno determinato l’avvio di questa operazione e l’accusa all’occidente di voler distruggere la Russia dopo il crollo dell’Urss nel 1991: «Dopo che il regime di Kiev ha pubblicamente rinunciato alla soluzione pacifica del problema del Donbass e ha annunciato le sue pretese sulle armi nucleari, è diventato chiaro che la Russia sarebbe stata il prossimo obiettivo. L’offensiva era inevitabile. E poi ci sarebbe stato l’attacco alla Crimea, alla Russia».

Una risposta alle critiche interne

E così il presidente Putin ha accontentato chi lo aveva criticato per il pessimo andamento del conflitto attraverso la mobilitazione, ma ha anche rassicurato le forze politiche più moderate e le “mamme russe”. Come ha, infatti, chiarito il ministro Shoigu ci sono categorie che saranno esentate dalla mobilitazione: gli studenti universitari, i coscritti, coloro che lavorano nelle imprese del complesso militare-industriale e chi ha raggiunto i limiti d’età nella riserva. In sostanza il ministero della Difesa mobiliterà circa l’1 per cento dei venticinque milioni di uomini che potrebbero prestare servizio.

Dopo i confronti al summit di Samarcanda dove i presidenti Xi Jinping e Modi hanno espresso un esplicito disappunto sul conflitto in corso e le critiche interne al Cremlino, il presidente Putin ha deciso di “uscire dall’angolo” accelerando le tappe e le modalità del conflitto.

In primo luogo, il Cremlino ieri ha annunciato il referendum per l’annessione del Donbas, Kherson e Zaporizhzhia alla Federazione russa, precedentemente rimandati da settembre a novembre. L’obiettivo è chiaro: consolidare i territori sinora occupati per evitare altre perdite nelle prossime settimane e far desistere l’esercito ucraino da ulteriori controffensive attraverso la minaccia nucleare.

Come ha sottolineato il presidente Putin: «E se l'integrità territoriale del nostro paese sarà minacciata, useremo sicuramente tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere il nostro popolo. Sottolineo: tutti. Non è un bluff. I cittadini russi devono sapere che proteggeremo l'integrità territoriale del nostro paese. E coloro che minacciano di usare armi nucleari devono sapere anche che la rosa dei venti può girare nella loro direzione».

Legge marziale

AP Photo/Dmitri Lovetsky

Un attacco militare ai territori annessi – poco importa a Putin se non c’è il riconoscimento internazionale –consente al presidente di applicare l’art. 87, comma 2, che sancisce l’introduzione della “legge marziale” in caso di «aggressione contro la Federazione russa o minaccia diretta di aggressione».

Non è un caso, infatti che la Duma e il Consiglio della Federazione abbiano anche previsto emendamenti che introducono la reclusione fino a dieci anni per diserzione con modifica dei concetti di “mobilitazione”, “legge marziale” e “tempo di guerra” nel Codice penale.

Nelle parole del presidente del comitato di difesa della Duma, Andrej Kartapolov, la legge marziale potrebbe essere introdotta «in alcune zone, nelle regioni confinanti con l’Ucraina, che sono oggetto di bombardamenti quotidiani». Le reazioni interne alla Russia sono state immediate: dalla messa in allerta delle forze speciali russe per paura di rivolte, ai biglietti esauriti per i voli verso Instanbul e Erevan sino agli appelli di diverse associazioni a manifestare contro la mobilitazione nelle città russe questa sera alle diciannove con lo slogan “Niet mogilisatsii”, un gioco di parole che richiama la parola “mogila” (tomba).

Dinanzi a questa nuova fase della guerra, il ministero degli esteri cinese ha invitato al dialogo e al cessate il fuoco mentre il portavoce del Servizio di Azione Esterna Ue, Peter Stano, ritiene che Putin sia «interessato solo a continuare questa guerra distruttiva, è un chiaro segnale di disperazione».

Che si tratti di un bluff o del gesto irrazionale di un uomo che sta cercando di uscire da un vicolo cieco, rimane aperta la questione di come tutti gli attori – in primis Biden e Xi Jinping – direttamente e indirettamente coinvolti, intendano agire. Nel breve periodo è probabile che il piano del Cremlino si basi sull’attacco alle infrastrutture e servizi che metterebbero in ginocchio la popolazione ucraina quest’inverno sino alla resa definitiva. Ma nulla può escludere l’utilizzo di missili nucleari.

Non è allarmismo, ma sano realismo. E pensare che il discorso ha avuto luogo nella “Giornata internazionale della Pace”; un percorso che nessuno, al momento, sta cercando di costruire.

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