Le sei navi da guerra cinesi che negli ultimi giorni hanno solcato i mari del Medio Oriente sono l’ennesimo segnale della rilevanza che per Pechino ha la stabilità della regione, dalla quale importa la maggior parte del petrolio che alimenta la seconda economia del pianeta.
Cacciatorpedinieri, fregate e una nave appoggio che nelle scorse settimane si sono esercitate con la marina del sultanato dell’Oman (quarto fornitore di oro nero della Cina) e che potrebbero essere chiamate a evacuare i cinesi da Israele, ripetendo l’operazione di soccorso portata a termine la scorsa primavera nel Sudan in preda alla guerra civile. Intanto l’ambasciata a Tel Aviv ha invitato i connazionali a lasciare il paese con ogni mezzo e prima possibile.

Il cessate il fuoco a Gaza, che negli ultimi giorni era stato invocato dai suoi diplomatici, è stato chiesto direttamente da Xi Jinping. Incontrando a Pechino il primo ministro egiziano, Mostafa Madbouly, il presidente cinese ha inoltre affermato che la Cina «intende rafforzare il coordinamento con l’Egitto e i paesi arabi per facilitare una soluzione globale, giusta e duratura alla questione palestinese il prima possibile».
Xi ha ribadito la posizione ufficiale di Pechino, secondo cui «La via d’uscita fondamentale dal lungo conflitto Palestina-Israele sta nell’attuazione della soluzione dei due stati e nella creazione di uno stato palestinese indipendente, in modo da realizzare la coesistenza pacifica di Palestina e Israele». Nell’immediato, secondo Xi «è fondamentale evitare che il conflitto si espanda o addirittura sfugga di mano e provochi una grave crisi umanitaria».

Fermare Hezbollah

Mentre Xi promuoveva lo sforzo negoziale cinese, l’inviato per il Medio Oriente, Zhai Jun, sbarcava a Doha, sede dell’ufficio politico di Hamas e residenza del suo presidente, Ismail Haniyeh. Nella capitale del Qatar, Zhai ha incontrato il suo omologo russo Mikhail Bogdanov. «Pechino e Mosca condividono la stessa posizione sulla questione palestinese» e che manterranno «uno stretto coordinamento degli sforzi nell’interesse di una soluzione politica di questa e di altre crisi nella regione del Medio Oriente e del nord Africa».
Secondo quanto riferito da Hamas, Haniyeh e il ministro degli esteri iraniano, Hossein Amirabdollahian, si sono visti sabato scorso in Qatar, a una settimana dal massacro in Israele del 7 ottobre. Dopo Doha, Zhai dovrebbe andare proprio a Tehran. L’Iran – che finanzia Hamas e ha una forte influenza su Hezbollah e i sui miliziani in Libano – è l’attore della regione, cruciale, sul quale la Cina può esercitare un’influenza maggiore rispetto altri paesi.

È ciò che nei giorni scorsi il senatore Usa Chuck Schumer, in visita a Pechino, ha chiesto di fare a Xi e di cui il segretario di Stato Antony Blinken ha discusso col suo omologo cinese, Wang Yi: premere sull’Iran affinché si tenga fuori dal conflitto. Questo delicato passaggio rappresenterà il primo test significativo per la diplomazia cinese alle prese con l’incendio di Gaza.

«Veto macchiato di sangue»

La Cina procederà, come di consueto, con i piedi di piombo. Ma sono tanti i fattori che la spingono a insistere. Gli interessi economici: dalla regione arriva oltre la metà del petrolio che acquista sui mercati internazionali, il cui prezzo  – in caso coinvolgimento dell’Iran e di conseguenti tensioni nel Golfo Persico  – schizzerebbe alle stelle.
La geopolitica: il Medio Oriente sta diventando uno snodo sempre più importante della nuova via della Seta, e gli appelli di Pechino per una tregua ne accrescono la popolarità in gran parte del sud globale (ieri, da Riyadh, le hanno fatto eco i sei paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo, assieme ai dieci dell’Associazione delle nazioni del sud est asiatico.

Anche per questo Pechino ha criticato duramente il veto con cui Washington mercoledì ha bloccato la risoluzione presentata dal Brasile al Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite.
Il testo bocciato per l’opposizione Usa (unico veto, contro 12 voti favorevoli e due astensioni) chiedeva una “tregua umanitaria” nel conflitto tra Israele e Hamas per consentire l’accesso degli aiuti alla Striscia di Gaza, ma – questa è stata la principale obiezione di Washington – ometteva il “diritto di Israele all’autodifesa”. Il veto statunitense è macchiato del sangue dei civili israeliani e palestinesi, hanno titolato i media nazionalisti, la cui propaganda sta accompagnando il tentativo di Pechino di ritagliarsi un ruolo nella soluzione di questa inedita guerra di Gaza che la Cina teme possa incendiare l’intero Medio Oriente.

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