L’operazione Midnight Hammer colpisce i siti nucleari iraniani ma avrà effetti di lungo raggio su tutto l’assetto internazionale, compromettendo ulteriormente il rules-based order. Teheran chiama in soccorso Putin e minaccia di chiudere lo stretto di Hormuz. Ue inerme
Quando i governi di tutto il mondo, compreso palazzo Chigi, notano che servirà tempo per «una valutazione precisa dei danni» scatenati dal Midnight Hammer – il «martello di mezzanotte», come l’amministrazione Trump ha battezzato il suo attacco ai tre siti nucleari iraniani avvenuto nella notte di sabato – si riferiscono ufficialmente ai danni militari e nucleari, sui quali peraltro si moltiplicano gli elementi contraddittori.
Nel suo annuncio assieme a Vance, Rubio e Hegseth, in una scenografia da quattro cavalieri dell’apocalisse, il presidente Usa si era affrettato a dire che «i siti nucleari chiave dell’Iran sono stati completamente annientati», ma una fonte politica iraniana di alto livello è andata a spifferare ai media (Amwaj) che – a suo dire – sabato l’amministrazione Usa aveva preallertato l’Iran, segnalando che non era in cerca di uno scontro totale ma solo sui tre siti; Fordow, Isfahan e Natanz erano stati quindi evacuati, e «la maggior parte» dei depositi di uranio arricchito spostati altrove.
«Siete proprio certi che i siti siano totalmente distrutti?», è stato domandato questa domenica al vicepresidente Usa J.D.Vance; e lui ha sardonicamente risposto che «ho fiducia di sì, sostanzialmente sì, penso che dopo questa azione serviranno molti anni prima che l’Iran sviluppi il nucleare».
Colpo all’ordine globale
Ma sono altri i danni più complessi da soppesare, quelli che nessuno – neppure Trump – può e vuole prevedere.
Il tycoon prova a stordire il suo elettorato con pornografia della guerra e retorica del dominio («spettacolare successo militare», di cui «nessun altro sarebbe capace») propinando alla sua base l’illusione di un attacco one shot, a colpo unico e mirato, ma lui stesso ammette che altri ne potrebbero seguire.
L’Iran avverte sulle conseguenze a lungo termine del «martello». È un segnale il fatto che questa domenica il parlamento iraniano abbia detto sì a una chiusura dello stretto di Hormuz, snodo energetico internazionale, seppur la decisione finale non sia presa in quell’aula ma dal Consiglio supremo. (Per fermarla, i trumpiani come Vance e Rubio la hanno definita «un suicidio» per l’Iran, invocando pure un freno di Pechino). Ed è un segnale pure che il ministro degli Esteri iraniano veda Vladimir Putin questo lunedì.
Da energia e prezzi, fino all’Ucraina, la destabilizzazione in corso non può non avere esiti di lungo raggio, anche per gli europei, soprattutto nell’eventualità – che gli analisti ventilano – che Trump possa barattare con Putin tra i due dossier, Ucraina (vicina all’Ue) e Medio Oriente (in cui si è ficcato con Netanyahu).
Ed è questa la vera svolta del weekend: che il «martello» non si è abbattuto solo su tre siti nucleari, ma sul diritto e sull’ordine internazionale con effetti dai quali nessuno può dirsi escluso. La mossa aggressiva trumpiana è un colpo al rules-based order: contribuisce a scardinare il già compromesso ordine internazionale basato sul diritto, ed è sia effetto che prodromo di attacchi allo stato di diritto in Usa; nasce scavalcando il Congresso (tanto che tra i dem si invoca l’impeachment) e può tradursi in ulteriore abuso di poteri emergenziali (a cui Trump è avvezzo).
Riflessi lenti
Dopo che il «martello» ha colpito, lo scambio di colpi nella regione si è acuito: l’Iran ha lanciato missili contro Israele, che venerdì 13 giugno aveva inaugurato gli scontri. «L’amministrazione Usa ha agito nel disprezzo del diritto e in modo guerrafondaio: è l'unica responsabile degli effetti della sua aggressione e delle implicazioni», ha dichiarato in mattinata il ministro degli Esteri iraniano, Araghchi, avviando consultazioni con «la regione», con la Turchia, e annunciando l’incontro di questo lunedì al Cremlino per «serie consultazioni».
Tra le mosse immediate di Teheran, la richiesta di una sessione speciale del Consiglio di sicurezza Onu. Ora che ha colpito, l’amministrazione Trump intima all’Iran di non contrattaccare e cercare l’uscita diplomatica; ma Araghchi dice che gli Usa col loro intervento hanno rotto questa opzione: «Già non ci fidavamo molto degli Usa, ma non avremmo proprio dovuto fidarci. I negoziati si sono rivelati una copertura per attacchi già pianificati».
I governi europei che erano a Ginevra con Araghchi continuano a parlare di via diplomatica, ma le dichiarazioni di Ursula von der Leyen e Kaja Kallas dopo l’hammer cominciano con: «L’Iran non deve avere la bomba». Questo lunedì i ministri degli Esteri Ue si incontrano: avevano in programma di decidere cosa fare con l’accordo Ue-Israele, dopo che un rapporto ha già sancito che il governo Netanyahu viola il diritto umanitario e quindi l’articolo 2. Ma le capitali che si coordinano con Washington – a partire da Berlino – non si dissociano dalle mosse del duo Bibi-Trump, anzi.
Oltre a sentire Parigi, Londra e Berlino, domenica mattina Giorgia Meloni – che questo lunedì interverrà in aula – ha chiamato anche Elly Schlein, che poi ha chiesto pubblicamente chiarezza sull’uso delle basi Usa in Italia e il nostro coinvolgimento, proclamandosi contraria.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha ammesso questa domenica che lo spostamento di militari italiani in Iraq avvenuto il giorno prima (sotto l’etichetta di «esigenze di maggiore operatività») era il seguito di un avvertimento Usa «di fare allontanare i nostri militari che erano nella base vicino all'aeroporto. Quindi, l'attacco era nell'aria».
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