Un punto di rottura, l’ha definito in una denuncia pubblicata online Aakar Patel, presidente del consiglio di amministrazione di Amnesty International India: «L’arresto di Arvind Kejriwal e il congelamento dei conti bancari del Congress poche settimane prima delle elezioni generali in India dimostrano la palese incapacità delle autorità del paese di rispettare gli obblighi internazionali in materia di diritti umani».

L’arresto

Ad aprire al mondo il vaso di Pandora dello stato dell’opposizione indiana, a poche settimane dall’avvio del processo elettorale per la democrazia più grande al mondo (le elezioni generali si svolgeranno tra il 19 aprile e il 1° giugno), è stato un arresto eccellente avvenuto il primo giorno di primavera: quello di Arvind Kejriwal, chief minister del territorio della capitale Delhi nonché leader della formazione d’opposizione Aam Aadmi Party (Aap), il “partito della gente comune” che fa parte della coalizione India insieme allo storico (ma sempre meno rilevante) Congress.

L’India, attualmente guidata dal primo ministro uscente Narendra Modi, del partito induista nazionalista Bharatiya Janata Party (Bjp), è infatti una Repubblica parlamentare federale costituita da stati e territori (come quello di Delhi) governati a loro volta da chief minister statali.

Kejriwal è stato arrestato con l'accusa di corruzione dall’Enforcement Directorate (Ed), l’agenzia investigativa del ministero delle Finanze (controllata quindi dal governo centrale del primo ministro Modi), in seguito a una inchiesta sulla politica sulle accise sugli alcolici adottata dallo stato diversi anni fa e poi ritirata.

Le indagini della Ed e di altre agenzie centrali hanno coinvolto nel tempo anche altri esponenti di primo piano del partito Aap, come Manish Sisodia (ex vice di Kejriwal, attualmente in carcere) e Satyendra Kumar Jain (ex ministro del governo Kejriwal, anche lui arrestato).

I precedenti

A febbraio, a finire in manette, sempre per accuse mosse dalla Ed, era stato Hemant Soren, chief minister dello stato orientale del Jharkhand, esponente di punta della coalizione India. Ben prima di questi fermi, Amnesty International, che già in passato ha denunciato l’uso dello spyware Pegasus da parte del governo indiano per sorvegliare giornalisti ed esponenti dell’opposizione, aveva anche dettagliato quello che, a suo dire, si configurava come un uso politico delle agenzie statali, volto a prendere di mira le organizzazioni della società civile e i difensori dei diritti umani.

Ultimo in ordine di tempo, è toccato al partito del Congress: il suo esponente di punta, Rahul Gandhi, ha denunciato che la campagna elettorale della principale formazione di opposizione indiana sarebbe a rischio perché la Ed ne ha congelato i conti bancari a causa di una controversia fiscale risalente agli anni 2018-19 e 2020-21.

Il fisco indiano ha annunciato che non richiederà il pagamento fino al termine del voto, ma la spada di Damocle pende sulla testa del partito: quella indiana è considerata una delle elezioni più costose del mondo, e per i partiti portare avanti una campagna elettorale dai monti himalayani alle spiagge delle coste meridionali del paese è un investimento oneroso.

Anche Mamata Banerjee, altra influente leader dell’opposizione e chief minister del Bengala Occidentale, ha descritto l’arresto dell’omologo di Delhi come «un palese attacco alla democrazia»: la deputata del suo partito Mahua Moitra, una delle più taglienti tra le figure critiche nei confronti di Narendra Modi, lo scorso anno è stata espulsa dal parlamento, come del resto, ma solo per pochi mesi, era successo a Rahul Gandhi. Secondo la stampa indiana, ora Moitra sarebbe stata messa sotto indagine sia dalla Ed sia dall’agenzia investigativa federale indiana, la Cbi.

Il Bjp ha risposto alle proteste contro l’arresto di Kejriwal, tutt’ora in corso in tutto il Paese, ribattendo che le forze dell’ordine stanno semplicemente facendo il loro lavoro e che nessuno si può considerare al di sopra della legge. Ma da Stati Uniti e Germania sono arrivate richieste di «un processo legale giusto, trasparente e tempestivo» per il chief minister di Delhi, scatenando la risentita protesta del governo indiano.

Modi è nervoso?

Eppure, gli analisti più attenti in questi giorni suonano sicuramente stupiti. Perché il primo ministro indiano avrebbe bisogno di mettere i bastoni tra le ruote a una opposizione che, fino a oggi e nonostante gli sforzi, non è sembrata in grado di intaccare minimamente la sua ascesa?

Certo, lo scorso anno l’Aap ha ottenuto più del 10 per cento di voti nelle elezioni locali nel Gujarat, lo stato d’origine di Modi. Ma certo non basta. Il successo personale di Narendra Modi, forte del suo status di leader più popolare al mondo (secondo Morning Consult), sembrava rendere, agli occhi degli osservatori internazionali, scontata la riconferma, che cade dopo ben 10 anni come primo ministro in carica.

Non solo il grande pubblico, ma anche la maggioranza dei mezzi di informazione e della società civile indiana sembra completamente sedotta dalla sua visione nazionalista hindu: se ne è avuta prova a inizio anno, in occasione di una munifica inaugurazione del tempio hindu dedicato alla divinità Lord Ram, costruito sulle controverse rovine della moschea di Ayodhya.

Le recenti mosse del governo Modi riflettono una fiducia sull’esito delle elezioni, non certo preoccupazione: basti considerare la recente implementazione della legge Caa, criticatissima dalle opposizioni, secondo le quali la norma faciliterà la concessione della cittadinanza indiana ai rifugiati provenienti da Afghanistan, Bangladesh e Pakistan purché non siano musulmani.

Tuttavia, qualcosa si è incrinato. Se il terzo mandato è già assicurato, perché Modi è nervoso?, si sono chiesti negli ultimi giorni Bloomberg e The Diplomat.

Entrambi ricordano come a metà marzo la Corte suprema, dopo averli vietati, abbia costretto la State Bank of India (istituto statale) a pubblicare l’elenco dei bond elettorali, frutto di un sistema di finanziamento dei partiti quanto mai opaco di cui il Bjp è risultato il maggior beneficiario, avendo ottenuto più di tutti gli altri partiti indiani messi insieme: uno smacco, vista l’immagine di irreprensibilità portata avanti in campagna elettorale dal partito nazionalista.

Che si tratti quindi di volontà di rimarcare la propria narrazione, della ricerca di un diversivo, o di un segnale di debolezza, solo il risultato elettorale potrà dirlo con certezza.

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