È entrato in vigore il tetto al prezzo del petrolio russo trasportato via mare dopo lunghe trattative, durate mesi, che hanno portato a un accordo nei primi giorni di dicembre. 

Il Regno Unito, il Giappone, la Germania, l’Italia, la Francia, il Canada e gli Stati Uniti, oltre agli stati membri dell’Ue e all’Australia, hanno raggiunto un accordo per porre un tetto al prezzo del petrolio russo di 60 dollari al barile. La decisione però è stata considerata insoddisfacente dal presidente ucraino Volodymyr Zelensky. «Non si può definire una decisione seria quella di fissare un tale limite per i prezzi russi, che sono abbastanza comodi per il bilancio di uno stato terrorista», ha detto il presidente ucraino. «È solo questione di tempo prima che si debbano usare strumenti più forti. È un peccato che questo tempo vada perso».

Secondo i critici e le istituzioni ucraine la misura adottata dai paesi occidentali non è sufficiente dato che attualmente il prezzo del petrolio russo si aggira intorno ai 52 dollari al barile.

I russi, invece, hanno minacciato di tagliare le forniture. «Venderemo petrolio e prodotti petroliferi solo a quei paesi che lavoreranno con noi alle condizioni di mercato, anche se dovessimo ridurre un po’ la produzione», ha detto il vice primo ministro russo Alexander Novak.

Cosa prevede l’accordo

L'accordo consente di spedire il petrolio russo a paesi terzi utilizzando petroliere del G7 e dell’Ue, compagnie di assicurazione e istituti di credito, solo se il carico viene acquistato a un prezzo pari o inferiore al tetto di 60 dollari al barile. Attualmente la Russia è il secondo esportatore al mondo di petrolio.

Il 4 dicembre si sono anche riuniti i paesi dell’Opec+, l’organizzazione dei paesi esportatori di petrolio e i loro alleati tra cui la Russia che ha deciso di continuare a rispettare gli obiettivi decisi a ottobre, i quali prevedono la diminuzione della produzione di 2 milioni di barili al giorno, circa il 2 per cento della domanda mondiale fino a fine 2023.

La guerra

Con l’arrivo dell’inverno le complicate condizioni meteorologiche hanno rallentato il passo della guerra. Secondo il Pentagono i ritmi lenti potrebbero durare ancora mesi e nel lungo periodo favorirebbero le forze ucraine che nell’attesa si riorganizzeranno. Attualmente gli ucraini starebbero facendo progressi sulla sponda orientale del fiume Dnipro, di fronte alla città di Kherson, recentemente liberata dai russi. Mentre i soldati di Mosca continuano a difendere la città di Bakhmut nel Donetsk, da mesi contesa dai due eserciti.

Secondo il bollettino di intelligence del ministero della Difesa britannico l’aviazione russa ora conduce circa una decina di missioni al giorno, rispetto a un massimo di 300 al giorno nel marzo del 2022. Secondo i servizi segreti britannici è dovuto soprattutto alla minaccia sempre più elevata da parte delle difese aeree ucraine, che ora contano un vasto arsenale consegnato dai paesi occidentali.

Se sul terreno i russi rallentano non si può dire lo stesso negli attacchi alle infrastrutture energetiche, più di 500 villaggi e centri urbani ucraini sono rimaste senza corrente il 4 dicembre dopo gli attacchi russi alla rete elettrica delle ultime settimane. Una situazione che mette in difficoltà la popolazione locale alle prese con le rigide temperature.

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