La strage degli ufficiali russi viene aggiornata dai servizi segreti dei paesi Nato quasi ogni giorno. E, al 22 marzo, la lista che Domani ha potuto ricostruire arriva a quasi 80 nomi. Tra cui si contano sei generali (una «uccisione» non è stata ancora confermata), 14 colonnelli, 12 tenenti colonnelli, 19 maggiori, 16 capitani e almeno 20 tenenti. Il meglio del meglio dell’esercito del Cremlino: numeri che dimostrano, ancora una volta, le enormi difficoltà che le forze di Vladimir Putin stanno incontrando in Ucraina.

Qualche giorno fa un giornale vicino al Cremlino, la Komsomolskaya Pravda, ha pubblicato (probabilmente per errore, la notizia è stata subito rimossa) il numero complessivo dei soldati russi morti in battaglia, parlando di quasi 10mila decessi. Finora, però, nessuno immaginava che la mattanza riguardasse non solo la fanteria, ma anche i vertici militari.

Alti ufficiali

Andiamo con ordine. L’intelligence dei paesi della Nato, in primis gli agenti della Cia, per stilare le liste dei decessi hanno usato fonti aperte, fonti qualificate interne all’armata russa, comunicati dei paesi belligeranti. Anche dalla Bielorussia arrivano informazioni preziose: parte dei soldati di Mosca finisce negli ospedali di Minsk. E informazioni prese sul campo: in alcuni casi i servizi militari hanno appurato il decesso prendendo ragguagli sui funerali organizzati in patria.

I nomi dei generali uccisi sono già noti. Secondo i servizi occidentali il primo a essere stato eliminato dalle forze di resistenza ucraine sarebbe stato il ceceno Magomed Tushayev, lo scorso 26 febbraio. Nato nel 1978 a Mosca e ritenuto molto vicino al leader ceceno Ramzan Kadyrov, sarebbe stato ucciso mentre guidava una colonna di 56 carri delle forze speciali cecene attaccate dagli ucraini in un aeroporto a nord ovest di Kiev.

«Tushayev» si legge in uno dei rapporti «era diventato celebre per le torture inflitte nella campagna cecena di repressione dell’omosessualità». Mosca ha finora smentito l’uccisione di Tushayev.

Il 3 marzo, il ministro della Difesa russo ha invece confermato la morte del generale Andrej Sukhovetsky, senza tuttavia dare ulteriori dettagli sul luogo e la causa del decesso. Qualche media ucraino ha raccontato che l’alto ufficiale è stato ucciso da «un colpo di fucile sparato da un cecchino». Le spie della Nato hanno però localizzato la 41esima armata, di cui il generale era vicecomandante, nella zona di Chernihiv, città sotto assedio da settimane: è probabile che Sukhovetsky sia dunque stato eliminato in quest’area, dove i russi hanno fatto saltare anche un ponte cruciale per i collegamenti con la capitale.

Sukhovetsky non era un generale qualsiasi: paracadutista, aveva combattuto nelle guerre nel Caucaso e nell’Ossezia del sud, e aveva preso parte alle operazioni per l’annessione della Crimea, oltre ad avere prestato servizio in Siria, tanto da essere decorato con due ordini del Coraggio, l’Ordine al merito e la medaglia d’onore.

Secondo gli analisti, al netto della mancata conferma del Cremlino, gli ucraini sono riusciti a uccidere anche Vitaly Gerasimov, il capo di stato maggiore della 41esima armata, in una battaglia vicino Kharkov. Stessa sorte per il Andrey Kolesnikov, carrista classe 1977 e messo da Putin a dicembre 2021, qualche settimana prima dell’invasione, a capo della 29esima armata interforze.

Tensioni nell’esercito

Se la morte del tenente generale Andrei Mordvichev è segnata come «uccisione non confermata» (secondo fonti russe «il generale non sarebbe stato presente il 17 marzo scorso al posto di comando attaccato dagli ucraini a Kherson e sarebbe pertanto vivo»), i servizi segreti occidentali sono quasi certi della morte di un altro generale di fama come Oleg Yuryevich Mityaev: era comandante della 150esima divisione fanteria motorizzata ed è stato ucciso il 15 marzo, Mityaev aveva già combattuto in Siria e nel 2016 era stato comandante di una base russa militare in Tagikistan.

«Kiev dice che Mityaev è morto combattendo vicino a Mariupol ucciso da uomini del Battaglione Azov, composto da persone dell’estrema destra extraparlamentare ucraina», si legge in un dispaccio riservato. I neonazisti di Azov e altre forze armate ucraine difendono la città martire del conflitto ormai rasa al suolo dai bombardamenti dell’aviazione e dell’artiglieria russa, e sono in molti a credere che la vendetta dei soldati di Mityaev – in caso di assalto finale – potrebbe essere durissima.

Il massacro di alti ufficiali, più ancora delle gravi perdite della fanteria, sta creando sconcerto tra le gerarchie dell’esercito di Putin, che i comparti di sicurezze degli Usa e della Ue considera fondamentale nel caso di un rovesciamento del regime russo. Più ancora di un eventuale rivolta interna all’Fsb, i servizi segreti eredi del Kgb spaccati tra i fedelissimi dell’autocrate di San Pietroburgo e chi teme gli effetti di un avventurismo sempre più estremo.

I colonnelli uccisi dal 25 febbraio al 20 marzo sono 14. Viktor Ivannovich Isakin era un quarantenne graduato quando è stato ucciso durante le operazioni russe nel Donbass. Il decesso è stato confermato dal presidente della Repubblica mordoviana di Russia. Il comandante del 120esimo reggimento dell’aviazione Ruslan Rudnev è stato abbattuto il primo marzo sui cieli di Kiev (Putin gli ha riconosciuto l’ordine del coraggio post mortem), mentre il 5 marzo la stessa sorte è toccata a Kostantin Zizevsky, comandante di un reggimento aviotrasportato e figlio di un celebre veterano delle guerre russe in Afghanistan.

Nella lista dei morti c’è anche Yuri Agarkov, comandante del 33esemo reggimento di fanteria motorizzato: gli agenti occidentali hanno scoperto della sua morte spulciando i canali Telegram in Russia, usati dal governatore della regione di Pkov, regione di origine dell’ufficiale, per pubblicare un post sul decesso dell’illustre concittadino.

Onorificenze

Meno complessa è stata la conferma della morte del colonnello Vladimir Zhoga, detto “Zhonga”, perché annunciato urbi et orbi dal leader dell’autoproclamata Repubblica di Donetsk Denis Pushilin. Quest’ultimo ha spiegato che il militare, sorta di leggenda vivente per i filorussi del Donbass, «è stato ucciso nella città di Volnovakha mentre svolgeva un’operazione di soccorso umanitario finalizzata all’evacuazione di civili».

Zhoga, classe 1993, si era unito alle forze ribelli indipendentiste nel 2014, dopo la rivoluzione (o colpo di stato, secondo la narrazione russa) di piazza Maidan. «Lo stesso anno in cui fu creato», spiega una fonte dei servizi segreti della Nato, «con il supporto di Mosca il battaglione di ispirazione nazista “Sparta”». Fino al 2016 il comandante del gruppo, acerrimo nemico dei fascisti pro Kiev del battaglione Azov, era Arsen Pavlov, di cui Zhoga è stato per due anni autista personale. «Alla morte di Pavlov, accusato dall’Ucraina di crimini contro l’umanità, Zhoga prese il comando del reparto che già nel 2016 contava mille effettivi» diventando rapidamente uno dei più conosciuti leader separatisti, nonostante anche lui sia stato denunciato di crimini di guerra, «inclusa l’uccisione di prigionieri di guerra».

Mito vivente per i russi del Donbass, come riconoscimento postumo ha ricevuto in questi giorni il titolo di eroe della Repubblica popolare di Donetsk e pure quello di eroe della Federazione Russa, tributatagli dal presidente Putin in persona.

L’elenco di alti ufficiali russi uccisi sul fronte ucraino comprende anche 12 tenenti colonnelli e ben 36 tra capitani e tenenti. Il tenente colonnello Denis Glebov, vice comandante dell’11esima brigata paracadutisti d’assalto, è morto il 5 marzo: il controspionaggio della Nato ha scoperto della sua uccisione grazie alla cerimonia funebre avvenuta a Ryazan il giorno dopo. Il maggiore Abdrey Burlakov, capo dell’intelligence di un reggimento della Guardia nazionale di Putin, sarebbe rimasto ucciso invece il 27 febbraio durante un furioso combattimento nei pressi dell’aeroporto di Kherson, quando il mezzo su cui viaggiava sarebbe stato colpito da un drone ucraino di fabbricazione turca.

Tra i caduti eccellenti anche il capitano Andrey Paliy, vicecomandante della flotta russa del mar Nero. Il marinaio è nato a Kiev nel 1971, ma nel 1993 – dopo il crollo dell’Urss – si rifiutò di prestare giuramento in Ucraina preferendo prestare servizio nella flotta settentrionale della Russia. Brillante e fedele al regime, nel 2020 fu promosso vicecomandante delle forze armare russe in Siria. Ora la morte in quella che fu da giovane la sua patria.

La lista e il livello gerarchico degli ufficiali caduti evidenziano come la pianificazione della campagna per «denazificare» l’Ucraina sia stata fallimentare.

Il difficile andamento dell’“operazione speciale”, con la mattanza di soldati e ufficiali russi, sarebbe uno dei motivi per cui il ministro della Difesa Sergei Shoigu e il capo di stato maggiore Valerij Gerasimov, scomparsi dalla scena pubblica da qualche giorno, non godrebbero più della fiducia del presidente Putin come un tempo.

 

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