Due blockbuster di Bollywood come Chhaava e The Diplomat riempiono le sale della città indiana: eroi induisti in lotta contro l’impero Moghul, islamico, oppure una love story con risvolti politici nella quale Islamabad non fa proprio una bella figura. Un modo come un altro per propagare la narrativa nazionalista di Narendra Modi
Sono passati quasi 17 anni, ma Mumbai non dimentica quei giorni angosciosi di fine novembre 2008, quando 10 terroristi armati provenienti dal Pakistan e sbarcati da gommoni all’approdo della Porta dell’India colpirono il Taj Mahal Palace Hotel e altri obiettivi altamente simbolici della metropoli indiana.
In questi tempi di escalation verso un conflitto potenzialmente devastante fra i due paesi (ambedue potenze nucleari), nella accogliente metropoli affacciata sul Mare arabico si riapre la ferita di allora.
I terroristi catturarono centinaia di ostaggi e tennero per tre giorni il subcontinente con il fiato sospeso. Ancora oggi, sui muri delle stazioni di polizia della città i dipinti murali ricordano quell’attacco, che provocò la morte di almeno 174 persone, tra cui 20 membri delle forze di sicurezza e 26 cittadini stranieri.
I feriti furono oltre 300. Nove terroristi furono uccisi e il decimo successivamente processato e giustiziato. Appartenevano a un’organizzazione terroristica con sede in Pakistan, che allora come oggi respinse le accuse indiane di non vigilare abbastanza sui suoi confini per evitare il passaggio dei terroristi.
Folla in sala
A Mumbai vivono oggi più di 22 milioni di abitanti, di cui 3,3 milioni di religione islamica, in un contesto sociale che premia il nazionalismo indù propugnato dal presidente Narendra Modi. Diverse settimane prima dell’attentato che il 22 aprile scorso ha ucciso 26 persone nella parte indiana del Kashmir, riaccendendo la miccia di un conflitto mai sopito dalla partizione del 1947, un pubblico festoso affollava i cinema di Mumbai.
La città era alle prese con una precoce ondata di calore difficilmente sopportabile, e gli spettatori accorrevano, oltre che per approfittare del fresco e del buon cibo che si può gustare durante la proiezione, attirati soprattutto da due film. Pur diversissimi fra loro per genere, stile e pubblico, entrambi in qualche modo incoraggiano una visione anti-islamica dell’India.
Chhaava esalta le gesta del secondo sovrano dell’impero Maratha, induista, eroico avversario sul campo dell’impero Moghul, islamico, alla fine del Diciassettesimo secolo. Il protagonista è interpretato da Vicky Kaushal, uno dei più famosi attori di Bollywood, che per l’occasione si è esercitato mesi e mesi con pesantissime armi antiche acquisendo 25 chili di muscoli: secondo la stampa indiana, il suo lavoro è stato retribuito con l’equivalente di 1,2 milioni di dollari (il salario medio in India è inferiore ai 400 dollari al mese).
Il giovane imperatore Sambhaji Maharaj farà una brutta fine ma prima del tradimento fatale di alcuni dei suoi alleati le sanguinose battaglie che percorrono le 2 ore e 40 del film mostrano un guerriero che combatte e uccide nemici fra le urla di incoraggiamento del pubblico in sala. Con buona pace dei pochi puristi che hanno criticato le numerose inesattezze storiche, il film ha finora incassato, in circa due mesi, un centinaio di milioni di dollari al botteghino.
Di tutt’altro genere, The Diplomat racconta la storia vera, avvenuta 8 anni fa, di una giovane indiana che riuscì a trovare rifugio nella sede diplomatica del suo paese a Islamabad dopo essere stata costretta a sposare un coetaneo pachistano.
Se ne era innamorata incontrandolo in Malesia, senza capire che si trattava in realtà di un estremista islamico e che la avrebbe costretta con la droga e la violenza a indossare il burka e a vivere reclusa in un villaggio in mezzo alle montagne assieme a diverse altre mogli.
Il caso si risolse in un successo della diplomazia di Delhi, all’epoca guidata da una ministra donna, Sushma Swaraj, e l’eroe del film è il vice alto commissario dell’India in Pakistan, interpretato da un famosissimo attore, John Abraham, il cui fisico ricorda un po’ quello del suo collega di Chhaava, anche se in questo caso i muscoli sono nascosti da un impeccabile completo giacca-cravatta. Con le armi della diplomazia, trattando con i colleghi e la giustizia pakistani, al termine di un lungo inseguimento armato sulle strade sterrate del Pakistan, il rappresentante di Delhi riesce a riportare in patria la giovane.
Dopo due ore e un quarto di alta tensione psicologica e di azione, le immagini dei titoli di coda sono quelle autentiche dell’epoca, con il vero diplomatico J.P. Singh, molto meno palestrato del suo interprete, la giovane donna finalmente libera e la ministra degli Esteri.
Divieti e accuse
Alcuni paesi del mondo arabo hanno vietato la diffusione delle due pellicole indiane, considerate anti-islamiche.
Nel caso di The Diplomat il principale interprete, che è anche produttore, ha respinto le accuse ricordando che, al contrario, il film mostra il buon funzionamento della giustizia pakistana, ma è innegabile l’impietoso quadro dei violenti estremisti nascosti sulle montagne pakistane e della condizione femminile.
Delle piacevoli ore trascorse al fresco sulle comode poltrone reclinabili dei teatri di Mumbai, attorniati da un pubblico rumorosamente partecipe dei successi degli eroi sullo schermo, resta l’impressione che, almeno da un paio di mesi, anche Bollywood sia più o meno consapevolmente complice della narrativa nazionalista e anti-pakistana di Modi.
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