Wang Yi è atteso a Mosca, dove domani Vladimir Putin pronuncerà un discorso col quale “risponderà” alla visita a sorpresa di Joe Biden, che a Kiev ha promesso pieno sostegno all’Ucraina per una guerra che il presidente degli Stati Uniti prevede ancora lunga.

Il portavoce del Cremlino ha lasciato intendere che il capo della diplomazia del Partito comunista cinese incontrerà Putin. «L’agenda è chiara e ampia, ci sarà molto da discutere», ha aggiunto Dmitry Peskov.

In un momento in cui in Europa si prepara un’escalation bellica, a Mosca Wang dovrebbe discutere quello che i media cinesi hanno annunciato come «un documento per trovare una soluzione politica alla crisi tra Russia e Ucraina», che sottolinei gli sforzi in questa direzione che Pechino rivendica dall’inizio del conflitto.

Difficile immaginare un’iniziativa di pace in assenza della volontà di trattare da parte dei tre principali protagonisti dello scontro (russi, ucraini e statunitensi), potrebbe trattarsi di una mossa tesa soprattutto a reagire alle accuse che le arrivano da Washington.

La posizione della Cina, che durante i primi due mandati di Xi ha rafforzato le sue relazioni con la Russia di Putin elevandole a una quasi alleanza, si fa sempre più scomoda. Nel suo incontro con Wang, sabato scorso a Monaco, Antony Blinken, secondo il comunicato ufficiale del Dipartimento di stato, «ha avvertito delle implicazioni e delle conseguenze in caso di sostegno materiale della Cina alla Russia o assistenza per una sistematica violazione delle sanzioni».

In un’intervista alla Cbs il segretario di Stato Usa si è spinto oltre, affermando che la Cina «sta considerando di fornire armi» alla Russia.

Armi made in China

Washington ha avvertito Pechino che ci sarebbero “conseguenze” in caso di invio di materiale bellico cinese alla Russia fin dalla conversazione telefonica che Biden ebbe con Xi due settimane dopo l’invasione dell’Ucraina.

Il Wall Street Journal – citando un rapporto della Free Russia foundation, ong con quartier generale a Washington – ha scritto che l’anno scorso «la Cina ha venduto alla Russia droni per un valore di 3,3 milioni di dollari» e che, nonostante le sanzioni occidentali, Pechino «è diventata fornitrice di alcune tecnologie chiave» a Mosca: microchip, «che possono avere un utilizzo militare».

Sotto accusa sono finiti anche i droni civili prodotti da Dji, leader globale del settore, che – come confermato da documenti doganali citati dal quaotidiano americano – anche negli ultimi giorni sono stati importati negli Emirati Arabi Uniti e di lì esportati in Russia dove sarebbero stati armati per venire usati in combattimento.

La compagnia di Shenzhen è nella lista nera del governo Usa dal dicembre 2021, perché i suoi velivoli senza pilota sono stati impiegati per la sorveglianza dei musulmani nella regione del Xinjiang.

Il 27 aprile 2022 – due mesi dopo l’inizio delle ostilità – Dji ha comunicato la «sospensione temporanea di tutte le attività commerciali in Russia e Ucraina».

Il suo portavoce, Ned Price, recentemente ha dichiarato che «saremmo preoccupati non soltanto se vedessimo la stessa Repubblica popolare cinese impegnarsi in questo, ma anche le compagnie cinesi» e alla Cbs Blinken ha sostenuto che in Cina «non c’è alcuna distinzione tra aziende private e lo stato».

Tuttavia le denunce pubblicate finora dai media sono tortuose e non circostanziate, mentre nessuna prova dell’impiego di armi cinesi in Ucraina è stata svelata da Washington, che pure ha sul terreno un’intelligence in grado di riscontrarlo.

Energia per la guerra

Non v’è dubbio che l’aumento delle forniture di gas e petrolio russo alla Cina abbiano fortemente depotenziato l’effetto del blocco delle importazioni da parte dell’Unione europea, sostenendo l’economia russa e, di conseguenza, l’aggressione all’Ucraina.

In un anno di guerra il valore delle importazioni della Cina di energia russa (petrolio, gas, gas naturale liquefatto) è passato da 41 a 68 miliardi di dollari.

La Cina non ha aderito alla “price cap coalition”, l’accordo tra i paesi che vietano i servizi di trasporto marittimo per il greggio russo a meno che non venga venduto a un prezzo pari o inferiore a 60 dollari al barile.

Tuttavia i piani di Pechino per aumentare l’acquisto di gas da una serie di paesi (tra i quali la Russia) per ridurre l’impiego di combustibili fossili, nonché i grandi progetti infrastrutturali settoriali Russia-Cina, rientrano nell’ambito di strategie varate negli anni precedenti il conflitto, al quale dunque sono difficilmente collegabili.

Quasi alleati

La ricerca delle prove di una presunta complicità cinese nell’aggressione all’Ucraina e il wishful thinking secondo cui Pechino dovrebbe prendere le distanze da Mosca, rischia di farci perdere di vista una realtà evidente a chiunque ripercorra gli incontri ufficiali e i documenti politici congiunti Pechino-Mosca degli ultimi dieci anni. 

Il 4 febbraio 2022, 20 giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, Xi e Putin sottoscrivevano a Pechino la “Dichiarazione congiunta della Federazione Russa e della Repubblica popolare sull’ingresso delle relazioni internazionali in una nuova era e sullo sviluppo globale sostenibile”.

Mentre Biden era a Kiev, il portavoce del ministero degli Esteri di Pechino è tornato a ripetere che «la Cina non accetterà mai che gli Stati Uniti puntino il dito contro le relazioni sino-russe». «Il partenariato strategico globale di cooperazione della Cina – ha aggiunto Wang Wenbin – si basa sul non allineamento, sul non confronto e sul non prendere di mira terze parti, che rientra nella sovranità di due paesi indipendenti».

A Pechino sono convinti che, anche nell’eventualità di un’escalation, la “neutralità filo-russa” sia la strada da seguire per difendere la linea del partito, basata sulla scommessa di Xi (e di Putin) sulla debolezza degli Stati Uniti.

© Riproduzione riservata