C’è un video che esplicita meglio di qualunque altra cosa ciò che accade in Libia a danno dei migranti africani che sono in attesa di raggiungere l’Europa. Le immagini ritraggono un adolescente di 15 anni di origini sudanesi di nome Mazen Adam rapito lo scorso 30 agosto da uomini armati che gli puntano contro un fucile e chiedono soldi per il suo riscatto. «Dove sono i soldi? Dov’è il denaro?», gli urlano i trafficanti. Da un angolo attaccato al muro il giovane implora e grida: «Lo giuro, non ce li ho».

Adam è un rifugiato del Darfur, dove è in corso un conflitto civile sanguinario che va avanti dal 2003, e insieme a suo padre e tre fratelli vive in Libia dal 2017. Sua madre è morta in un incendio scoppiato nella loro casa in Sudan durante un episodio di violenza tribale, e da quel momento la famiglia si è stanziata nel paese nord africano dove hanno ottenuto lo status di rifugiati da parte dell’Unhcr, in attesa di raggiungere l’Europa.

A poche ore dalla diffusione del video anche suo padre, Mohammed Adam, è stato rapito. Sono entrati nella casa in cui vive nella parte sud occidentale della Libia e lo hanno prelevato con la forza. Tutta la famiglia era già stata rinchiusa per tre mesi in un centro di detenzione nella città di Ain Zara lo scorso gennaio prima di essere stati rilasciati insieme ad altri migranti grazie all’intervento delle Nazioni unite.

Interpellata dall’Associated Press, l’Unhcr ha detto di essere a conoscenza del caso e che stanno seguendo la situazione insieme alla famiglia. Intanto, gli altri tre figli di Mohammed Adam si trovano in una loro struttura a Tripoli, in attesa di notizie. «Non sappiamo dove siano nostro padre e nostro fratello», ha detto la figlia Rehab sempre all’agenzia stampa. «Se Dio vuole, ci riuniremo presto», ha aggiunto.

Le violazioni dei diritti umani

La storia del giovane Adam e di suo padre è molto comune in Libia, centro del flusso migratorio che dal continente arriva in Europa. Nulla di nuovo, sono anni che ong e associazioni attive sul territorio per la difesa dei diritti umani denunciano pestaggi, torture e detenzioni a danno dei migranti commessi per mano di brigate e milizie locali. Anche l’Unhcr, l’organo delle Nazioni unite per i rifugiati, considera la Libia un paese non sicuro per i richiedenti asilo e i migranti. Ciononostante l’Unione europea continua a finanziare la guardia costiera libica per fermare le partenze.

La crisi politica libica

In Libia, da quando è caduto il regime di Muammar Gheddafi undici anni fa, il potere locale è in mano a milizie armate che si sostengono con il contrabbando di petrolio, i rapimenti e il traffico di esseri umani.

Sono uomini violenti che prendono di mira le persone più indifese, soprattutto i migranti di origine subsahariana e l’attuale crisi politica rischia di aggravare e “oscurare” le violazioni dei diritti umani.

Il governo di unità nazionale guidato da Abdel Hamid Dbeibah a Tripoli non è riuscito a completare quel processo di transizione politica richiesto dalle Nazioni unite per portare il paese fuori dalla guerra civile e iniziare un nuovo corso. A febbraio il parlamento di Tobruk ha nominato un nuovo premier, Fathi Bashagha, già ministro dell’Interno durante il governo al Serraj. Ma Dbeibah non ha intenzione di lasciare la poltrona in quanto il governo di Bashagha, dopo essersi insediato in Cirenaica con diverse difficoltà, non è ancora riconosciuto a livello internazionale.

Lo stallo politico ha portato nelle ultime settimane a nuove tensioni culminate nel tentativo da parte delle milizie che sostengono Bashagha di prendere Tripoli e spodestare Dbeibah. Un’operazione fallita e finita nel sangue con oltre 32 morti e 159 feriti. Il presidente della Turchia, Recep Tayyip Erdogan, si è posto come mediatore tra le parti ospitando i due leader libici nel paese per cercare di trovare una soluzione. Ma il paese è di fatto bloccato e i gruppi armati si stanno riorganizzando da una parte e dall’altra. Una situazione che genera caos e in maniera diretta incide anche sulla vita dei migranti come Adam.

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