Il presidente americano, Joe Biden, è in una posizione politica insostenibile, con i sondaggi in calo sebbene la situazione economica sia favorevole e si vada verso un “soft landing”, un atterraggio morbido con i consumi trainati non dai risparmi ma dai consistenti aumenti salariali.

Da un lato per ragioni elettorali, il capo della Casa Bianca vorrebbe stare fuori dai conflitti esplosi nel mondo e possibilmente continuare a ritirare le truppe come ha fatto, forse troppo precipitosamente, dall’Afghanistan; ma quel che resta della politica dell’egemonia americana e dell’internazionalismo “liberal” lo costringe a intervenire, a ordinare strike aerei e navali, a difendere gli interessi della comunità internazionale nel mar Rosso per garantire la libertà dei commerci navali e ciò che resta della globalizzazione.

Biden ha sostenuto senza reticenze, militarmente ed economicamente, l’Ucraina mettendo in chiaro che non avrebbe mai mandato sul terreno soldati americani. Nello stesso tempo appoggia Taiwan contro le mire di Pechino fornendo armi e sostegno finanziario.

La nuova Ground zero

Anche nella ultima drammatica vicenda della guerra tra Israele e Hamas, pur dando un forte sostegno a Tel Aviv, sta cercando di evitare che il conflitto dilaghi e sta provando a porre le basi per una pace duratura che preveda uno stato palestinese smilitarizzato e la fine del sostegno ai 700mila coloni nella West Bank. Il problema nel problema è che Teheran non ha il pieno controllo dei suoi alleati che si estendono nella cosiddetta mezzaluna sciita.

Questi gruppi hanno obiettivi e rivendicazioni diverse, che a volte si sovrappongono, e il regime di Teheran non sembra avere pieno controllo sulle azioni operative di questi gruppi. Molti analisti si chiedono se la Tower 22 della base americana in Giordania colpita sabato scorso dai droni e che ha provocato 3 morti tra i soldati Usa oltre a numerosi feriti possa diventare la nuova “Ground zero” dell’America.

Cioè il pretesto o la causa scatenante di un nuovo coinvolgimento di Washington nell’area. I leader dei paesi moderati del Medio Oriente invitano alla prudenza e sono preoccupati per la prospettiva di attacchi statunitensi contro le milizie filoiraniane in Siria e Iraq, che potrebbero portare a un’ulteriore escalation difficilmente controllabile.

Il segretario alla Difesa, Lloyd Austin, 70 anni, ha detto giovedì in conferenza stampa che il Pentagono si sta preparando a reagire all’attacco, la prima volta che i suoi soldati sono stati uccisi in un’ondata di violenza crescente in tutta la regione da parte di gruppi filoiraniani dall’inizio della guerra a Gaza.

Un elefante in una cristalleria

Biden avrebbe evitato la rappresaglia, ma sa che non può lasciare che la “linea rossa” della morte dei suoi soldati venga superata senza reagire. Il riluttante gendarme del mondo occidentale non può restare inerme o passivo di fronte ai ricorrenti attacchi di gruppi militanti il cui unico scopo è diffondere il caos e sperare che Washington, per colpire una fastidiosa mosca distrugga, come un elefante in una cristalleria, tutti gli equilibri fin qui raggiunti così come fece, incautamente, George W. Bush quando invase l’Afghanistan.

Ma il presidente degli Stati Uniti deve nel contempo agire con fermezza senza iniziare una guerra più ampia con l’Iran. Biden ha detto di aver già deciso una risposta efficace e proporzionata, che dovrebbe comportare strike di più giorni.

Il Kataeb Hezbollah in Iraq ha annunciato l’interruzione degli attacchi contro gli americani. Probabilmente l’Iran, in zona Cesarini, ha premuto per una cessazione dei raid, ma probabilmente è troppo poco e troppo tardi per fermare la macchina del Pentagono.

Sperando che la risposta non superi a sua volta una linea rossa dell’avversario. Senza dimenticare che sono circa 800 i firmatari della prima lettera «transatlantica», che vede funzionari sia europei che americani unirsi insieme in opposizione alle politiche dei loro governi nella guerra di Israele contro Hamas a Gaza e a favore del cessate il fuoco a Gaza.

Segno di una fatica morale dell’occidente a sostenere una guerra che, come ha scritto il New York Times, prevede incendi di case, ospedali e moschee nella Striscia di Gaza a opera dell’esercito di Israele.

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