Non c’è solo il Sudafrica a schierarsi contro Israele. La causa intentata presso la Corte internazionale di giustizia (Cig) alla fine dello scorso anno contro lo stato ebraico accusato di genocidio sta producendo un effetto domino tra gli stati e le opinioni pubbliche del continente e innescando posizionamenti sempre più netti.

Il primo paese ad affiancare Pretoria è stato la Namibia. Il presidente Hage Geingob si è subito pronunciato a sostegno della causa per poi si scagliarsi ferocemente contro la Germania accorsa in difesa di Israele. «La Germania», ha detto, «non può esprimere moralmente l’impegno verso la Convenzione dell’Onu contro il genocidio e sostenere allo stesso tempo l’equivalente di un Olocausto a Gaza».

Dietro tale affermazione non c’è solo l’irritazione per un mancato allineamento, ma anche la rabbia per un passato coloniale incancellabile. La Germania, infatti, ex colonizzatrice della Namibia, ha commesso lì il primo genocidio del XX secolo (1904-1908), Circa l’80 per cento del popolo Herero e il 50 per cento dei Nama dell’allora Africa sud-occidentale tedesca sono morti dopo essere stati spinti nel deserto dai soldati tedeschi che avevano precedentemente sigillato le pozze d’acqua.

Decine di migliaia di namibiani sono stati massacrati o sottoposti a esperimenti raccapriccianti per dimostrarne l’inferiorità razziale. In quelle che gli storici descrivono come le drammatiche prove generali per lo sterminio degli ebrei di alcuni decenni dopo, trovarono la morte circa 75mila persone. Secondo il presidente Geingob la posizione della Germania dimostra «l’incapacità di trarre lezioni dalla sua orribile storia».

Gli altri

«Come individui, organizzazioni e movimenti sociali della società civile», recita un appello di qualche giorno fa che porta firme pesantissime del mondo politico, culturale e sociale del Mozambico, «esprimiamo il nostro pieno e incondizionato sostegno a questa iniziativa del Sudafrica e chiediamo al governo del Mozambico di prendere una posizione pubblica e inequivocabile a sostegno di questo causa alla Corte internazionale di giustizia. Chiediamo inoltre al nostro governo di interrompere qualsiasi rapporto con lo Stato di Israele e al Sadc (Comunità di sviluppo dell’Africa meridionale) e all’Unione Africana di prendere le misure necessarie affinché un maggior numero di Stati africani si attivi per condannare gli atti perpetrati da Israele».

La Tunisia annuncia di non voler appoggiare alcuna azione legale contro Israele non perché non la condivida, ma perché il suo presidente Saied vuole evitare «ogni azione che riconosca, anche indirettamente, l’esistenza legale dello stato ebraico».

Fa parte, però, assieme a Egitto, Libia, Marocco dell’Organizzazione della cooperazione islamica, il secondo blocco multinazionale più grande al mondo, subito scesa in campo a fianco del Sudafrica.

C’è una lunga tradizione che lega il Sudafrica alla Palestina e, allo stesso tempo, caratterizza il paese dell’Africa australe per le sue posizioni anti Israele. Dopo il suo rilascio dal carcere, Nelson Mandela strinse una relazione con l’Organizzazione per la liberazione della Palestina di Yasser Arafat, che aveva sostenuto la lotta dell’Anc contro l’apartheid mentre Israele sosteneva il regime della minoranza bianca.

A febbraio scorso, poi, in occasione dell’apertura del vertice dell’Unione africana, una delegazione di osservatori israeliani guidata dall’ambasciatrice Sharon Bar-Li è stata platealmente espulsa dalla plenaria. In quell’occasione il ministero degli Esteri di Tel Aviv aveva dichiarato: «È triste vedere che l’Unione africana sia in ostaggio di un piccolo numero di paesi estremisti come l’Algeria e il Sudafrica».

Il continente

Nel complesso, l’Africa, per il suo passato di soggiogamento al potere coloniale e per una sofferta storia di liberazione dall’oppressione di potenze occupanti e colonizzatrici, continua in massa a identificarsi con i palestinesi e la loro lotta per una patria indipendente e libera.

Quando, a dicembre, l’Assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato una risoluzione che chiedeva un cessate il fuoco umanitario a Gaza, la maggior parte dei paesi africani si è espressa a favore della mozione. La netta maggioranza dei paesi africani(52 su 55, ndr), poi, ha riconosciuto la Palestina come Stato sovrano.

Ma non è solo Israele, come scrive Nesrine Malik sul Guardian, a essere sotto processo. Il Sudafrica, si pone alla testa del Global South e mette alla prova la pretesa di superiorità morale dell’occidente. Le fa eco sul New York Times David Monyae, direttore del Centro di studi Africa-Cina dell’Università di Johannesburg, per il quale «intentando una causa per genocidio contro Israele, il Sudafrica non si è limitato a chiamare a giudizio il governo israeliano, ma ha anche sfidato l’ordine globale del secondo Dopoguerra guidato dal principale alleato di Israele, gli Stati Uniti.

Il caso ha dimostrato che una nazione africana può farsi avanti per denunciare quello che alcuni considerano il doppio standard dei paesi occidentali in materia di diritti umani».
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