«Siamo figli dell’Africa e di un’avvincente storia di diversità che ci ha fatto giungere fin qui» (Donald Johanson, scopritore di Lucy, l’australopitecina rinvenuta nel novembre 1974 nella regione di Hadar, Etiopia)

Quanto sappiamo veramente dell’Africa? Il continente che comincia a nord del parallelo di Portopalo e finisce a Cape Town appare solo nell’1,6 per cento dei notiziari prime time ed è quasi completamente assente dalle pagine dei quotidiani. L’immagine che arriva in Europa proietta solo un immenso monolite afflitto da guerre, miseria, dittature, carestie e slum. Manca l’Africa della rapidissima crescita economica, delle democrazie emergenti, delle tecnologie, dell’innovazione; l’Africa delle migrazioni interne, infinitamente superiori a quelle verso il Vecchio continente; l’Africa della moda, della cultura, del cinema e della letteratura. E ci sono più differenze tra Rabat e Windhoek che tra Lisbona e Tallin.

Curata da Luca Attanasio, Afriche è l’hub dei narratori di Africa. Proverà a favorire una nuova narrazione decolonizzata dell’Africa per comprendere meglio un continente impoverito ma ricco, espropriato, accaparrato ma in via di sviluppo. Attraverso storie di diaspore, economia e lavoro, imprenditoria, cooperazione, studio, cultura, arte, ambiente, costume. In arrivo ogni martedì pomeriggio a partire dal 10 maggio, Afriche è il riflettore puntato sul melting pot misconosciuto dei pronipoti di Lucy.


Crescita economica e guerre in Africa

La guerra in Ucraina rischia di frenare la difficile quanto parzialmente insperata ripresa economica dell’Africa. Il 2021 è stato un anno di resilienza che aveva fatto registrare alcune buone notizie oltre le aspettative.

La crescita economica dell’Africa subsahariana, infatti, come riporta Africa’s Pulse, un’analisi delle prospettive macroeconomiche regionali a breve termine della Banca mondiale, si è attestata al 4 per cento nel 2021, 0,7 punti percentuali superiore alla stessa previsione dell’edizione del report di ottobre scorso. Secondo le analisi del Fondo monetario internazionale, inoltre, nel terzo trimestre dello scorso anno la crescita ha segnato un aumento più significativo passando dal 3,7 per cento del 2020 al 4,5.

La diffusione delle varianti del Covid, così come altri fenomeni di crisi endemiche legate a guerre o emergenze ambientali, hanno colpito duramente nel complesso i 54 paesi africani, ma non gli hanno impedito di resistere e di dare impulso a un lento miglioramento. Tra i paesi più performanti ci sono Benin, passato dal 3,8 per cento nel 2020 addirittura al 7,2 per cento nel 2021, o l’Uganda, che si è avvalsa di un vero e proprio boom del turismo interno.

Ma, per quanto strano possa apparire, perfino l’Etiopia figura tra i paesi che registrano un minimo segno più (2 per cento) nonostante una guerra che ha devastato una delle sue regioni più importanti, il Tigray, tracimando anche verso altre, e una spaventosa siccità che ha interessato tutto il Corno d’Africa.

Naturalmente le differenze tra paese e paese o tra le diverse aree sono tantissime e se alcuni stati dalla migliore stabilità politica ed economica possono guardare con maggiore tranquillità al futuro, quelli, ad esempio, della fascia del Sahel scontano gravissimi problemi dovuti a volubilità politica, crisi ambientali e conflitti interni che fanno segnare il passo anche all’economia. «Il 2021 è stato l’anno della ripresa rispetto al 2020 segnato dall’acme raggiunto dalla crisi pandemica – spiega ad Africanews Abebe Selassie direttore del dipartimento africano del Fondo monetario internazionale – ed è quindi normale che ci sia stata una crescita. Possiamo dire, però, che raggiungere e superare il 4 per cento può considerarsi un buon risultato».

A differenza dell’anno scorso, però, il 2022 segnerà un rallentamento notevole. A pesare enormemente saranno le crisi alimentari e la susseguente insicurezza scatenate da fenomeni gravissimi come siccità e carestie così come gli effetti della guerra in Ucraina.

Sempre secondo Africa’s Pulse, le stime di crescita dell’Africa Subsahariana nell’anno in corso sono in calo rispetto al 2021. Ad aggiungersi alle sfide di sviluppo della regione ci sono i prezzi crescenti delle materie prime a livello globale, che stanno aumentando a un ritmo più veloce dall’inizio del conflitto tra la Russia e l’Ucraina. «La guerra in Ucraina – recita il rapporto – ha esacerbato le tensioni e le vulnerabilità già esistenti che colpiscono il continente. Il suo maggiore impatto si avrà sulla crescente probabilità di rivolte civili come risultato dell’inflazione e scarsità di cibo ed energia in ambienti già gravati da instabilità politica».

«Si tratta di una crisi senza precedenti per il continente – ha dichiarato a inizio maggio l’economista Raymond Gilpin responsabile del team di strategia, analisi e ricerca di UNDP Africa (Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo) che sta portando a una riduzione della crescita del Pil significativa».

Sono molti i paesi africani a dipendere pesantemente dalle importazioni di grano, mais, olio di girasole e altri prodotti basilari per il consumo alimentare. Tra le prime otto nazioni in via di sviluppo dipendenti dall’importazione di grano dalla Russia o dall’Ucraina, per fare un esempio, sette sono africane (l’unica asiatica è il Laos): Somalia e Benin per il 100 per cento (con la prima che acquista il 70 per cento circa da Ucraina e restante da Russia, e Benin totalmente dipendente dalla Russia), Egitto (82), Sudan (75), RD Congo (69), Senegal (66), Tanzania (64).

Nel frattempo, e indipendentemente dall’invasione russa in Ucraina, da alcune zone dell’Africa giungono notizie allarmanti.
Secondo l’Onu venti milioni di individui rischiano di morire di fame quest’anno a causa del grave ritardo delle piogge che peggiora una siccità già drammatica e lunga in Kenya, Somalia, Eritrea ed Etiopia. L’aridità estrema ha azzerato raccolti e ucciso bestiame e forzato un gran numero di persone a fuggire in cerca di cibo e acqua.

Dall’altra parte, invece, sono circa 27 milioni le persone che soffrono la fame. Burkina Faso, Niger, Ciad, Mali e Nigeria, i paesi più colpiti per quella che viene considerata la peggiore crisi alimentare della regione dell’ultimo decennio. A tali situazioni hanno contribuito conflitti e scontri, succedutisi in tutto il Sahel così come in Etiopia e in Somalia, che hanno distratto risorse e, soprattutto, impedito a contadini e allevatori di occuparsi di campi e bestiame costretti a fuggire per salvarsi la vita.

A sperare che il conflitto in Ucraina si fermi, così come i tanti nel continente, sono quindi anche milioni di africani, vittime di disequilibri mondiali e primi a pagare decisioni prese a decine di migliaia di km di distanza.

A rischio la seconda foresta pluviale più grande al mondo

Il Congo è ancora sotto i riflettori per un nuovo capitolo dell’infinita saga dal titolo scontato “La maledizione delle risorse”. In questo caso, il paese, baciato dalla natura con il meraviglioso bacino del fiume Congo sede della foresta pluviale più grande al mondo dopo quella amazzonica, decide di ignorare di essere una delle ultime aree del pianeta in grado di assorbire più carbonio di quanto ne diffonda, e lo destina all’estrazione selvaggia del petrolio.

Ad aprile, l’esecutivo della Repubblica Democratica ha approvato il piano di appalto per nuove trivelle esattamente attorno all’area. Dei sedici blocchi destinati alla perforazione nove si trovano in una regione del bacino del Congo conosciuta come la Cuvette Centrale, un’area estesa come un terzo della California, dove sorge il più grande complesso di torbiere tropicali del mondo.

Almeno tre di questi blocchi che andranno all’asta e verranno assegnati a compagnie petrolifere internazionali, secondo l’inglese Rainforest Foundation, si sovrappongono direttamente alle torbiere, ponendo una doppia minaccia al clima. Gli scienziati stimano infatti che le torbiere immagazzinino l’equivalente di tre anni di emissioni globali di CO2 e che lasciata indisturbata, la foresta tropicale di palude di torba possa contrastare il riscaldamento globale: ma se la torba viene drenata o la terra convertita ad altri usi potrebbe diventare una fonte significativa di emissioni.

L’espansione delle infrastrutture di combustibili fossili, oltre a scatenare una catastrofe ambientale e a bloccare il processo di aumento delle emissioni, facendo sostanzialmente saltare gli obiettivi internazionali di contenimento della temperatura, andrà in netta controtendenza rispetto all’accordo firmato nel corso della Cop 26 di Glasgow solo qualche mese fa che allocava 500 milioni di dollari proprio alla preservazione delle foreste e parlava di Congo come “paese soluzione”: «Grazie alle sue foreste – recita in un passo il testo dell’accordo – l’acqua e le risorse minerarie, la Repubblica Democratica del Congo è un vero "paese soluzione" alla crisi climatica. Per proteggere la foresta e promuovere la sua gestione sostenibile, la nostra priorità, sostenuta da questo nuovo partenariato, è quella di rafforzare la governance e la trasparenza in tutti i settori di utilizzo del territorio».

L’accordo rientra nel quadro delle azioni della Central African Forest Initiative (CAFI) un fondo fiduciario delle Nazioni Unite che mira a sostenere sei paesi dell’Africa centrale nel perseguire un percorso di sviluppo a basse emissioni.

Il Congo è la terra delle contraddizioni. Il paese è baciato da ogni tipo di risorsa possa servire al mondo, dal caucciù, all’oro, dai diamanti, al coltan, dal rame al cobalto. Eppure giace inspiegabilmente agli ultimissimi posti degli indici di sviluppo. È tra gli stati più poveri al mondo con un tasso di infelicità altissimo dovuti a instabilità e conflitti innescati, in grande parte, proprio dalla caccia alle risorse. In Katanga, per fare un esempio, giace tra il 65 e il 70 per cento del cobalto del mondo, un minerale una volta negletto ora balzato in cima al London Metal Echange a causa della richiesta schizzata negli ultimi anni. Senza di lui, non avremmo smartphone, device e, soprattutto, ‘green revolution’ (per fare una batteria di una auto elettrica servono 10 kg di cobalto).

Ma il prezzo per il cambiamento che in occidente si sta già percependo, lo pagano i katangesi che si infilano in cunicoli scavati a mano per 3 dollari al giorno e spesso non tornano in superficie. 40mila di questi sono bambini. A questo link potrete leggere un articolo della mia inchiesta a riguardo.

(AP Photo/Moses Sawasawa/Fondation Carmignac)

Kibogo è salito in cielo

Segnalo un interessante racconto di un’autrice ruandese tra le voci di punta della letteratura africana contemporanea esattamente all’incrocio tra cronaca e leggenda, lotta anti-colonialista e ironia, in uscita il 26 maggio.

Kibogo è salito in cielo
di Scholastique Mukasonga
(traduzione di Giuseppe G. Allegri, in uscita il 26 maggio per Utopia Editore)

Negli anni Quaranta del secolo scorso, con la colonizzazione belga, gli abitanti del Ruanda entrano in contatto con i padri missionari cattolici e la loro opera di indottrinamento. Il cattolicesimo, dunque, si affianca a credenze e riti millenari che contraddistinguono un’intera civiltà. Il re, massima figura secolare e spirituale, depositaria della tradizione ruandese, accetta il battesimo e impone il cattolicesimo ai suoi sudditi. I missionari mettono perciò al bando ogni culto indigeno, che considerano pagano e demoniaco, votando il Ruanda a Gesù e a sua madre Maria.
Tra le leggende locali, però, ce n’è una molto simile alla storia di Cristo e della Vergine che gli europei provano a trasmettere con i loro messali in un latino incomprensibile. È la storia di Kibogo, l’eroe che riportò sulla Terra una pioggia da tempo agognata, salvando gli uomini dalla siccità, per poi essere assunto in cielo, esattamente come Gesù. La confusione tra i due racconti è, dunque, inevitabile. Di fronte alla grande siccità, perché non invocare anche Kibogo affinché la pioggia ritorni?
A metà tra cronaca e leggenda, con la maestria e l’ironia che l’hanno consacrata tra le voci di punta della letteratura africana contemporanea, Scholastique Mukasonga in Kibogo è salito in cielo racconta la colonizzazione, l’imposizione di un culto e il sincretismo religioso, consegnando alla parola scritta una cultura che si è trasmessa per secoli in forma orale.

Più subdola di ogni dispotismo, sembra dire, è la colonizzazione culturale, che imprigiona le sue vittime in una cella invisibile, sorvegliata da sentinelle incorruttibili che vivono nel torto, come accade a chi è sempre convinto di aver ragione.

Notizie dal continente

  • In Somalia

Dopo un’estenuante attesa di 15 mesi, il parlamento somalo ha annunciato che le elezioni presidenziali avranno luogo il prossimo 15 maggio e che 329 legislatori di entrambe le camere – 54 del Senato o Camera Alta e 275 della Camera Bassa – eleggeranno il decimo presidente del paese. Il presidente uscente, Mohamed Abdullahi Mohamed conosciuto come Farmajo, aveva finito il mandato ufficialmente l’8 febbraio 2021, ma a causa di un complesso e delicato processo e di equilibri precari, si è solo giunti di recente a stabilire una data.

  • In Mali

Il presidente del Togo Faure Gnassingbe ha accettato di agire come mediatore nella crisi politica del Mali che in meno di due anni ha subìto due golpe. «La situazione in cui ci troviamo oggi – sostengono fonti del governo – richiede uno sforzo di creatività politica che ci permetta di uscire da questa condizione». Il ministro degli Esteri togolese Robert Dussey ha confermato che l’offerta è stata accettata. La scelta ha il fine di sbloccare un’empasse lunga almeno un anno durante il quale sono pimbate sul paese le sanzioni dell’Ecowas (Comunità economica degli stati dell’Africa occidentale).

  • Turismo africano

Il sito di viaggi Big 7 Travel ha stilato la classifica dei cinquanta paesi imperdibili per turisti in cerca di siti carbon-free. L’Africa piazza ben due paesi sul podio. Dopo l’asiatico Bhutan, infatti, tra i luoghi più ecologici e rispettosi dell’ambiente da visitare, figurano rispettivamente secondo e terzo il Botswana e il Gambia.


Per questa settimana Afriche si ferma qui. Ci incontriamo qui martedì prossimo. Se vorrete darmi consigli, fare commenti, critiche, o se desiderate proporre temi, spunti, discussioni, contributi o eventi scrivetemi a: attaluca@gmail.com (nell’oggetto inserite Newsletter Afriche) . Per comunicare direttamente con Domani, invece, scrivete a lettori@editorialedomani.it.
A presto!
Luca Attanasio

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