Le controproposte dei miliziani al tavolo delle trattative: ok al rilascio di tutti ostaggi, serve un ingresso illimitato degli aiuti. Il Qatar ottimista, ma critica i raid di Israele: «Avrebbe dovuto cessare i bombardamenti con l’accettazione del piano Usa». Il messaggio di Trump: «Esiste una reale possibilità di pace»
Nel secondo giorno di negoziati indiretti tra Israele e Hamas, le trattative sono entrate nel vivo. Fonti ufficiose e anonime avevano nei giorni scorsi anticipato le riserve di Hamas avanzate al piano presentato da Donald Trump lo scorso 29 settembre alla Casa Bianca. Ora sono ufficiali. E mentre la diplomazia viaggia spedita a Sharm el Sheikh, dove si decide il futuro del popolo palestinese, il presidente statunitense continua a dispensare ottimismo: «C’è una reale possibilità di raggiungere un accordo di pace a Gaza», ha detto. «Abbiamo molto potere, faremo tutto il possibile per garantire che tutti aderiscano a questo accordo».
Intestarsi la buona riuscita dell’accordo è l’unica cosa che interessa a Trump in questo momento, in difficoltà per non aver raggiunto alcun risultato a Gaza e in Ucraina.
Le richieste
A parlare pubblicamente è stato Fawzi Barhoum, uno dei portavoce di Hamas. La delegazione sta cercando di «superare tutti gli ostacoli», ha detto, con l’obiettivo di raggiungere un accordo che soddisfi «le aspirazioni del nostro popolo a Gaza».
Le richieste sono simili a quelle illustrate alle precedenti trattative: un cessate il fuoco permanente e completo; il ritiro completo delle forze israeliane da tutta la Striscia; l’ingresso illimitato di aiuti umanitari e di soccorso; il ritorno degli sfollati alle loro case e un equo scambio di prigionieri.
Questa volta, però, c’è un passo in più. Hamas ha fatto sapere di aver accettato il disarmo ma di non volere che la Striscia sia governata dall’ex premier britannico Tony Blair, che nei piani di Trump sarà a capo del Board of Peace (l’organismo che supervisionerà la futura governance).
Secondo l’agenzia Efe, quindi, Hamas ha «accettato di consegnare le sue armi a un comitato egiziano-palestinese, rifiutando categoricamente di affidare la gestione della Striscia di Gaza a un comitato di transizione internazionale». Piuttosto per la futura governance ha intenzione di intavolare una serie di trattative con l’Autorità nazionale palestinese. Una richiesta, questa, che probabilmente sarà respinta categoricamente dal gabinetto di guerra israeliano.
Oltre a Hamas si è espressa anche la Jihad islamica palestinese (Jip), e lo ha fatto attraverso il suo braccio armato. L’organizzazione è stretta alleata di Hamas nella Striscia e detiene alcuni dei 47 ostaggi israeliani ancora prigionieri. Nel suo comunicato ha annunciato che tutte le fazioni si impegneranno per «porre fine alla guerra e alle sofferenze dei palestinesi», ma la prima condizione posta dalla Jip è il rilascio dei prigionieri solo attraverso un accordo di scambio in cui Israele si impegna a porre fine alla guerra. La seconda è quella di non deporre le armi finché ci sarà l’occupazione.
«L’arma della resistenza è stata creata per liberare la terra e combattere il nemico (Israele), e non verrà riposta finché questi due obiettivi non saranno raggiunti», fa sapere il gruppo. Anche questo, nodo importante da sciogliere sia con Israele che con Hamas stesso che ha accettato di consegnare le armi a un’autorità egiziana-palestinese.
Le delegazioni
Oltre all’inviato Usa per il Medio Oriente, Steve Witkoff, e il genero di Trump, Jared Kushner, sono in arrivo in Egitto anche delegazioni di alto livello di Qatar e Turchia, guidata dal capo dei servizi segreti turchi Ibrahim Kalin. Mentre le trattative proseguono su più punti, le due delegazioni si occuperanno di trovare una mediazione sui nomi dei prigionieri palestinesi da rilasciare dalle carceri israeliane.
Doha è tornata a criticare lo Stato ebraico per non aver fermato i bombardamenti sulla Striscia. Israele «avrebbe dovuto cessare le sue operazioni militari se le dichiarazioni del primo ministro sulla sua adesione al piano Trump fossero state vere», ha detto il portavoce del ministero degli Esteri Majed al-Ansari, che ha anche accusato Tel Aviv di aver modificato il piano discusso dai leader arabi e musulmani con Washington prima della sua pubblicazione.
Tuttavia gli spiragli non mancano. «Tutte le parti stanno spingendo per raggiungere un accordo», ma ci vorranno giorni, ha detto il portavoce.
Al-Ansari ha ribadito che il futuro di Gaza deve restare nelle mani dei palestinesi. «La ricostruzione [di Gaza] richiederà il sostegno internazionale, ma gli affari palestinesi devono rimanere nelle mani dei palestinesi che hanno la libertà e la libertà di determinare il loro futuro».
Aspirazioni che non sembrano conciliabili con il discorso alla Casa Bianca tenuto dal premier Benjamin Netanyahu.
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