Da ormai tre mesi, centinaia di migliaia di cittadini israeliani protestano contro la riforma della giustizia promossa dal governo guidato da Benjamin Netanyahu, l’esecutivo più a destra della storia recente del paese.

La riforma si è rivelata particolarmente divisiva poiché, secondo i manifestanti, rischia di compromettere la separazione dei poteri, garantendo all’esecutivo la capacità di limitare l’indipendenza del potere giudiziario, mettendo così in crisi l’intero sistema democratico del paese. 

Il governo, soprattutto nella persona di Yariv Levin, il ministro della Giustizia, al contrario, ritiene la riforma, di cui forme e contorni sono ancora da definire con precisione, necessaria per limitare lo «strapotere» acquisito dalla magistratura «negli ultimi trent’anni», come spiega proprio Netanyahu a Repubblica. Per il premier, nuovamente in carica da dicembre, la riforma ha proprio lo scopo di tutelare la democrazia ripristinando il bilanciamento dei poteri. 

La proposta di Levin

La proposta di riformare la giustizia è stata avanzata dal ministro della Giustizia Levin il 4 gennaio, solo sei giorni dopo il giuramento di Netanyahu. Sono due i punti cruciali contro cui si è levata la protesta popolare.

In primo luogo, la riforma darebbe alla maggioranza parlamentare il potere di nominare i giudici. L’evidente problematicità di questo sistema è aggravata dal peculiare ruolo svolto finora dalle corti nel limitare l’espansione degli insediamenti israeliani in territorio palestinese, una pratica che appare molto cara all’attuale maggioranza di destra.

Anche la fazione ultraortodossa , attualmente parte del governo, gioverebbe da una compressione dell’indipendenza dei giudici, dal momento che le corti hanno sempre bloccato, ritenendola incostituzionale, l’esenzione dalla leva militare obbligatoria per gli appartenenti a questa frangia religiosa. 

Secondo i manifestanti, la riforma gioverebbe anche all’interesse personale di Netanyahu, coinvolto in diversi casi di corruzione: un maggiore controllo sui giudici potrebbe assicurargli l’impunità. 

In secondo luogo, la riforma prevede che le decisioni della corte suprema in merito all’invalidità di una legislazione possano essere “scavalcate” con un voto a maggioranza semplice nella Knesset, il parlamento israeliano. Alla corte spetta, appunto, il compito di sorvegliare sulla costituzionalità delle decisioni di parlamento e governo, un potere che finora, secondo gli oppositori della riforma, ha garantito i diritti delle minoranze, per molti nel mirino di questo governo. 

Per Levin, questo sarebbe solo il primo passo di un più generale riassetto del sistema giudiziario previsto per i prossimi anni di governo.

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