A Brest, in Bielorussia, si è tenuto il terzo incontro di negoziati tra la delegazione ucraina e quella russa. Le immagini delle agenzie stampa sono sempre le stesse. Da una parte ci sono gli ucraini vestiti con le felpe militari, dall’altra i russi, gli aggressori, che si presentano con una tenuta formale in giacca e cravatta.

Dopo tre ore di incontro il negoziatore ucraino Mykhailo Podoliak, nonché consigliere del presidente Zelensky, ha detto che ci sono stati piccoli sviluppi positivi per quanto riguarda i corridoi umanitari. «Gli ucraini ci hanno dato assicurazioni, noi speriamo che i corridoi umanitari saranno aperti da domani», ha detto il capo delegazione della Russia Vladimir Medinskij. Ma ha aggiunto che le loro aspettative sui negoziati «non sono state soddisfatte», sperando che la prossima volta si facciano «passi avanti più significativi». Tutto rimandato, ancora una volta, a un altro incontro che si terrà in Bielorussia nei prossimi giorni.

La vera priorità a oggi è l’evacuazione dei civili, come anche chiesto da Macron ed Erdogan nelle ultime chiamate fatte a Putin. Nel pomeriggio di ieri il portavoce del Cremlino, Dimitrij Peskov, ha dettato alla Reuters le condizioni russe per finire la guerra. Per la prima volta non ha parlato di denazificazione del paese, come invece accaduto nei giorni scorsi, e neanche di demilitarizzazione dell’Ucraina.

Questo perché ci stanno pensando i russi a distruggere l’arsenale militare ucraino: «Stiamo concludendo la demilitarizzazione del paese. La finiremo», ha detto Peskov. Domenica la Difesa russa ha riferito di aver distrutto le difese aree ucraine, dopo che nei giorni scorsi ha annunciato di aver colpito oltre 2.200 obiettivi militari. Se non ci pensano i negoziati ci pensa la guerra.

Ma sul tavolo delle trattative rimangono ancora questioni importanti. Putin vuole il riconoscimento dell’annessione della Crimea, l’indipendenza delle repubbliche popolari del Donbass (Donetsk e Lugansk) e che all’interno della Costituzione ucraina sia scritto nero su bianco che il paese non entrerà a far parte della Nato.

Gli ucraini non intendono cedere nonostante i bombardamenti russi stiano oramai radendo al suolo intere città come Volnovakha. Da dietro le quinte ieri il quotidiano Ukrayinska Pravda ha scritto che l’obiettivo di Putin è quello di lasciare Zelensky e mettere come primo ministro un uomo a lui vicino. Nel frattempo, sono ricominciate a circolare le voci che l’ex presidente ucraino Yanukovich, deposto con la rivoluzione di Euromaidan scoppiata a Kiev a fine 2013, sia arrivato ieri a Minsk con un volo da Mosca.

Il fronte internazionale

U.S. Secretary of State Antony Blinken speaks during a media conference in Brussels, Friday, March 4, 2022. U.S. Secretary of State Antony Blinken met Friday with his counterparts from NATO and the European Union, as Russia's war on Ukraine entered its ninth day marked by the seizure of the strategic port city of Kherson and the shelling of Europe's largest nuclear power plant. (Olivier Douliery, Pool Photo via AP)

Un punto di svolta potrebbe essere già l’11 marzo quando il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, e quello russo, Sergeij Lavrov, dovrebbero incontrarsi nella città di Antalya nel sud della Turchia durante un forum diplomatico. Il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, diventa così uno dei mediatori chiave per arrivare alla firma di un ipotetico trattato di pace, dopo la chiamata avuta con Vladimir Putin domenica scorsa.

Il segretario di Stato americano, Antony Blinken, ha proseguito il suo viaggio europeo. Dopo Bruxelles, Polonia e Moldavia, ieri è stato in Lituania e Lettonia, dove ha incontrato il ministro degli Esteri israeliano, Yair Lapid, che insieme al premier Naftali Bennett sta provando a trovare una soluzione diplomatica. Negli ultimi giorni Blinken ha ribadito il sostegno americano all’accoglienza dei profughi ucraini, mentre da Washington decidono di inviare altri 500 soldati in Europa, arrivando così alla cifra di 100mila militari nel continente.

Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba ha chiesto ancora una volta l’istituzione di una no fly zone. L’ennesimo tentativo disperato che per ora continua a non venire accolto dagli alleati della Nato. Intanto la guerra non si ferma e il bilancio dei morti aumenta ogni giorno. Di fronte alle possibili accuse di genocidio formulate dall’Ucraina la Corte penale internazionale ha aperto un fascicolo. Ieri era attesa la prima udienza ma la delegazione russa ha disertato l’incontro.

Con l’aggravarsi della guerra sul campo, l’ambasciatrice britannica Melinda Simmons ha lasciato l’Ucraina per la «grave situazione della sicurezza», così come anche tutto lo staff dell’Osce presente in Ucraina. Il premier Boris Johnson ha avuto una videoconferenza con il presidente americano Joe Biden, Emmanuel Macron e Olaf Scholz. Alla chiamata, che si è incentrata soprattutto sulla crisi umanitaria (oltre 1,7 milioni di profughi hanno lasciato il paese) e sulla protezione dei civili, non ha partecipato Mario Draghi.

«Si è convenuto che la protezione della popolazione civile deve avere la massima priorità e che la Russia è chiamata a porre fine immediatamente al suo attacco all’Ucraina, che viola il diritto internazionale, e a ritirare completamente le sue truppe», ha scritto la cancelliera tedesca in un comunicato dopo l’incontro.

In mattinata la Russia ha stilato una lista dei paesi ostili, come prevedibile, tra gli altri, ci sono tutti i paesi dell’Unione europea e gli Stati Uniti.

Nel frattempo, inizia anche la conta economica dei danni: circa 10 miliardi secondo gli ucraini. Inevitabilmente, nel tavolo dei negoziati, il tema della ricostruzione del paese giocherà un ruolo importante, da non sottovalutare.

 

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