La nuova “strategia di sicurezza nazionale” Usa, che ha provocato sconcerto tra gli alleati di Kiev, è «ampiamente in linea con la nostra visione» ha detto il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov. Sull’accordo di pace, l’inviato Kellogg: «Siamo davvero molto vicini». Ma sulla trattativa piovono i missili russi
Fedeli alla linea e una linea c'è: negli ultimi giorni affiora sempre con maggior chiarezza. Attraverso il documento pubblicato venerdì, che annuncia il mutamento della strategia di sicurezza nazionale degli Stati Uniti, la Casa Bianca ha annunciato al mondo che una «minaccia russa», per gli Usa, non esiste più.
E questo è «ampiamente in linea anche con la nostra visione»: è la voce del Cremlino che parla, per bocca del portavoce Dmitrij Peskov.
Il testo che ha suscitato sconcerto tra gli alleati di Kiev – dove c'è scritto che Washington non vuole più «sprecare sangue e risorse per limitare l'influenza di tutte le grandi e medie potenze del mondo» – piace, e tanto, a Mosca: nel complesso, questi messaggi sono certamente «in contrasto con gli approcci delle amministrazioni precedenti» ha detto Peskov intervistato dal giornalista russo Pavel Zarubin. In onda sul canale statale Rossja, ha anche riferito che Trump – attualmente abbastanza forte nella gestione della sua politica interna, tanto da poterla reindirizzare – ha «l'opportunità di adattare il concetto alla sua visione»; «si spera che ciò possa fungere da modesta garanzia, che sia possibile continuare a lavorare insieme in modo costruttivo, almeno nella ricerca di una soluzione pacifica in Ucraina».
La tempistica del rapporto
Cosa pensa l'America di Trump dell'Europa e degli europei (che non siedono ad alcun tavolo dei negoziati) è scritto in chiaro nel testo a forte stampo Maga: hanno troppi regolamenti e troppa poca «autostima», hanno troppo immigrati e troppa debolezza, rischiano la «cancellazione della civiltà».
Anche la tempistica della pubblicazione ha lasciato alcuni esterrefatti: quel venerdì, i funzionari di Kiev, in Florida, stavano tentando di strappare definitive garanzie di sicurezza agli inviati di Trump, Jared Kushner, genero del presidente, e Steve Witkoff, suo uomo designato per il dossier Kiev.
Sabato 6 dicembre è stato un altro rappresentante speciale Usa, Keith Kellogg (che però uscirà di scena a gennaio), a dire che l'accordo di pace è «davvero vicino», rimangono solo «gli ultimi dieci metri» da compiere, ma sono i più difficili. «Ci siamo quasi, siamo davvero, davvero vicini» per mettere fine a un conflitto che ha già lasciato dietro di sé una scia di due milioni di vittime (tra morti e feriti), un'informazione che né Mosca, né Kiev rendono pubblica.
Due questioni costituiscono i nodi irrisolti, per Kellogg: la centrale nucleare di Zaporizhzhia, la più grande d'Europa, oggi sotto il controllo russo, e il Donbas – di cui la Russia controlla già l'80%. (In totale, sotto gli stivali dei soldati russi, insieme ai territori già conquistati nelle altre regioni, oggi c'è quasi il 20% dell'Ucraina).
Accordo Usa - Russia
Stati Uniti e Federazione si riassettano, si allineano, si applaudono e compiacciono a vicenda: la rivoluzione geopolitica accelerata, innescata dalla guerra d'Ucraina, sta imprimendo, a velocità inattesa, radicali cambi di paradigma.
E le ragioni per cui il conflitto è iniziato potrebbero non assomigliare a quelle per cui il conflitto finisce. Sul piano di pace però manca ancora un compromesso accettabile, vanno apportate «modifiche serie», anzi, «radicali» ha detto il consigliere del Cremlino Yury Ushakov: «Stiamo allineando quelle difficili disposizioni che dovrebbero determinare la forma e il destino del futuro documento».
Nessuno sta parlando di un cessate il fuoco: sul tavolo c'è solo un accordo a lungo termine, ha precisato il consigliere, a cui gli americani hanno assicurato che «se Trump accetta, sarà una cosa solida». È comunque sempre più evidente che sta emergendo un piano russo-americano che rischia di essere l'unico destinato a mettere fine alla guerra d'attrito, che continua.
Sul campo
Intanto, un'altra notte di missili balistici si è abbattuta sull'Ucraina; continuano gli attacchi combinati alle infrastrutture. Tre ordigni Kinzhal e due Iskander, e oltre duecento droni, si sono concentrati contro decine di obiettivi diversi, secondo i dati forniti dall'aeronautica di Kiev.
Black out a Kremenchuk, duecento chilometri a sud di Kiev, nella regione di Poltava, dopo un attacco su larga scala, con ordigni ipersonici e sciami di droni.
Kremenchuk condividerà lo stesso destino delle altre città colpite: interi quartieri non hanno più acqua, elettricità e riscaldamento. Il ripristino della rete elettrica, indispensabile per consentire alla popolazione di sopravvivere, potrebbe arrivare tra «settimane» per l'attacco di due giorni fa, ha avvertito Vitalii Zaychenko, capo di Ukrenergo, spiegando che potrebbe raddoppiare la durata delle interruzioni di corrente, da quattro a otto ore, o forse ancora di più.
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