Fra le vittime eccellenti della guerra in Ucraina c’è anche l’ecumenismo, inteso come dialogo fra chiesa di Roma e patriarcato ortodosso di Mosca.

Una lunga stagione di contrapposizione e diffidenza, era infine stata superata, almeno in parte, dal lavoro paziente di tessitura, non privo di ostacoli e passi indietro, portato avanti nei decenni successivi alla caduta del muro di Berlino; alla fine, nel 2016, papa Francesco aveva incontrato Kirill a Cuba, in territorio neutrale per così dire, per un abbraccio che poteva segnare una nuova era nel dialogo fra oriente e occidente.

Tuttavia, il patriarcato di Mosca ha successivamente scelto un’altra strada; difendere l’identità russa da un occidente caduto vittima di satana è l’obiettivo della chiesa di Mosca, e di questa impresa fa parte, a pieno titolo, la guerra per la riconquista dell’Ucraina. E’ quanto si legge nella Dichiarazione conclusiva del Congresso mondiale russo, organismo politico-religioso, promosso dal patriarcato ortodosso all’inizio degli anni ’90 per difendere la tradizioni russe.

L’evento, tenutosi a Mosca alla fine di marzo, si è svolto sotto la guida dello stesso Kirill. “L’intero territorio della moderna Ucraina – si legge nel testo della Dichiarazione – dovrebbe entrare nella zona di influenza esclusiva della Russia. La possibilità dell’esistenza in questo territorio di un regime politico russofobo ostile alla Russia e al suo popolo, nonché di un regime politico controllato da un centro esterno ostile alla Russia, deve essere completamente esclusa”.

Non solo: “Da un punto di vista spirituale e morale, l'operazione militare speciale è una guerra santa, in cui la Russia e il suo popolo, difendendo lo spazio spirituale unificato della Santa Russia”, proteggono “il mondo dall'assalto del globalismo e dalla vittoria dell'Occidente caduto nel satanismo”; in definitiva: “Costruire uno stato russo millenario è la forma più alta di creatività politica della nazione russa”.

In queste e altre affermazioni sembrano riecheggiare temi di un sinistro passato, tanta è la forza della propaganda.

Integrità dell’Ucraina

D’altro canto se ergere una barriera per difendere le proprie tradizioni spirituali e invocare per questo la guerra santa diventa il mantra dell’ortodossia russa, è evidente che non c’è più alcuno spazio per il dialogo ecumenico fra “fratelli separati”, né per ascoltare proposte di pace che non siano accompagnate dalla prospettiva della capitolazione del nemico.

In tal senso, tutta una lunga stagione ecumenica si chiude, mostrando anche i limiti di un dialogo fra chiese che ha evitato di affrontare alcuni nodi di fondo.

Così Francesco, durante il messaggio pasquale, in riferimento alla guerra in Ucraina ha detto: “Mentre invito al rispetto dei principi del diritto internazionale, auspico uno scambio generale di tutti i prigionieri tra Russia e Ucraina: tutti per tutti!”.

Dunque, nella posizione della Santa Sede, torna il richiamo al diritto internazionale, già spiegato da mons. Paul Gallagher, segretario della Santa Sede per i rapporti con gli Stati e le organizzazioni internazionali, in questo modo in un’intervista alla testata dei gesuiti “America” del 25 marzo: “Sosteniamo ancora l’integrità territoriale dell’Ucraina.

Non crediamo che i confini dei paesi debbano essere modificati con la forza. Questa rimane la nostra posizione. Riteniamo che questa sia una posizione giusta, e questa è la nostra posizione nei confronti dell’Ucraina”.

«Allo stesso tempo – aggiungeva - riconosciamo anche il diritto dell'Ucraina a compiere tutti i passi che possano rendere possibile un accordo per una pace giusta, anche riguardo ai suoi territori. Ma questo non è qualcosa che possiamo imporre o aspettarci dall’Ucraina. Se l’Ucraina e il suo governo vogliono farlo, allora è interamente a loro discrezione».

In sostanza, affermava Gallagher, se poi Kiev decide di trattare sulla cessione di pezzi di territorio per ottenere la pace è libera di farlo, ma questo non gli può essere imposto. Non a caso le parole del papa e quelle di mons. Gallagher, ricevevano l’immediato plauso e ringraziamento da parte dell’arcivescovo Sviatoslav Shevchuk, capo della Chiesa greco-cattolica dell’Ucraina, per il quale Roma «rispetta la sovranità, l'indipendenza e l'inviolabilità dei confini dell'Ucraina. Queste parole rivolte al cuore della comunità internazionale sono vitali per gli ucraini».

C’è da dire, però che se le parole di pace, di sostegno a una tregua, pronunciate dal pontefice in varie occasioni hanno suscitato spesso delle incomprensioni da parte ucraina, è vero, allo stesso tempo, che la Santa Sede ha promosso una diplomazia umanitaria attraverso il cardinale Konrad Krajewski, elemosiniere pontificio, recatosi in Ucraina per ben 7 volte negli ultimi due anni facendo arrivare più di 240 tir carichi di aiuti per la popolazione civile.

Pesa, fra le altre cose, nella posizione della Santa Sede, lo scarso ascolto ricevuto fino ad ora a Mosca nel tentativo di aprire un negoziato per far tornare a casa migliaia di bambini deportati in Russia durante questi due anni di conflitto; in tal senso neanche la voce del patriarcato è arrivata in aiuto del Vaticano.

Come pure è un macigno sulla strada della pace – secondo l’ottica della Santa Sede – la mobilitazione straordinaria di 150 mila soldati decisa da Putin, da reclutarsi fra i cittadini russi compresi fra i 18 e i 27 anni, entro la primavera.

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