Probabilmente Joe Biden non dorme sonni tranquilli da un po’, ma di sicuro dal 3 gennaio le cose sono di molto peggiorate. La data ha segnato l’inizio della nuova sessione parlamentare, con le nuove maggioranze uscite dalle urne delle elezioni di midterm dello scorso novembre: i democratici in vantaggio di due seggi al Senato, ma in minoranza alla Camera dei Rappresentanti.

Un Congresso zoppo, insomma; o come si dice tecnicamente diviso. Che è il peggio che possa capitare ad un Presidente degli Stati Uniti, perché senza l’appoggio del Congresso – e di entrambe le camere del Congresso, ovviamente – non si canta messa. E il noto adagio viene proprio a proposito, perché i problemi veri arrivano quando si parla di soldi.

Biden è riuscito all’ultimo minuto utile a far approvare il bilancio al vecchio Congresso, e questo gli ha consentito di tirare un gran sospiro di sollievo. Se non ci fosse riuscito, senza quello, avrebbe dovuto dichiarare lo shutdown, sospendendo gran parte dei servizi pubblici federali, con una perdita enorme in termini di ricchezza nazionale e di immagine.

Pericolo scampato, perché la legge contenente l’autorizzazione alla spesa pubblica è arrivata il 29 dicembre – appena un giorno prima del possibile baratro –, grazie all’aiuto, va detto, di qualche repubblicano responsabile al Senato.

Il tetto al debito

Quello in cui il Presidente non è riuscito, invece, è stato far approvare al Parlamento l’innalzamento del tetto alla spesa pubblica, che – conformemente alle previsioni – è stato sforato qualche giorno fa. Si tratta del limite massimo consentito al Governo per far fronte alle spese già autorizzate con precedenti leggi, ed è solo da poco, in realtà, che il Parlamento è di nuovo libero di rimodularlo.

Nell’agosto del 2011, il presidente Obama aveva fatto approvare una legge che di fatto congelava il tetto alla spesa per dieci anni, lasciando alla Casa Bianca direttamente la possibilità di sue ridefinizioni. I dieci anni son scaduti nell’autunno del 2021, e tutto è tornato nelle mani del Congresso, che è già intervenuto ad alzare il tetto nell’ottobre di quell’anno, dopo che, ad inizio agosto, il Tesoro ne aveva annunciato lo sfondamento.

Ora siamo di nuovo punto e a capo. Che il limite alla spesa pubblica sarebbe stato presto superato, lo si sapeva già da quest’estate. A fine ottobre, appena prima delle elezioni, Biden aveva dichiarato che nulla più di un nuovo sforamento del tetto «creerà più caos, più inflazione e infliggerà più danni all’economia americana». Perché se il limite si raggiunge, allora vuol dire che il Governo degli Stati Uniti non è in grado di far fronte ai suoi debiti, e questo ha un effetto devastante (oltre che in via immediata sui servizi offerti ai cittadini) sui flussi degli investimenti.

A quel fondo, non si è ancora arrivati. È vero che, come ha immediatamente segnalato il Tesoro al Congresso, il 19 gennaio scorso è stato raggiunto il limite, che era fissato a 31,4 bilioni di dollari. Ma per evitare il default il Tesoro può adottare – e sta già adottando – delle misure straordinarie. Saranno venduti alcuni investimenti esistenti e saranno sospese alcune operazioni di reinvestimento, ma queste misure straordinarie non potranno essere garantite oltre il 5 giugno.

E, allora, l’unica strada per evitare il default sarà un innalzamento del tetto alla spesa pubblica, con una legge approvata dalle due Camere del Congresso. Che non sarà proprio un’avventura facilissima. Per Biden e per i suoi è l’unica strada per evitare la responsabilità del collasso, ma alla Camera sono minoranza, e da soli non ce la fanno. E al Senato, sì, hanno due seggi in più, ma lì i repubblicani possono mettersi di traverso con una strategia di ostruzionismo che può essere superata soltanto dal voto di sessanta senatori (su cento), e i democratici son solo cinquantuno.

Quello su cui si può sperare è il senso di responsabilità del Grand Old Party, che certo, in questo momento, non è proprio monolitico. L’elezione di McCarthy a speaker della Camera dopo ben quindici scrutini, mano a mano che si assottigliava l’opposizione interna, dà la speranza che un blocco di repubblicani forse non si piegherà mai, ma che un numero di responsabili si troverà. E, forse, si potrà di nuovo prender fiato dinanzi all’ennesimo pericolo scampato.

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