Sono trascorsi 25 anni da quando a Roma, nella sede della Fao, la Conferenza diplomatica che riuniva i rappresentanti di 160 Stati scoppiò in un fragoroso applauso: alle 22.50, il Presidente Conso aveva annunciato i 120 voti a favore della maggioranza assoluta, raggiunti sui 148 Stati votanti. Lo Statuto della Corte penale internazionale (Cpi) era finalmente diventato una realtà. Dal quel momento tra i giuristi di tutto il mondo si ricorderà lo Statuto di Roma. Si trattava di un percorso iniziato da lontano con i principi affermati nelle origini del Diritto internazionale umanitario, con le prime Convenzioni dell'Aja e di Ginevra, e rimasto incompiuto per lungo tempo.

Solo con i Tribunali di Norimberga e Tokyo, e in seguito con i Tribunali per la ex Jugoslavia e del Ruanda si palesarono le condanne dei criminali di guerra, ma con tutti i limiti dei tribunali ad hoc, costituiti sull'emergenza e con un quadro giuridico ancora non ben definito. Lo Statuto della Corte si presenta oggi come la base giuridica più compiuta che definisce i crimini di genocidio (art.6), i crimini contro l'umanità (art.7), i crimini guerra (art. 8), e, dopo la Conferenza di Kampala del 2010, anche l' aggressione (art.8-bis), ovvero l'attacco illegittimo contro la sovranità degli Stati, in violazione dei principi della Carta delle Nazioni Unite.

La Corte interviene sulla base del principio di complementarietà, ovvero qualora gli Stati "non vogliano o non possano" giudicare i colpevoli. Fondamentali sono poi alcuni principi, come l'obbligo degli Stati di dare esecuzione ai provvedimenti della Corte, inclusi i mandati di arresto e le sentenze di condanna, ovunque nei loro territori, e in quelli ove operano le loro forze armate, anche quando i crimini internazionali commessi dagli imputati non siano stati diretti contro di essi e i loro cittadini. Inoltre per i crimini di competenza della Corte non operano né la prescrizione, né le immunità funzionali o personali.

La guerra in Ucraina

La guerra in Ucraina ha mutato lo scenario. Si è discusso sulla scelta "politica" di ricorrere alla giustizia internazionale che contrasterebbe con il fine di avviare un percorso per la pace. Tuttavia di fronte alle distanze tra gli attori per l'avvio dei negoziati, e alla protervia e alle brutalità della condotta della guerra, è prevalsa la prospettiva di sostenere l'Ucraina con l'aiuto armato e con tutti gli altri strumenti che aggravano l'isolamento internazionale della Russia.

Peraltro l’affermazione dei principi dello Statuto di Roma, come l’incriminazione per le guerre di “aggressione”, può porre una base solida da cui partire per definire un processo di pace equo, giusto e giuridicamente valido, che garantisca da qualsiasi “resa incondizionata” sotto la minaccia di un aggressore.

La svolta si è avuta con la scelta compiuta da una significativa rappresentanza di Stati che ha voluto dare forza e legittimazione al procuratore della Corte. Tra i promotori sono apparsi in testa la Lituania, l'Italia e tutti gli altri paesi dell'Unione europea, ma anche Regno Unito, Australia, Canada, Colombia, Costa Rica, Georgia, Islanda, Lichtenstein, Nuova Zelanda, Norvegia, Svizzera, e Irlanda.

Il mandato per Putin

Una complessa «comunità di diritto» si è costituita attorno al sistema della Corte, che perciò ha potuto esprimersi per la prima volta durante una guerra in corso. Il 17 marzo 2023 su richiesta del procurtatore la Camera preliminare ha emesso nei confronti del presidente Putin e della Commissaria per i diritti dei minori Maria Lvova-Belova i primi mandati d'arresto con l'accusa di deportazione e trasferimento illegale di minori ucraini dalle zone occupate dell'Ucraina alla Federazione russa. Il mandato d'arresto emesso dalla Pre Trial Chamber dell' Aia è dunque solo un'anticipazione di un'iniziativa giudiziaria su altri fronti.

La guerra ha posto in evidenza anche un’altra criticità: la Corte penale internazionale non può procedere per l’aggressione all’Ucraina, il laedership-crime che si delinea a monte nella irresponsabile scelta deli vertici della Federazione Russa di violare la sovranità dell’Ucraina. La Russia non ha ratificato lo Statuto di Roma, come peraltro gli Stati Uniti e la stessa Ucraina, che pure ha aderito al sistema della Corte per gli altri crimini internazionali. Né ovviamente ci si può aspettare una determinazione nel senso dal Consiglio di Sicurezza dell’Onu, dove siede la Russia con potere di veto. Zelensky ha promosso l’idea di costituire un Tribunale speciale per l’Ucraina, che è stata rilanciata dalla Presidente della Commissione europea von der Leyen e poi formalizzata in occasione del 24º vertice UE-Ucraina del 2 febbraio 2023.

Il documento della Commissione chiarisce che “sostiene pienamente la Cpi nelle sue indagini sui crimini di guerra e sui crimini contro l’umanità”, dichiarandosi pronta a “perseguire il crimine di aggressione della Russia”, ipotizzando due modelli: un tribunale internazionale indipendente basato su un trattato multilaterale, o un tribunale ibrido, cioè un organismo giudiziario nazionale integrato con giudici internazionali. La linea che i giuristi europei potrebbero mettere a fuoco è quella di sostenere una risoluzione dell’Assemblea degli Stati parte o un accordo tra Unione Europea, vari Stati garanti, Ucraina e la stessa Corte penale internazionale, che perciò non sarebbe esclusa o superata dal processo.

Intanto a breve il Parlamento di Kiev potrebbe ratificare integralmente lo Statuto della Corte penale internazionale, mentre il 3 luglio è sorto il Centro internazionale per il perseguimento del crimine di aggressione contro l'Ucraina (ICPA). Come indicato da The Guardian, si tratta di una “piattaforma innovativa” voluta dal vertice della Commissione di febbraio, ora costituita all’Aja, nella sede di Eurojust, l’Agenzia dell’Unione Europea per la cooperazione penale, di cui ha diretto sostegno: indiscussa è dunque la sua piena rilevanza giuridica in un processo in divenire dei modelli di giurisdizione internazionale.

Di fatto è la struttura che si poggia sulla rete sviluppatasi dalle fasi iniziale della guerra, costituita grazie ai primi 14 paesi europei che hanno voluto far collaborare i loro esperti e le procure nazionali con quella ucraina, e soprattutto con il prosecutor della Corte penale internazionale. Al cuore del sistema c’è il Core International Crimes Evidence Database (CICED), gestito da Eurojust, dove è confluita la corposa documentazione probatoria sugli altri crimini internazionali (genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra), e che ora sarà rilevante anche per il crimine di aggressione.

La costituzione del Centro è il segnale che saranno compiuti gli altri passi tracciati dall’UE e che in ogni caso dall’Aja l’expertise di Eurojust e delle procure nazionali (per ora di Lituania, Lettonia, Estonia, Polonia e Romania) sta assicurando la fase decisiva della raccolta delle prove. Anche gli Stati Uniti hanno sottoscritto un memorandum d’intesa con l’ICPA designando un procuratore speciale per l’aggressione all’Ucraina.

Ritrovare lo “spirito”

All’Italia spetterebbe ancora promuovere qualcosa di concreto: il varo del Codice dei crimini internazionali da tempo in gestazione tra governo e parlamento, e la riapertura alla firma dello Statuto per estenderne l’adesione. La catastrofe umanitaria compiutasi in Ucraina potrebbe convincere anche gli Stati Uniti a ritornare sui loro passi per aderire pienamente al sistema della Corte, e ciò comporterebbe davvero affermare universalmente i principi della giustizia penale internazionale e rendere compiuto e indelebile lo sdegno dell’umanità contro le atrocità della guerra.

L’Italia potrebbe farsi carico anche di una nuova iniziativa da intraprendere in seno alla Assemblea Generale delle Nazioni Unite o a quella degli Stati parte della Corte con una radicale proposta di revisione dello Statuto: con una Risoluzione adottata a maggioranza dell’Assemblea dell’Onu o degli Stati parte dello Statuto, e a seguito di un referall presentato da almeno 40 Stati dovrebbe consentirsi al Prosecutor di procedere direttamente pure per l’aggressione, ed anche nei confronti degli Stati che non hanno ratificato lo Statuto. Significherebbe dare un senso compiuto agli anniversari e far rivivere lo “spirito” dello Statuto di Roma.

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