«Non ho memoria di un’altra guerra in cui Israele fosse considerata un interlocutore e potenziale mediatore da entrambe le parti in conflitto”, dice da Gerusalemme un ex alto funzionario del ministero degli Esteri israeliano. «Il nostro primo ministro sente Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky e si fa portatore dei loro messaggi. Se questo calcolo strategico andasse a buon fine la conseguenza sarebbe un successo diplomatico che non mi pare abbia precedenti». Il prezzo da pagare è una minore sintonia con gli Stati Uniti.

«È vero, non seguiamo alla lettera la linea degli americani, siamo più cauti; ma sono sicuro a Washington apprezzino questo nostro ruolo, che sta già aumentando il nostro prestigio a livello internazionale», dice.

Il confine siriano

Foto AP/Ariel Schalit

Il “calcolo strategico” è determinato soprattutto dalla presenza dei russi in Siria. «Abbiamo l’esercito russo sulla frontiera settentrionale, con jet, un po’ di fanteria e sistemi di difesa anti aerea, oltre a qualche carro armato e veicoli blindati», dice l’ex dirigente israeliano, alludendo al ruolo di protettore assunto dal Cremlino presso il regime di Bashar al Assad a Damasco.

È quella che il ministro degli Esteri Yair Lapid prima della guerra aveva definito “una situazione un po’ baltica”, sintetizzata così: «Abbiamo una specie di frontiera con la Russia». Sono anni che Israele conta sul tacito benestare di Mosca quando colpisce, con i suoi raid aerei, bersagli iraniani, siriani, oltre che della milizia libanese Hezbollah. Si tratta di un vantaggio a cui non vuole rinunciare. Gli interessi fanno da contrappeso al giudizio morale sull’invasione.

Gli ebrei in Russia

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Ma la Siria non è l’unico dei fattori che hanno portato Israele a mantenersi prudente, gravitando soltanto negli ultimi giorni verso condanne un po’ più in linea con le democrazie occidentali.  Mercoledì 2 marzo, ad esempio, Gerusalemme ha votato a favore della risoluzione americana all’Assemblea generale dell’Onu sulla condanna dell’invasione russa.

Ariel Bulshtein, un punto di riferimento delle destre israeliane per tutto ciò che riguarda l’ex Urss, consigliere in passato in particolare di Avigdor Lieberman e Benjamin Netanyahu, sottolinea quanto incida anche la preoccupazione per gli ebrei che tutt’ora risiedono in Russia.

La questione non riguarda tecnicamente Israele ma «c’è una silente consapevolezza che basterebbe solo una decisione personale di Putin e la situazione degli ebrei in Russia potrebbe velocemente deteriorarsi, le loro libertà messe a rischio».

Il nucleare

Il primo ministro israeliano Naftali Bennett (Foto AP/Ariel Schalit)

C’è infine la questione dei negoziati sul nucleare con l’Iran, in corso a Vienna, passati in secondo piano dopo l’inizio della guerra. Netanyahu, ora leader dell’opposizione dopo oltre dodici anni al governo, ha chiesto che attenzione ed energia della politica si concentrino su Teheran piuttosto che su Kiev. «Ho sentito troppe dichiarazioni inutili e previsioni fasulle negli ultimi giorni, sfortunatamente. Chiedo al governo di essere più responsabile e di parlare meno di cose delle quali non si dovrebbe parlare. E concentrarsi piuttosto sulla vera minaccia esistenziale alla nostra sicurezza: il ritorno a breve dell’Iran ad un pericoloso accordo nucleare. Su questo Lapid e Bennett non dicono e non fanno nulla!».

Nel frattempo a Tel Aviv la Russia si ritrova al centro anche della kermesse delle start up del tech, la Cybertech Global TLV 2022 conference. Nadav Zafrir, un ex capo dell’unità 8.200 dell’esercito israeliano, quella specializzata in “signal intelligence” da cui poi nascono la moltitudine di aziende private leader mondiali nel settore, ha messo in guardia sul potenziale cyber dei russi.

«Non sappiamo cosa accadrà, ma sappiamo che probabilmente i russi hanno, escludendo l’occidente, gli strumenti cyber più sviluppati, sul piano difensivo ma anche offensivo. Potrebbero impedire agli occidentali di estrarre gas naturale, oppure stabilire che, siccome sono stati esclusi dal sistema Swift, allora nessuno deve poterlo usare, e intervenire per metterlo fuori uso». 

Gerusalemme casa del negoziato

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Difficile dire se questo aspetto influenzi la politica di Bennett, che giovedì ha partecipato alla conferenza sul tech (non mancano anche rappresentanti della polizia emiratina, acquirente fra l’altro di telecamere israeliane che recapitano le multe direttamente a casa degli automobilisti). Ma sicuramente per il premier, uno dei pochi leader ad aver parlato con Putin dopo l’inizio dell’offensiva, è stato gratificante discutere giovedì con Zelensky la proposta di Gerusalemme come sede delle trattative per un cessate il fuoco.

La domanda è se possa mantenere la sua “terza via” nonostante l’aumento della pressione degli americani, sempre più insofferenti verso il gioco delle parti con cui si astiene dal criticare la Russia, lasciando al ministro degli Esteri, Yair Lapid, il ruolo del poliziotto cattivo (anche lui però è stato criticato per non avere citato Mosca nel tweet di condanna del bombardamento del memoriale dell’Olocausto di Babi Yar).

William Cohen, un ex segretario della difesa degli Stati Uniti d’America, ha detto alla Cnn che malgrado il suo «conflitto d’interessi» Israele «deve prendere una decisione, se stare con i russi oppure con gli Usa e l’Occidente».

Persino il repubblicano Lindsey Graham, che è considerato fra i senatori il più vicino a Israele, si è fatto sentire. «L’Ucraina ha chiesto a Israele il sistema [di difesa antimissilistico] Stinger, e pare gli sia stato risposto di no. Allora io ora alzo la cornetta e li chiamo. Ne ho titolo perché noi ci siamo dati da fare quando c’era da aiutare Israele con Iron Dome», ha ammonito. Proprio sulla cessione dell’Iron Dome, la tecnologia che permette di abbattere i missili in arrivo, pilastro della difesa israeliana, Zalevsky aveva ricevuto uno dei no più brucianti da parte di Israele.

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