L’attivista hongkonghese Joshua Wong è stato condannato a 10 mesi di reclusione per aver partecipato alla veglia del 4 giugno 2020 in ricordo delle vittime della repressione di Piazza Tienanmen del 1989.

Per la prima volta in trent’anni la veglia non è stata autorizzata dalle autorità cinesi, che hanno giustificato la decisione con il rispetto della normativa anti Covid-19. A fine aprile Wong e altri tre attivisti democratici si sono dichiarati colpevoli di assemblea illegale, rischiando una pena fino a cinque anni di carcere. Gli altri imputati hanno ricevuto dai quattro ai sei mesi di reclusione.

Wong si trova attualmente in carcere dove sta scontando una pena di 13 mesi e mezzo per aver partecipato a una manifestazione non autorizzata durante le proteste che hanno coinvolto l’ex colonia britannica nel giugno del 2019. Dal carcere Wong ha ricevuto una nuova ordinanza di custodia cautelare grazie alla nuova legge sulla sicurezza nazionale varata da Pechino e contestata dai movimenti sociali hongkonghesi per aver partecipato alle primarie democratiche per eleggere il parlamentino di Hong Kong. Le accuse, in questo caso, sono di «complotto vizioso per rovesciare» il governo dell’ex colonia.

Lo stato della democrazia in Hong Kong

Le proteste che hanno scosso l’ex colonia britannica miravano scongiurare l’introduzione della legge sulla sicurezza nazionale, considerata una repressione della democrazia hongkonghese. Alle manifestazioni sono seguite ondate di arresti che hanno incarcerato centinaia di attivisti a capo del movimento democratico che chiedeva le dimissioni della governatrice Carrie Lam, considerata molto vicina e soggiogata al Partito comunista cinese.

La legge sulla sicurezza nazionale criminalizza qualunque tipo di dissenso fornendo interpretazioni opache di crimini legati al terrorismo, alla secessione e alla sovversione. Inoltre, la norma ha imposto il divieto di manifestare a volto coperto. La partecipazione alle manifestazioni sarà più limitata e il rischio di essere tacciati come sovversivi è dietro l’angolo.

Lo scorso marzo è stata approvata anche una nuova legge elettorale per Hong Kong che di fatto sposta il centro decisionale in mano a Pechino. I nuovi emendamenti prevedono il potere di veto da parte della Cina sui candidati e stabiliscono di eleggere figure politiche «patriottiche». Inoltre, ci sarà anche un comitato elettorale controllato dal governo centrale che ha il compito di eleggere una gran parte dei membri del Consiglio legislativo. La riforma è stata accolta con favore e soddisfazione da Carrie Lam, dando adito a ulteriori critiche da parte del movimento democratico.

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