«La morte di un leader non equivale alla morte del jihad» scriveva un utente online come reazione all’uccisione di Abu Musab al-Zarqawi, meglio noto come “il macellaio di Baghdad” e capo di al Qaeda in Iraq. Morto un leader se ne fa un altro e la storia di successione di al Qaeda e dell’Isis lo dimostra. C’è sempre stato un erede pronto a subentrare dopo i vari raid americani. Tuttavia, a sei anni di distanza dagli attacchi di Parigi in cui morirono 130 persone la lista dei vertici dello stato islamico è sempre più corta. Dopo l’uccisione di Abu Bakr al Baghdadi e l’attacco della coalizione a guida Usa all’Isis non è rimasto un lembo di terra utile. Ma come ha detto in un comunicato stampa il Segretario di stato americano, Antony Blinken, «la missione è ancora lontana dall’essere compiuta».

L’Isis oggi

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«Lo Stato islamico in Siria è stato sconfitto al 100 per cento» scrisse l’ex presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sul suo profilo Twitter il 23 marzo del 2019 dopo la liberazione di Baghuz, l’ultima roccaforte siriana in mano ai combattetti.

Senza un territorio in cui operare i miliziani si sono nascosti nuovamente tra la popolazione e in alcune aree marginali continuano ad attaccare le piccole comunità.

Si è tornati alla strategia usata prima del 2014, anno in cui il gruppo ha avuto una drammatica espansione conquistando le più importanti città irachene e siriane prima della proclamazione del califfato. Il successore di al Baghdadi, Ibrahim al Hashemi al Qurayshi oggi gode comunque di una rete di gruppi alleati in Russia, Libia, Egitto, Yemen, Nigeria (Boko Haram), Mozambico e Filippine.

Tuttavia, ciò che preoccupa i servizi d’intelligence internazionali è il nuovo fronte dell’Isis che si è spostato verso l’Asia, in Afghanistan. Qui l’Isis Khorasan si è reso protagonista dell’attentato avvenuto a fine agosto all’aeroporto di Kabul in cui morirono 90 persone tra cui 12 soldati americani.

«Noi non vi perdoneremo, non dimenticheremo. Vi daremo la caccia e vi faremo pagare per ciò che avete fatto», disse Joe Biden onorando i caduti. Ma qual è la loro reale minaccia? Secondo il vicesegretario della Difesa americana, Colin Kahl, il gruppo potrebbe essere pronto a colpire anche obiettivi internazionali «in qualunque momento tra sei o dodici mesi».

La capacità di compiere attacchi per mano di Isis-k è cresciuta esponenzialmente, nei primi 4 mesi del 2021 sono stati rivendicati 77 attentati, eseguiti da combattenti provenienti non soltanto dall’Afghanistan ma anche dai paesi vicini come il Pakistan, il Tagikistan e l’Uzbekistan, sempre più a rischio radicalizzazione. E ora il Pentagono punta sui Talebani, acerrimi nemici di Isis-k che a sua volta li considera troppo moderati e vicini agli Usa, per sconfiggere la ramificazione afghana del terrore islamista.

Il califfato virtuale

Ma se a livello territoriale il califfato islamico non esiste più, non si può dire della sua presenza online. C’è un califfato virtuale vivo e forte. In rete la propaganda dell’Isis si nutre di ricordi dei grandi “successi” degli anni passati e cresce cercando nuove reclute in grado di commettere attentati terroristici in giro per il mondo.

Le parole del capo al Qurayshi viaggiano online e arrivano in stati lontani dal Medioriente dove nascono cellule o gruppi che rivendicano un’affiliazione all’Isis con l’obiettivo di attaccare la popolazione civile anche grazie al supporto di una rete di finanziamenti occulti che gli permette di acquistare armi ed esplosivi.

Attraverso applicazioni criptate, linguaggi in codice, e la diffusione di video, riviste e prodotti editoriali pubblicati online la propaganda dell’Isis è arrivata fino in Europa e negli Stati Uniti. In totale sono stati circa 40mila i Foreign fighters andati a combattere in Siria, un dato emblematico della pervasività del fenomeno e del rischio di radicalizzazione, tutt’ora alto, all’interno della popolazione più emarginata nelle società occidentali.

Quando nasce l’Isis?

L’Isis non è altro che l’ultima espressione violenta di un fenomeno complesso, articolato e strettamente connesso con lo sviluppo delle società moderne e occidentali. L’organizzazione nasce con la morte di al Zarqawi il 7 giungo del 2006 quando il potere passa nelle mani di Abu Ayub al Masri, il quale ha riunito in Iraq più gruppi terroristici sotto un’unica bandiera.

Dopo quattro anni un raid americano uccide al Masri e altri vertici dell’organizzazione ed è da questo momento che inizia l’ascesa politica di Abu Bakr al Baghdadi. Sarà lui a espandere il potere economico e territoriale dell’organizzazione terroristica con l’offensiva in Iraq e in Siria, e a proclamare il califfato islamico nel giugno del 2014.

Chi è al Baghdadi?

Abu Bakr al Baghdadi nasce nel 1971 in una città sulla riva est del Tigri, a cento chilometri da Baghdad. La sua formazione professionale raggiunge la maturità nei primi anni 2000 quando, poco più che trentenne, ottiene una laurea in studi islamici. Grazie alle sue conoscenze coraniche diventa uno degli uomini spirituali più importanti del gruppo terroristico Jamaat Jaysh Ahl al-Sunnah wa-l-Jamaah.

Nel 2004 viene catturato dai soldati americani a Falluja e detenuto a Camp Bucca, una delle prigioni americane a cielo aperto più grandi presenti in Iraq. È qui che si formano parte dei futuri miliziani dell’Isis. A Camp Bucca al Baghdadi entra in contatto con diversi membri di al Qaeda.

È uno dei personaggi più rispettati tra le tende del campo di prigionia e con il passare degli anni, sotto il naso dei soldati americani, getta le basi del suo piano politico. Dopo dieci mesi al Baghdadi torna libero. Continua a dedicarsi all’indottrinamento e i suoi studi lo collocano nei vertici delle figure spirituali dell’Isis iracheno nato nel 2006. Ma il passo decisivo lo compie nel 2010, quando diventa il leader dell’organizzazione.

L’offensiva in Siria e Iraq

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Nel 2011 l’onda delle primavere arabe ha portato instabilità in tutto il Medio Oriente e in particolare in Siria dove il paese sprofonda in un conflitto civile sanguinario. La crisi umanitaria, l’avanzata dei ribelli e la guerra indeboliscono lo stato di Bashar al Assad e l’Isis dal vicino Iraq ne approfitta della situazione.

Nel biennio 2012-2013 il gruppo terroristico è in espansione. Al Baghdadi riesce a reclutare centinaia di nuovi miliziani inglobando anche altri gruppi terroristici. In Iraq il gruppo ha seguito una strategia binaria caratterizzata da attacchi bomba contro la popolazione da una parte e operazioni paramilitari contro l’esercito iracheno dall’altra.

Nel 2014 al Qaeda decide di ritirare il suo appoggio ma la macchina del terrore è oramai in moto grazie alle dozzine di migliaia di miliziani arrivati da tutta la regione. Inizia la guerriglia. Dopo aver conquistato Falluja nel gennaio del 2014 l’organizzazione lancia la sua offensiva a Mosul, la seconda città più grande del paese. Secondo l’Oim sono circa mezzo milione le persone che in meno di una settimana hanno lasciato in fretta e furia la città.

L’esercito iracheno è impotente di fronte all’avanzata e dimostra la sua impreparazione nel gestire un attacco portato avanti con mortai, kalashnikov e lanciarazzi. Il 29 giugno del 2014 al Baghdadi annuncia la proclamazione del califfato islamico che si espande tra Iraq e Siria.

L’euforia è alle stelle e l’espansione continua. I jihadisti provano a conquistare più territorio possibile. Tra le prime aree siriane a cadere sotto il fuoco dell’Isis nel 2014 c’è la regione di Homs, ricca di petrolio e di gas. Le offensive del gruppo sono ben studiate e città dopo città, in una guerra quasi di logoramento, si spingono fino a Raqqa, che sarà la capitale del proclamato califfato islamico fino all’ottobre del 2017.

L’organizzazione interna

Sotto il controllo dei miliziani dell’Isis la società era gestita con un’organizzazione estremamente burocratica come emerso nell’inchiesta giornalisti del New York Times chiamata “Isis File”, che ha raccolto migliaia di documenti e carte dello stato islamico lasciati dopo la ritirata da Mosul.

«I documenti – si legge nell’inchieste – mostrano che il gruppo, anche se solo per un tempo limitato, ha realizzato il suo sogno: stabilire il proprio stato, una teocrazia che considerano un califfato, gestito secondo la loro stretta interpretazione dell’Islam. Il mondo conosce lo Stato Islamico per la sua brutalità, ma i militanti non governavano solo con la spada. Hanno esercitato il potere attraverso due strumenti complementari: la brutalità e la burocrazia».

I vertici dell’Isis sono stati astuti anche nel capitalizzare al massimo ogni centimetro di terra conquistato differenziando il loro “portafoglio” economico. I soldi venivano dalle tasse, dai riscatti pagati per i rapimenti, dalle donazioni degli aspirati foreign fighters, dal contrabbando commerciale e dalla vendita del petrolio ottenuto grazie alla conquista di città chiave dedite all’estrazione di grezzo e gas in Iraq e Siria.

La coalizione internazionale

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Dopo la caduta di Mosul nel 2014 gli Stati Uniti inviano un contingente in Iraq per cercare di arrestare l’avanzata dell’Isis e addestrare l’esercito locale.

Iniziano i primi bombardamenti eseguiti dall’amministrazione di Barack Obama, seguiti dalle decapitazioni dei giornalisti americani James Foley e Stevens Sotloff. I video delle esecuzioni terrorizzano il mondo intero e i leader internazionali capiscono che è giunto il momento di rintensificare l’intervento.

In pochi mesi si crea una coalizione guidata da Barack Obama e composta sia da stati europei (tra cui Regno Unito, Francia, Germania, Italia, Spagna) sia arabi (tra cui Bahrein, Giordania, Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti).

Gli attentati all’estero

Nel marzo del 2015 l’Isis allunga i suoi tentacoli anche all’estero. Inizia un’alleanza con Boko Haram, uno dei gruppi terroristici più potenti della Nigeria, protagonista di rapimenti di studenti nelle scuole e di sanguinosi attacchi.

Gli attentati raggiungono ogni parte del mondo. Il 27 giugno del 2015 l’organizzazione di al Baghdadi rivendica l’attentato in un resort turistico in Tunisia nella città di Sousa dove sono state uccise 38 persone. In Kuwait un attacco in una moschea provoca decine di morti. Ma la data da segnare in rosso per la Francia e per l’Europa è il 13 novembre del 2015 quando un commando armato esegue una serie di attacchi simultanei in più parti di Parigi.

Viene così inaugurato un triennio nero di terrore. Strasburgo, Vienna, Londra, Parigi, Nizza, Bruxelles, Cairo, Istanbul, sono solo alcune delle città in cui la vita quotidiana viene stravolta dagli attentati terroristici rivendicati dall’Isis attraverso video, annunci audio e comunicati pubblicati in rete.

Il declino

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Tra fine 2016 e inizio 2017 l’Isis inizia a incassare i duri colpi della coalizione che ottiene vittorie su diversi fronti. Le Forze democratiche siriane, guidate dai curdi riconquistano Raqqa, mentre l’esercito siriano di Bashar al Assad con l’aiuto di Vladimir Putin si impossessa di Deir Ezzor, costringendo i jihadisti a una ritirata dopo aver perso il controllo di due città chiave.

In Iraq l’esercito grazie al sostegno dell’Iran e degli Stati Uniti riesce a riprendersi Mosul e a riconquistare intere regioni. Nel dicembre del 2017 il primo ministro iracheno Haider al Abadi ha dichiarato vittoria contro lo stato islamico.

Si arriva al 2018 con i combattenti dell’Isis che sono sempre di meno, se ne contano un massimo di 10mila, la maggior parte di quali sono in Siria che sarà dichiarata liberata dopo la conquista di Baghuz un anno più tardi. Che ne è rimasto oggi dell’Isis nella regione? Come già accennato i miliziani si sono cammuffati tra la popolazione tentando una riorganizzazione interna, ma la comunità internazionale ha ancora diversi dossier aperti da affrontare.

Dalla gestione dei foreign fighters, al capitolo delle vedove e degli orfani dei combattenti che si trovano nei campi sparsi per la Siria come quello di al Homs. Tuttavia, la sfida principale è sconfiggere il califfato virtuale e contrastare la radicalizzazione, anche in Europa.

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