Buongiorno lettrici e lettori di Afriche, la newsletter decolonizzata. Questa settimana vi propongo un focus su come l’aumento spropositato di spese militari e di circolazione di armi stia interessando l’Africa. Con soddisfazione ospito un contributo dell’amico Martino Ghielmi, fondatore di Vado in Africa, una piattaforma di aggregazione e assistenza a individui e aziende che vogliano esplorare opportunità e sinergie per investire in Africa. Segnalo inoltre una mostra a Roma, evento off di Dak’Art, la Biennale d’Arte contemporanea in Senegal. In coda news dal continente. Buona lettura.

Spese militari e Africa

Cresce la spesa militare anche in Africa. In linea con la tendenza globale di corsa a ogni forma di armamenti per garantirsi una presunta maggiore sicurezza – ampiamente smentita dal fact checking (Non è correndo alle armi che salveremo il mondo) – anche il “continente nero” ha fatto registrare una crescita del’1,2 percento e raggiunto una spesa complessiva di 39,7 miliardi di dollari nel 2021. L’aumento di spese nel 2021 nell’Africa sub-sahariana, il primo dal 2014, è stato principalmente trainato dalla Nigeria, il paese che versa più di tutti (+ 56 percento, 4,5 miliardi di dollari). 

Un bilancio, come sottolinea Nigrizia,  destinato a crescere a causa del recente acquisto di  12 elicotteri d’attacco AH-1Z Cobra dagli Stati Uniti e altri di origine russa e italiana come Mil Mi-24/35 “Hind” e Agusta A109 (vendite che vanno contro il Trattato sul commercio delle armi che proibisce l’invio in luoghi di instabilità politica). Il dato più eclatante riguarda l’Uganda che negli ultimi dieci anni ha registrato una crescita del 203 percento.

Spesa minore ma tante guerre 

Se i 40 miliardi di dollari scarsi africani (in percentuale l’1,9 delle spese mondiali) vengono paragonati al resto del pianeta, si scoprirà, ovviamente, quanto le spese militari del continente siano decisamente minori rispetto a ogni altra area.

Le Americhe, ad esempio, raggiungono gli 883 miliardi di dollari e uno share del 42 percento, seguono Asia e Oceania (586, 28 percento), Europa (418, 20 percento) e Medio Oriente (186, 8,8 percento). L’Italia da sola, tanto per fare un caso pratico, ha una military expenditure vicina a quella dell’intera Africa, 32 miliardi. Nella top 40 dei paesi che spendono e spandono in armi, figura un solo stato africano, l’Algeria, 26° (9,1 miliardi di dollari), ma in decrescita rispetto all’anno precedente (- 6,1 percento). Ugualmente il crescente interesse dei governi verso gli armamenti, in un continente che deve fare i conti con varie pandemie e con sistemi sanitari, educativi, economici fragili, desta preoccupazione.

Ma al di là delle statistiche, bisogna soffermarsi su quello che con tutta probabilità è il dato più allarmante. Pur spendendo meno di tutti in armi, l’Africa è senza dubbio il continente più vessato da conflitti. Dei 70 paesi nei quali si consumano guerre, 31 sono africani (in alcuni sono più di uno). E delle 875 milizie irregolari in azione nel mondo, circa 300 vagano per il continente. Come sostiene l’ International Peace Information Service (IPIS) la maggior parte delle forniture proviene dall’esterno del continente, poiché la produzione locale è relativamente limitata.

Uno dei problemi principali alla base del fenomeno è una sempre più capillare circolazione di armi conseguenza di commerci irregolari che vedono nell’Africa occasioni smisurate di business. L’altro è rappresentato dal dato che in generale, la raccolta di dati su crimini, violenza e commercio di armi leggere nel continente è scarsamente documentata. Negli ultimi anni stanno facendo la loro rapida e capillare comparsa armi sofisticate in Africa, come i droni esportati da Turchia e Cina giunte in soccorso del premier etiope Abiy nella sanguinosa guerra in Tigray, solo per fare uno dei tanti esempi.

Ciò va ad aggiungersi al problema principale alla base di conflitti, scontri, guerre locali, e cioè la capacità di compravendita illegale molto alta quanto veloce delle cosiddette SALW (armi piccole e leggere). A causa dell’eredità della dominazione coloniale, della porosità dei confini e della competizione per le risorse naturali, la maggior parte delle nazioni africane fatica a stabilire sistemi normativi efficaci. La cattiva gestione e la corruzione nell’approvvigionamento, così come il traffico transfrontaliero e l’instabilità politica, contribuiscono a dirottare tali armi in una moltitudine di mercati illeciti e nelle mani di criminalità organizzata e gruppi terroristici. Il costo di questo fenomeno è altissimo, con intere aree sotto scacco di gruppi armati che bloccano sviluppo ed economia.

C’è poi il tema della cosiddetta “dispersione”. In Libia, in Mali, così come in altri paesi, gli interventi internazionali, una volta conclusi, oltre ad eredità discutibili, lasciano un carico enorme di armi. Ma perfino le armi in possesso dei vari organismi di peacekeeping circolano sempre di più tra gruppi terroristici o di trafficanti criminali, contro cui erano state stabilite le stesse operazioni. Come denuncia l’Africa Center for Strategical Studies, la perdita di attrezzature appartenute a contingenti di pace si è verificata in almeno 20 operazioni in 18 Paesi africani. Il materiale letale perso solo negli ultimi 10 anni comprende molti milioni di munizioni, migliaia di armi leggere e di piccolo calibro e probabilmente centinaia di sistemi di armi pesanti.

L’iniziativa Silencing the guns

La speranza giace nella capacità degli stati africani, sostenuti anche dall’iniziativa dell’Unione Africana Silencing the Guns, di affrontare sfide decisive come la governance delle risorse naturali, la questione dei confini porosi, così come le perdite dalle scorte ufficiali (eserciti regolari e Onu) e l’armamento occulto dei gruppi di opposizione negli Stati vicini. E che il mondo, smetta di dare tutto questo credito alle armi.

VadoinAfrica, la community degli imprenditori che creano valore con l’Africa

(a cura di Martino Ghielmi, fondatore)

Guardare l’Africa con occhi nuovi e decolonizzati, immaginare il continente a sud dell’Europa come una grande opportunità di sviluppo, lavoro, cultura e rapporti win-win. È con questi principi che nel 2017 nasce VadoinAfrica, la piattaforma che mira a essere uno spazio di aggregazione e assistenza alle aziende per esplorare tutte le opportunità e le sinergie possibili con un continente troppo a lungo vittima di luoghi comuni. Una rete collaborativa di imprenditori e professionisti accomunati dalla convinzione che il futuro dell’Europa passi da un nuovo rapporto con l’Africa.

Con l’età media più bassa al mondo (un africano su due ha meno di vent’anni) e i più alti tassi di crescita dell’utilizzo del web non stupisce che la profittabilità degli investimenti diretti sia parecchio superiore alla media globale (fonte UNCTAD) e che durante la generale frenata del 2020, dei 10 Paesi a maggior crescita ben 6 fossero in Africa (fonte IMF).

Il motore della crescita economica sarà sempre più la domanda interna. Già oggi 26 Paesi su 54 superano la soglia del “medio reddito” e la cosiddetta “classe media” africana cresce di svariati milioni di persone ogni anno. L’Africa è oggi la frontiera per eccellenza per le piccole e medie industrie italiane che hanno tecnologie e competenze preziose per paesi che vogliono superare le filiere post-coloniali, basate sull’esportazione di materie prime a basso valore aggiunto.

Da un lato l’Europa è ancora il partner più importante dell’Africa. Secondo l’European Centre for Development Policy Management (ECDPM), il 36 per cento del commercio estero dell’Africa avviene con l’UE, il 17 per cento con la Cina e il 6 per cento con gli USA. Un quadro simile emerge per gli investimenti: 261 miliardi di euro di investimenti diretti esteri (stock) provengono dall’Europa, 42 miliardi di dagli USA e 38 miliardi dalla Cina. L’Europa è anche al primo posto nella cooperazione allo sviluppo con circa 22 miliardi di euro l’anno.

Dall’altro, le relazioni con l’Africa sono da tempo in crisi. Nel 2000, 38 paesi africani avevano l’Europa come principale mercato di esportazione e 30 come import. Vent’anni dopo l’Unione Europea è rimasta destinazione privilegiata per l’export di 17 Paesi e per l’import di soli 10. Nel frattempo il commercio Cina-Africa è cresciuto di 20 volte e i suoi investimenti diretti di 100 volte. A vederla oggi, appare più come una serie di colossali opportunità perse per l’Europa che una “rinnovata partnership” per citare uno slogan del summit UE/UA del febbraio scorso.

Con oltre 20.000 utenti sui vari canali oltre 100 progetti seguiti, VadoinAfrica raduna imprenditori, dirigenti e professionisti che hanno il coraggio di esplorare nuovi scenari.

Oltre ad un blog informativo e a tante risorse gratuite per tutti coloro che desiderano espandere il proprio business nel continente africano, è attivo VadoinAfrica Club, per offrire un supporto a 360 gradi a tutti gli imprenditori che lavorano già sul territorio.

VadoinAfrica ha creato anche ABC (Africa Business Connector), un servizio di Expert Networking e Business Development pensato per chi ancora non lavora con l’Africa e ha bisogno di essere orientato in questa nuova avventura.

Dak’Art, la Biennale d’arte contemporanea di Dakar a Roma

In wolof, la lingua più parlata del Senegal, per dire l’incontro, l’intersezione tra percorsi e persone, si usa una parola, ndaaje, che ha una connotazione fortemente evocativa. Il senegalese Mokodou Fall, con una carriera di attore satirico, produttore, artista figurativo e designer, uno dei Fab 5 africani selezionati da “Black Lives Matter in Italian Fashion” per l’ouverture delle sfilate del febbraio 2021 della Milano Fashion Week - e Marina Tabacco l’hanno scelta come titolo per una mostra a quattro mani che l’ambasciata del Senegal a Roma ospiterà a partire dal 19 maggio, in coincidenza con Dak’Art, la Biennale d’Arte contemporanea di Dakar. Dak’Art, com’è noto, affianca da tempo un circuito espositivo off a quello istituzionale. E l’organizzazione ha deciso per questa edizione di consentire agli artisti della diaspora di inserirsi in un off extraterritoriale, appoggiandosi anche alla rete delle sue ambasciate. Il tema di questa edizione è “forger”, forgiare, riferito alla costruzione di un mondo nuovo, ispirato ai valori di pace, rispetto per le radici, collaborazione creativa, metissage.

Dal 20 maggio al 10 giugno 2022 presso l’Ambasciata senegalese a Roma, Via Antonio Stoppani 7

Vernissage 19 maggio

News dal continente

  • In Ruanda/Regno Unito

Si sollevano le prime decise proteste contro il controverso piano del ministro britannico dell’Interno Priti Patel di inviare i richiedenti asilo in Ruanda. Il progetto di esternalizzare gli obblighi del Paese in materia di asilo ha sollevato seri interrogativi legali ed evidenti preoccupazioni per i diritti umani. La scorsa settimana è stata avviata un’azione legale contro il governo britannico, in cui si afferma che le proposte del ministro dell’Interno sono contrarie al diritto internazionale e alla Convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, oltre a violare la legge britannica sulla protezione dei dati. Il piano, inizialmente considerato una boutade propagandista di stampo marcatamente razzista, sprezzante del diritto, sembra abbia una road map concreta. Proprio per questo sono sempre di più i gruppi, le Ong, i movimenti, così come la stessa agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) - che accusa Londra di "invitare" altri Paesi europei ad adottare la stessa politica divisiva - che fanno sentire la propria voce in chiara opposizione.

  • In Somalia

Hassan Sheikh Mohamud è il nuovo presidente della Somalia. In una domenica 15 maggio elettorale che ha coinvolto 36 candidati, Mohamud ha ottenuto 214 voti dai membri del parlamento e prende così il posto di Mohamed Abdullahi Mohamed, meglio conosciuto come Farmajo. Il voto arriva dopo più di un anno di ritardo (il mandato di Farmajo era terminato nel febbraio 2021) e segna, queste le speranze di uno dei paesi più colpiti da guerre intestine e carestie dell’Africa, una linea di demarcazione in una crisi politica grave per ridare credibilità internazionale alla Somalia. Ora si dovrà nominare un nuovo esecutivo. Ma bisogna farlo in fretta: il paese, fortemente indebitato, rischia l’accesso a un pacchetto di aiuti triennale da 400 milioni di dollari del Fondo Monetario Internazionale, che potrebbe andare perduto se entro breve tempo non sarà insediata una nuova amministrazione.

  • In Mali

La giunta golpista del Mali ha annunciato domenica il suo ritiro dalla forza regionale anti-jihadista G5 Sahel dopo che le è stato impedito di assumere la presidenza del gruppo. L’uscita del Paese dalla forza di sicurezza del G5 Sahel aggrava il suo isolamento già estremo dopo che i paesi appartenenti all’Ecowas (Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale) lo avevano colpito con sanzioni a gennaio per il ritardo nel ripristino del governo civile. "L’opposizione di alcuni Stati membri del G5 Sahel alla presidenza del Mali è legata alle manovre di uno Stato esterno alla regione che mira disperatamente a isolare il Mali", ha dichiarato il portavoce del governo golpista, senza fare il nome del Paese. Il G5 Sahel, che comprende anche Mauritania, Ciad, Burkina e Niger, è stato lanciato nel 2014. Prosegue quindi il senso di accerchiamento e progressivo isolamento della giunta maliana che, dopo aver dato segnali di netto antieuropeismo culminati con l’espulsione dell’ambasciatore francese dal paese nel febbraio scorso, ora sembra volersi sganciare anche dai paesi dell’area.

© Riproduzione riservata