Al sesto giorno della tregua che ha portato finora alla liberazione di 60 ostaggi israeliani, scambiati con il triplo di detenuti palestinesi, l’esercito dello stato ebraico ha comunicato di essere pronto a riprendere le ostilità con Hamas a Gaza. Nel tardo pomeriggio, le autorità israeliane erano in attesa della consegna dell’ultimo gruppo di 10 ostaggi, la cui lista era stata comunicata precedentemente da Hamas. Le famiglie erano state già informate.

Sono state liberate anche due prigioniere russo-israeliane, Yelena Trupanov, 50 anni, e la madre Irena Tati, di 73 anni. Le trattative in Qatar tra le parti coinvolte sono continuate nel tentativo di poter estendere ulteriormente il cessate il fuoco e permettere la liberazione di altri ostaggi. Tuttavia, i negoziati sono stati complicati dalla notizia, divulgata da Hamas, che il più giovane tra gli ostaggi, Kfir Bibas, di 10 mesi, è rimasto ucciso insieme a suo fratello di quattro anni e a sua madre durante un bombardamento israeliano a Gaza.

«Stiamo aspettando conferme rispetto a questa notizia e speriamo venga confutata dai militari. Ringraziamo la gente di Israele per il suo caloroso appoggio, ma chiediamo gentilmente di rispettare la nostra richiesta di privacy in questo difficile momento», ha dichiarato la famiglia Bibas in un comunicato diffuso dal Forum degli ostaggi e delle persone disperse. L’esercito israeliano ha fatto sapere che sta verificando la versione di Hamas.

I racconti

Nel frattempo, iniziano ad affiorare i primi racconti degli ostaggi liberati: la maggior parte sono in cura in ospedale e le loro testimonianze sono mediate dai parenti che le hanno raccolte. Il quadro emerso finora è di maltrattamenti, incertezze, squallore e di forte paura. Difficile non pensare che i circa 50 giorni di prigionia a Gaza lasceranno delle forti cicatrici emotive, oltre a quelle fisiche. Secondo Deborah Cohen, la zia del dodicenne israelo-francese Eitan Yahalomi, liberato lunedì sera, i miliziani di Hamas avrebbero costretto dei bambini tenuti ostaggi a guardare video delle atrocità commesse il 7 ottobre, quando sono stati uccisi 1.200 israeliani.

Questi video sono stati girati da Hamas stessa in tempo reale con cellulari o piccole videocamere indossate dai miliziani. Vari frammenti di questi video sono stati anche postati sui social media. Cohen ha anche raccontato che durante i primi giorni di prigionia Eitan è stato picchiato ripetutamente da abitanti di Gaza e che i miliziani minacciavano con i fucili i bambini che piangevano. «Eravamo così contenti quando Eitan è stato liberato», ha detto Cohen all’emittente francese Bfm. «Ma ora che sappiamo tutto questo, sono preoccupata. È inimmaginabile. Volevo credere che Eitan fosse stato trattato bene. Ma pare di no. Quelle persone sono dei mostri».

Altri ostaggi hanno parlato di aver ricevuto minacce di morte durante la prigionia. Merav Mor Raviv sostiene che i carcerieri di sua cugina Keren Munder, del figlio di Munder Ohad e della madre Ruth hanno fatto loro, più volte, il gesto di tagliargli la gola se si rifiutavano di obbedire agli ordini impartiti. Ruth ha raccontato di aver saputo dell’uccisione del figlio Roy durante l’agguato al kibbutz Nir Oz, vicino al confine con la Striscia di Gaza, dalla radio che ascoltavano i suoi carcerieri di Hamas. Sono tutti dimagriti e denutriti. Sono stati anche spostati da un posto all’altro durante la prigionia, spesso in uno stato di totale disconnessione dal mondo esterno, come hanno riferito quasi tutti gli ostaggi liberati.

I sussurri di Emily

Emily Hand, la bambina israelo-irlandese al centro di una polemica fra il governo israeliano e quello di Dublino per un tweet del premier irlandese Leo Varadkar, secondo cui Emily era stata «persa e poi ritrovata» e non rapita, pensa di essere stata ostaggio a Gaza per un anno. Emily, come pure Hila Rotem Shoshani, un’altra bambina tredicenne con cui è stata tenuta ostaggio a Gaza, non parla normalmente ma sussurra.

«Ho dovuto mettere il mio orecchio attaccato alla sua bocca per sentire cosa dicesse. Mentre era ostaggio le è stato detto di non fare alcun rumore. Si può vedere il terrore nei suoi occhi», ha detto il padre Thomas alla Cnn. «L’altra sera ha pianto fino ad avere la faccia tutta rossa, non riusciva a fermarsi. Si è messa sotto le coperte e ha pianto silenziosamente».

Molti di questi racconti contrastano con la versione che ha sempre dato Hamas di aver trattato bene gli ostaggi. Immagine che ha cercato anche di trasmettere al mondo attraverso quell’atteggiamento quasi amichevole con cui i miliziani hanno accompagnato i sequestrati al punto di incontro con la Croce Rossa a cui venivano consegnati per il trasferimento in Israele. In quei video si vede anche come i miliziani, a viso completamente coperto salutavano gli ostaggi che venivano caricati delle jeep dell’organizzazione umanitaria.

I medici che hanno visitato gli ostaggi liberati parlano di persone traumatizzate che hanno bisogno di supporto psicologico più che di assistenza medica, almeno nella maggior parte dei casi. Danny Brom, direttore del centro israeliano per i traumi psicologici Metiv ha detto all’agenzia Reuters che molti degli ostaggi avranno bisogno di parlare e che ciò che deve essere ricreato è un senso di controllo.

«Le persone che hanno vissuto cose orribili non sono malate», ha spiegato Brom. «Devono affrontare queste cose, hanno bisogno di spazio, di tempo e un ambiente accogliente per farlo, ma non necessariamente in ambito ospedaliero».

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