Gaza è sotto assedio. Lo ha annunciato il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant: niente cibo, elettricità e benzina. A quasi tre giorni dall’attacco a sorpresa di Hamas, che ha superato il confine con Israele attaccando gli insediamenti, le basi militari e i civili, il bilancio delle perdite umane è molto alto: oltre 900 israeliani, tra civili e soldati, e almeno 490 palestinesi. Nella giornata di lunedì un raid israeliano al mercato ortofrutticolo di Jabalya ha causato più di 50 morti. Secondo l’Onu, sarebbero più di 120mila le persone sfollate nella striscia di Gaza.

Nella notte tra domenica e lunedì sarebbero stati «colpiti oltre 800 obiettivi terroristici di Hamas e della Jihad islamica», stando a quanto riferito dall’esercito di Tel Aviv. 

Rimane inoltre delicata la questione degli ostaggi. Hamas avrebbe almeno 130 prigionieri, e un funzionario ha fatto sapere che non ci sarebbe, per il momento, margine per trattare o fare scambi con Israele. Delle fonti israeliane e statunitensi riportate da Axios parlano di una telefonata domenica sera tra Joe Biden e Benjamin Netanyahu, in cui si sarebbe toccato proprio il tema della gestione degli ostaggi: in questa conversazione, stando a quanto citato da Axios, il premier israeliano avrebbe detto: «Dobbiamo entrare a Gaza. Non possiamo trattare ora».

Tra domenica e lunedì, fonti del Washington Post avevano parlato di un attacco via terra di Israele a Gaza che sarebbe potuto arrivare «nelle prossime 24-48 ore». «La dichiarazione di guerra di Israele, una formalità per lo più simbolica, permetterebbe al governo di attuare una più ampia mobilitazione delle riserve militari. I funzionari statunitensi si aspettano che le forze israeliane lancino un'incursione di terra nella Striscia di Gaza, densamente popolata, nelle prossime 24-48 ore», ha scritto il quotidiano statunitense.

Nella conversazione riportata da Axios, Biden avrebbe anche chiesto a Netanyahu della situazione al confine con il Libano, e si sarebbe sentito rispondere che è «motivo di preoccupazione». 

Il fronte libanese

Mentre proseguono le operazioni militari nella striscia di Gaza, l’esercito israeliano ha infatti avviato i bombardamenti anche nel sud del Libano, lungo la cosiddetta Linea blu al confine tra i due paesi. A scatenare l’attacco, hanno dichiarato i militari, l’infiltrazione di alcuni miliziani nel nord di Israele. La jihad islamica ha già rivendicato quest’infiltrazione in un comunicato delle brigate al-Quds, riportato dai media libanesi.

L’allargamento del conflitto al Libano era una possibilità su cui gli altri paesi avevano già iniziato a interrogarsi. Durante la giornata di lunedì la presidente del Consiglio Giorgia Meloni aveva sentito al telefono il primo ministro libanese Najib Mikati e, secondo una nota di Palazzo Chigi, la presidente aveva «auspicato un rapido decremento del conflitto, evitando un allargamento che avrebbe conseguenze incalcolabili per tutta l’area».

Il ministro degli Esteri libanese Abdallah Bou Habib aveva anche affermato nelle ultime ore di aver ricevuto la garanzia dai vertici di Hezbollah che il partito armato filo-iraniano non sarebbe intervenuto nel conflitto in corso tra Hamas e Israele se non sarà attaccato dagli israeliani. Citato dall'agenzia libanese al Markaziya, il ministro degli Esteri libanese aveva detto: «Hezbollah ci ha promesso che non intende intervenire nella guerra a Gaza a meno che Israele non commetta un'aggressione» nei confronti del Libano. Dopo l’inizio dei raid aerei sulla Linea blu, Hezbollah ha denunciato la morte di un proprio combattente.

La reazione internazionale

Gli occhi della comunità internazionale sono puntati su quanto sta succedendo in Medio Oriente e su quali saranno le conseguenze di questa escalation di violenza. È stato infatti confermato un vertice, al telefono, tra Joe Biden, Rishi Sunak, Emmanuel Macron, Olaf Scholz e Giorgia Meloni per discutere della gestione della crisi. Macron e Scholz si sono già incontrati ad Amburgo, e hanno manifestato «piena solidarietà a Israele».

L’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell, ha convocato un Consiglio Affari Esteri d’emergenza per il 10 ottobre. L’11 saranno invece i ministri degli Esteri della Lega araba a riunirsi, al Cairo, per discutere della reazione israeliana nella striscia di Gaza.

Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha detto, incontrando il segretario generale della Lega araba Ahmed Aboul Gheit che «bisogna prestare un’attenzione speciale alle ragioni che per decenni hanno reso impossibile risolvere la questione palestinese», come scrive l’agenzia di stato Tass. Sempre per la Tass, il portavoce del Cremlino Dmitry Peskov ha parlato di «armi inviate dall’occidente all’Ucraina» che «si sarebbero sparse per il mondo». «Gli israeliani cercheranno scrupolosamente da dove sono arrivate le armi nella regione», ha aggiunto. 

Dal canto suo Kiev ha respinto l’accusa russa: «una campagna per screditare l’Ucraina in Medio Oriente», ha commentato l’intelligence ucraina, riportata da Ukrinform.

Allo stesso tempo, i vari paesi si stanno mobilitando per evacuare i propri connazionali. Un gruppo di pellegrini italiani, con bambini, è bloccato in un albergo a Tel Aviv e ha lanciato un appello per poter essere rimpatriati.

Trentotto pellegrini italiani sono rimasti bloccati in Israele a Gerusalemme nell'hotel arabo St. George. Nel gruppo ci sono  2 neonati, 5 bambini, 6 adolescenti e 25 adulti. La Farnesina più volte contattata dai familiari dei pellegrini per il momento non ha dato alcuna disponibilità per organizzare un volo di rientro in Italia. Da qui l'appello dei connazionali: «Non siamo riusciti a partire il 07 ottobre da Tel Aviv verso Bergamo, tutti i voli sono stati cancellati. Abbiamo contattato tutti i numeri possibili, ma per ora nessuno ci dà soluzioni. Abbiamo bisogno di aiuto»

Nel frattempo, su X, vecchio Twitter, il commissario per l’Allargamento e la politica di vicinato Olivér Várhelyi aveva annunciato la revisione del portfolio di sviluppo della Commissione, 691 milioni di euro destinati alla Palestina, per poi venire smentito dal commissario Janez Lenarčič.

Secondo l’agenzia cinese Xinhua il Qatar starebbe tentando una mediazione per un urgente scambio di prigionieri tra Hamas e Israele. Xinhua cita una fonte del Movimento di resistenza islamica. «Con il sostegno degli Stati Uniti, il Qatar sta cercando di raggiungere l'accordo urgente che porterebbe al rilascio delle donne israeliane catturate da Hamas in cambio di donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane» avrebbe detto la fonte, secondo cui Hamas ha informato il Qatar che sarebbe disponibile all'operazione se tutte le 36 donne palestinesi detenute nelle carceri israeliane fossero state rilasciate. Da Israele non c'è al momento alcuna conferma della mediazione.

Il coinvolgimento dell’Iran

Altro attore che è stato preso in considerazione nel ricostruire l’origine dell’attacco di Hamas è l’Iran. Il Wall Street Journal aveva diffuso la notizia che – secondo fonti di Hamas e Hezbollah – l’operazione contro Israele sarebbe stata pianificata insieme all’Iran e che il via libera sarebbe arrivato lunedì scorso in un vertice a Beirut. 

Nella giornata di lunedì Teheran ha però negato il proprio coinvolgimento negli attacchi di Hamas, pur riconoscendo all’operazione pieno sostegno. «I passi determinati dei palestinesi costituiscono una difesa completamente legittima contro sette decenni di occupazione e terribili crimini da parte del regime sionista illegittimo. Sosteniamo la Palestina senza riserve. Tuttavia, non siamo coinvolti nella risposta palestinese, che è stata portata avanti solo dalla Palestina stessa» si legge in una nota della della delegazione iraniana alle Nazioni unite. 

Sempre lunedì, l’aeroporto di Amburgo ha annunciato la chiusura temporanea dei terminal per la minaccia di un attentato a un aereo proveniente da Teheran. L’ha riferito una portavoce all’agenzia tedesca Dpa. I passeggeri e i membri dell’equipaggio sono in ogni caso stati fatti sbarcare e sono stati sottoposti ai controlli di sicurezza, e l’aeroporto ha riaperto poco dopo.

La risposta dei mercati

Intanto, la guerra ha conseguenze anche sul piano economico: mentre il prezzo di petrolio e gas schizza verso l’alto sui mercati, Tel Aviv si muove per stabilizzare la moneta nazionale. La banca centrale israeliana afferma che venderà fino a 30 miliardi di dollari in valuta estera per sostenere la valuta shekel a seguito dell'incertezza del mercato sulla scia dell'incursione di Hamas dalla Striscia di Gaza. La banca centrale ha rilasciato una dichiarazione che annuncia il piano, dicendo che «opererà sul mercato durante il prossimo periodo al fine di moderare la volatilità del tasso di cambio dello shekel e fornire la liquidità necessaria per il continuo corretto funzionamento dei mercati».

Aggiunge che fornirà liquidità aggiuntiva fino a 15 miliardi di dollari sul mercato. La mossa arriva mentre lo shekel scende a un minimo da quasi otto anni contro il dollaro Usa nelle prime contrattazioni di oggi.

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