Attivisti contro la guerra, ong, stampa, partiti d’opposizione: mentre l’attenzione dell’opinione pubblica è rivolta a Gaza, il governo Netanyahu e la sua maggioranza lanciano un’offensiva senza precedenti al diritto di manifestare. L’Association for civil rights in Israel denuncia «la costruzione di una dittatura». Sanzioni da Londra contro i ministri Ben-Gvir e Smotrich. Rimpatriata Greta Thunberg
Arrestato, detenuto e umiliato per aver partecipato a una protesta non violenta. È quanto racconta a Domani Itamar Greenberg, attivista israeliano di 19 anni, che la sera di domenica 25 maggio stava bloccando una strada di Tel Aviv insieme ad altri coetanei per chiedere al governo la fine dei massacri a Gaza.
Nei video circolati sui social, che lo mostrano impassibile mentre viene trascinato con violenza da tre poliziotti in una volante, indossa una maglia con la scritta «Sì alla pace, no alla guerra», in arabo e in ebraico. L’indomani mattina, dopo una notte trascorsa in caserma, comparirà di fronte al giudice indossandone un’altra, con il motto ebraico Am Yisrael Chai («Il popolo d’Israele vive”) e la bandiera israeliana disegnati a mano: «Mi hanno costretto a metterla gli agenti penitenziari – racconta a Domani – Mi hanno anche minacciato di tatuarmi in fronte la stella di David al prossimo arresto, come è già successo ad alcuni detenuti palestinesi».
Itamar è stato arrestato quattro volte da quando, lo scorso 4 marzo, è uscito di prigione dopo 197 giorni di detenzione per aver rifiutato il servizio militare. Sull’ultimo episodio il servizio penitenziario israeliano ha promesso di fare chiarezza, ma l’esperienza del giovane attivista racconta qualcosa che va al di là della sfera personale: la libertà di manifestare il dissenso, così come altri diritti e garanzie sui quali Israele ha costruito la – già discussa – reputazione di «unica democrazia del Medio Oriente», è oggi più che mai compromessa.
Il rapporto di Acri
A raccontarlo è anche un recente rapporto dell’Association for Civil Rights in Israel (Acri), la più antica organizzazione per i diritti umani del Paese, il cui titolo suona come un grido d’allarme: «Dalla distruzione della democrazia alla costruzione della dittatura». Il report passa in rassegna decine di proposte di legge attualmente in discussione alla Knesset, che insieme compongono «un nuovo e forse più pericolo capitolo nel tentativo del governo Netanyahu non solo di distruggere le istituzioni democratiche, ma anche di porre le basi per un sistema autoritario».
Diverse proposte mirano a estendere il perimetro della criminalizzazione del «sostegno e incitamento al terrorismo».
«Il vero obiettivo è limitare ulteriormente la libertà d’espressione, soprattutto nelle scuole e università – spiega a Domani l’avvocata Debbie Gild-Hayo, responsabile dell’advocacy presso Acri – Basta criticare l’operato di Israele a Gaza per essere arrestati e puniti con questa formula».
Thunberg e le sanzioni Uk
È finita intanto la detenzione di Greta Thunberg, scarcerata e rimpatriata dopo il caso di Flotilla per Gaza, Altri compagni di spedizione dovranno andare in tribunale anche se denunciano di essere stati rapiti in acque internazionali.
Contro il governo israeliano muove passi ufficiali la Gran Bretagna, in accordo con Australia, Canada, Nuova Zelanda e Norvegia: per i ministri Ben-Gvir e Smotrich è stato disposto il divieto di ingresso nel Regno e il congelamento di asset e investimenti sul territorio per aver istigato le violenze dei coloni.
La stampa
Nel mirino del governo Netanyahu anche la libertà di stampa: dopo il boicottaggio e le sanzioni del governo nei confronti di Haaretz e la decisione di bandire Al Jazeera dal Paese, diverse proposte di legge in discussione puntano ora a ridurre l’indipendenza delle emittenti pubbliche, attribuendo all’esecutivo il controllo sulle nomine dei dirigenti e sulle finanze. E poi le organizzazioni governative, che la maggioranza pro Netanyahu si appresta a colpire con meccanismi simili a quelli delle «leggi sugli agenti stranieri» approvate in Russia e in Georgia: la proposta sul tavolo della Knesset punta a tassare all’80 per cento le donazioni provenienti da enti governativi stranieri e impedire alle organizzazioni no-profit per le quali questa è la principale fonte di finanziamento di fare appello ai tribunali.
«Sarà un problema anche per noi di Acri – commenta Gild-Hayo – ma altre ong non riusciranno proprio a sopravvivere».
La legge elettorale
Completa il quadro la proposta di riforma della legge elettorale, che amplierebbe la possibilità di escludere dalla corsa per la Knesset e i consigli comunali candidati e interi partiti sulla base, ancora una volta, della fumosa accusa di «sostegno al terrorismo» e senza passare da un tribunale. L’obiettivo sarebbe colpire la rappresentanza della popolazione palestinese con cittadinanza araba, già oggetto di provvedimenti simili in passato. «Questa proposta delinea un quadro cupo per le future elezioni – si legge nel report di Acri – che saranno democratiche solo all’apparenza, mentre nella pratica daranno il via libera a un governo coercitivo, discriminatorio e insostituibile».
Che l’agenda dei lavori della Knesset sia così densa mentre a Gaza l’offensiva israeliana continua, anzi aumenta d’intensità e violenza, non è un caso: «Per il governo questo rappresenta il momento perfetto per accelerare – continua Gild-Hayo – L’opinione pubblica interna non presta sufficiente attenzione finché ci sono i soldati e gli ostaggi nella Striscia». E lo stesso vale per la comunità internazionale: «Mi aspetterei come minimo che i Paesi occidentali dicessero qualcosa: in Israele ci stiamo avvicinando alla fine della democrazia, o forse ci siamo già. Il problema è che anche alcuni di loro, come gli Stati Uniti di Trump, stanno seguendo una traiettoria simile. Non so cosa potrà salvarci da noi stessi».
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