Indietro tutta, o avanti adagio se si preferisce: il teologo e artista gesuita Marko Rupnik, i cui mosaici decorano alcuni dei santuari più celebri del mondo, sarà processato dal Vaticano per numerosi casi di abuso sessuale di cui è accusato da circa una ventina di donne appartenenti alla Comunità religiosa Loyola da lui stesso fondata nei primi anni Novanta. La decisione l’ha presa il papa su indicazione della Pontificia commissione per la tutela dei minori e segna l’ennesima svolta nella vicenda dopo che nel settembre scorso, il Vicariato di Roma, ovvero la diocesi del papa, aveva portato a conoscenza dei media i risultati di un’indagine svolta presso il Centro Aletti, altra istituzione culturale e artistica fondata da Rupnik (dove pure sarebbero avvenuti degli abusi), facendo sapere che non erano stati riscontrati problemi di sorta e mettendo anzi in dubbio il castello di accuse che si era accumulato sulle spalle dell’ex gesuita. ‘Ex’ perché, sia pure con un certo ritardo e qualche omissione di troppo, nel frattempo la Compagnia di Gesù aveva proceduto ad espellere il religioso dall’Ordine.

Vittime inascoltate

Cosa è accaduto allora tanto da far cambiare idea al papa, pure finito sotto accusa con il sospetto di aver voluto proteggere l’ex confratello?

«Nel mese di settembre - recita il comunicato con il quale il Vaticano ha reso nota la deliberazione i Bergoglio - la Pontificia commissione per la tutela dei minori ha segnalato al papa gravi problemi nella gestione del caso di Marko Rupnik e la mancanza di vicinanza alle vittime.

Di conseguenza il Santo Padre ha chiesto al Dicastero per la dottrina della fede di esaminare il caso e ha deciso di derogare alla prescrizione per consentire lo svolgimento di un processo. Il papa è fermamente convinto che se c’è una cosa che la chiesa deve imparare dal Sinodo è ascoltare con attenzione e compassione coloro che soffrono, soprattutto coloro che si sentono emarginati dalla chiesa». Dietro il linguaggio conciso del comunicato, ci sono alcuni fatti rilevanti.

In primo luogo la protesta delle vittime di Rupnik che lamentavano di non essere mai state ascoltate dal pontefice nonostante le diverse richieste avanzate in tal senso.

A questo punto la Pontificia commissione per la tutela dei minori, guidata dal cardinale Sean Patrick O’Malley, arcivescovo di Boston, che ha dedicato gli ultimi decenni all’impegno per combattere gli abusi nella chiesa, ha scritto alle vittime e le ha incontrate.

Un processo frustrante

Lo scorso 8 ottobre, riferisce la testata d’informazione religiosa Adista, Irma Patricia Espinosa Hernández, membro della Commissione vaticana, esperta di Psicologia criminale e valutazione delle vittime di abusi sessuali e degli autori di reati sessuali, direttrice della Facoltà di Psicologia dell'Uclg (Università Cattolica Lumen Gentium), in una mail indirizzata a diverse vittime spiegava come all’origine della richiesta di incontrarle, vi fosse, da parte dell’organismo vaticano, la preoccupazione di conoscere «il trattamento che Lei, e le altre vittime del caso Rupnik, avete ricevuto durante un processo che sappiamo essere stato estremamente doloroso e frustrante per voi, per le vostre famiglie, per i vostri cari e per una parte importante della chiesa, riguardo l'ascolto, l'indagine, il seguito, il sostegno e la comunicazione che vi sono stati forniti», cercando di «rivedere i processi e le azioni che sono state svolte nel suo caso particolare, per identificare come tutto ciò possa aver influito sulla legittimità del suo reclamo, dei suoi diritti e del sostegno e accompagnamento che non le sono stati dati». Sebbene la commissione non abbia il potere di aprire un procedimento giudiziario, è evidente che le informazioni raccolte sono alla base della decisione del papa di affidare al Dicastero per la dottrina della fede un nuovo processo. D’altro canto, il neo prefetto del dicastero, Victor Fernandez, se è vero che quando è entrato in carica aveva spiegato di aver assunto l’incarico solo a condizione di non occuparsi dei processi di abuso ma solo di teologia, è pur sempre uno dei pochi uomini in Curia di cui il papa si fida; non è escluso, insomma, che abbia consigliato Francesco su come muoversi. Inoltre è probabile che abbia esercitato un controllo meno rigido sulla materia lasciando di fatto alla commissione per la tutela dei minori quella libertà d’azione che del resto molti suoi membri avevano sempre richiesto nel corso degli anni.

Difensori e accusatori

Ancora non si può tralasciare che l’intervento a gamba tesa del cardinale vicario Angelo De Donatis, in difesa di Rupnik, per quanto potesse essere stato concordato con la Santa Sede (come appare probabile anche se non vi sono prove “ufficiali” in proposito), aveva suscitato diversi malumori. Non da ultimo la conferenza episcopale slovena che, poco meno di un anno fa, prendeva le distanze totalmente dall’ex gesuita e chiedeva perdono alle vittime. Per questo ha destato scalpore, nei giorni scorsi, la notizia che Rupnik sia stato incardinato nella diocesi slovena di Capodistria retta dal vescovo Jurij Bizjak, che anzi in un comunicato faceva sapere: «Il vescovo di Capodistria lo ha accolto in base al decreto di dimissione dalla Compagnia di Gesù, alla sua richiesta di incardinazione nella diocesi di Capodistria, nonché al fatto che il vescovo non dispone di alcun documento probatorio che dichiari Rupnik colpevole degli abusi, di cui è stato accusato, davanti a un tribunale civile o ecclesiastico».

Sembra che la cosa non solo abbia suscitato il malumore degli altri vescovi sloveni, ma anche le autorità politiche del Paese non vedono di buon occhio la decisione di far tornare Rupnik in Slovenia. Così, prima che il caso si trasformi anche in un’imbarazzante crisi diplomatica, il papa ha deciso di rompere gli indugi e di intervenire.

Anche perché in Vaticano è in corso, arrivato alle battute conclusive, il sinodo generale della Chiesa, e certo quello degli abusi è stato uno dei temi trattati; il papa non poteva certo dare l’impressione che il chierico più vicino al potere, ai suoi vertici, godesse di un trattamento diverso rispetto agli altri, sarebbe stato un modello perfetto di quel clericalismo collocato dallo stesso Bergoglio fra le cause più profonde della crisi scaturita nella Chiesa dallo scandalo degli abusi sessuali.

Spagna, dati scioccanti

Nel frattempo, lo scandalo delle violenze compiute dai preti continua a scuotere la Chiesa in giro per il mondo, stavolta un rapporto sconvolgente arriva dalla Spagna; secondo l’indagine circa 440mila persone, l'1,13 per cento della popolazione maggiorenne spagnola, dichiara di aver subito abusi sessuali in ambito ecclesiastico e lo 0,6 per cento di essere stato vittima di un prete o un religioso cattolico negli ultimi 50 anni. La metà dei casi, circa 200 mila, riguarderebbe minori.

Il rapporto lungo 777 pagine - oltre 100 contengono le testimonianze di 487 vittime - è stato commissionato dal parlamento spagnolo al Difensore civico, una struttura indipendente che si occupa della tutela dei diritti fondamentali della persona. Ángel Gabilondo, responsabile dell’istituzione, presentando il rapporto, ha posto l'accento sul fatto che queste testimonianze «meritano di essere ascoltate». Quindi ha proposto un fondo di risarcimento statale per le vittime, denunciando, in particolare, «il silenzio di chi avrebbe potuto fare di più per prevenire» il tragico fenomeno della pedofilia nella chiesa.

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