Ucraina-Nagorno-Sudan-Gaza: guerra chiama guerra, ma anche guerra copre guerra. Davanti alle tragicità della ripresa del conflitto israelo-palestinese, un velo di totale oblio è calato sul dramma degli armeni del Nagorno Karabakh e quasi anche sull’Ucraina, per non parlare del Sudan e della Siria o dello Yemen. Di questi ultimi due conflitti si fa cenno solo per allarmare su un loro possibile coinvolgimento in quello in corso a Gaza. Una catena impietosa e violenta si sta materializzando davanti ai nostri occhi: quella «guerra mondiale a pezzi» che papa Francesco aveva intuito. Sembrava ai più un’esagerazione, come sempre appaiono le parole profetiche di chi scruta in profondità il futuro. Eppure sta accadendo: è come una faglia di terremoto che si allunga. A quali altre esplosioni improvvise dobbiamo prepararci?

È utile andare a vedere dove vi sono altre guerre congelate che rischiano di conflagrare per “simpatia”, come si dice per gli esplosivi. Come fare a spezzare tale catena di violenze che si trasmettono le une alle altre? La guerra ha il potere di scatenare processi imitativi che suggestionano e ammaliano anche molto lontano da dove sta avvenendo. È urgente imparare a reagire affinché tale contagio si arresti. Spesso, tuttavia, davanti allo scatenarsi dell’orrore non si sa come reagire: sembra esagerato tanto da non poterlo sopportare. Oltre a tutta la violenza, c’è qualcosa di ancor più torbido che trascina via gli innocenti, in particolare i bambini. I media sono pieni di foto di bambini uccisi sotto i bombardamenti, rapiti. È un dato che coinvolge tutte le guerre: bambini rubati e anni rubati ai bambini. Innocenti presi nel turbine dell’odio.

Di cosa è fatto l’odio

Com’è possibile? Da dove viene tutto quest’odio? Il ministro della Difesa israeliano ha usato parole dure: «Sono animali umani», e le gesta dei terroristi di Hamas contro civili inermi sembrano talmente disumane da farlo istintivamente pensare. Come scrive David Grossman: «Anche nella malvagità esiste una gerarchia. Ci sono livelli di gravità del male che il buon senso e l’umanità sanno riconoscere». La vertigine della vendetta è e sarà ugualmente atroce: sacrificare oltre 2 milioni di abitanti di Gaza in una prigione a cielo aperto, condannati a morte – lenta per mancanza di cure e cibo, o veloce con le bombe – è ugualmente disumano.

Si teme che il ciclo della rappresaglia duri per molto tempo, nutrendosi di tale violenza e risultandone rafforzato. È ciò che vuole Hamas ed è quello che accettano gli estremisti di tutte le parti. Sappiamo già che tale vortice non produrrà nessun risultato: non darà sicurezza a Israele né uno stato ai palestinesi. Forse soddisferà le strategie a breve termine dell’Iran, di Hezbollah e del jihadismo globale, oppure appagherà il bisogno di controllo e primazia degli occidentali, ma sarà sempre un risultato a somma zero, a parte tante vittime e la crescita dell’odio.

«Non facciamoci travolgere dall’odio», scrive Assaf Gavron. «Siamo stati danneggiati dal nostro sentirci superiori», prosegue lo scrittore israeliano, «ma confido che in molti di noi questa violenza possa accendere il desiderio di capire cosa ci ha condotti a questo punto». Ecco il nodo: di cosa è fatto tutto questo odio? Come si innesca e come si scatena? Come fa a trasformare l’essere umano in una macchina di morte accecata, in uno zombi? Per rispondere a tale quesito non bastano le spiegazioni emotive. Ciò a cui assistiamo è odio covato, preparato e realizzato con freddezza, premeditato per mesi e anni. Nessuno è riuscito a spezzarlo. Le risposte politico-sociologiche sono utili ma non esaustive. Se fosse vero che certe condizioni politiche, economiche e sociali bastano da sole a creare un odio così forte, allora vivremmo in un continuo bagno di sangue. Povertà, miseria, diseguaglianza, razzismo e discriminazioni esistono dovunque e non provocano automaticamente, per la loro stessa esistenza, un odio talmente brutale.

Qualcuno dirà che c’è l’elemento teologico-religioso a renderlo così intenso. Ma anche tale osservazione non è sufficiente: islam e ebraismo sanno anche convivere. Come scrive Massimo Giannini: «Non c’è Allah e non c’è povertà, non c’è sopruso e non c’è schiavitù, che spieghino questo orrore».

L’odio che vediamo è stato maleficamente costruito da una consapevole scelta politica. Tale decisione fa parte della maturazione di un ciclo infernale che stravolge tutto. Zygmunt Bauman scriveva: «Paura e odio hanno le stesse origini e si nutrono dello stesso cibo: ricordano i gemelli siamesi condannati a trascorrere tutta la vita in compagnia reciproca. In molti casi non solo sono nati insieme ma possono solo morire insieme».

Tale è l’ingranaggio che trasforma gli uomini in mostri. Ma, anche se manipolato e costruito a tavolino, l’odio ha una precisa caratteristica: si rende autonomo. Con logica perversa a un certo punto diventa indipendente dalla volontà umana. L’esplosione del male – un male così parossistico ed “esagerato” – non si spiega in termini socio-economici o romantico-sentimentali, né come la conseguenza di qualcosa di logicamente concatenato. C’è un frattura che si compie con ciò che è umano. Guerra, odio, violenza allo stato puro, razzismo trasformano l’uomo in un essere diverso, lo disumanizzano al punto di renderlo uno zombi pronto a commettere atti terribili, quasi al di fuori di sé (malgrado tutto il processo per giustificarlo e giustificarsi).

Talvolta aiuta la droga: non a caso il Captagon usato oggi in Medio Oriente è un lontano parente delle anfetamine naziste usate nella Seconda guerra mondiale. I simpatizzanti con le posizioni di Hamas, anche i più moderati, dicono che il 7 ottobre è stato una specie di riedizione dell’11 settembre: un’azione talmente eclatante da costringere tutti a ricordare che i palestinesi esistono e soffrono da decenni. A loro dire, anche se non è un modo per giustificare il massacro degli innocenti, servirà almeno per spiegare.

Tuttavia il punto è: l’11 settembre ha risolto forse qualcosa? Ha reso il mondo più sensibile ai destini del mondo arabo-musulmano sul quale i terroristi volevano attirare l’attenzione? Ha evitato nuove guerre? No: il risultato è stato esattamente l’opposto, a dimostrazione che l’odio si nutre di odio e cresce incontrollato senza risolvere nulla. Non è il suo obiettivo: l’unica cosa che l’odio vuole è rendersi permanente.

Un compromesso

Alcuni si fanno suoi servitori: più caos nel senso del “tanto peggio tanto meglio”. Siamo all’opposto della teoria della non-violenza: alla violenza corrisponde una violenza sempre più estrema. L’abbaglio è credere che la violenza sia uno strumento come un altro, mentre si appropria dell’uomo e lo possiede, snaturandolo. Ciò che serve è bonificare l’odio nascosto nei sotterranei della storia prima che scoppi. Quanto odio c’è nel sottosuolo della storia a cui non badiamo! Quante crisi irrisolte e dimenticate, come in Ucraina! Quante riconciliazioni rinviate come quelle in Medio Oriente! La pace è sempre una costruzione difficile che necessita di tanti compromessi.

Spontaneamente gli esseri umani – e soprattutto i leader – rifuggono il compromesso perché implica rinunciare a qualcosa. In Italia ci siamo tristemente abituati a considerare il compromesso come “inciucio”. Grave errore. «Contro il caos l’occidente riscopra il compromesso», scrive saggiamente Massimo Cacciari, facendo eco alla nostra migliore tradizione politica repubblicana. Con efficace sintesi Aldo Cazzullo aggiunge: «Un compromesso che rispetti l’eroica resistenza ucraina senza umiliare la Russia andrà pur trovato». Si potrebbe dire anche per Gaza. L’alternativa è la prova di forza che rischia di rafforzare l’ingranaggio dell’odio e propagare la guerra. Di quante guerre abbiamo ancora bisogno per capire che sono – prima ancora che orribili, micidiali, distruttive o immorali – assolutamente inutili?
 

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