La vittoria di Recep Tayyip Erdogan in Turchia è avvenuta sulla scia di un rafforzamento del sentimento nazionalista piuttosto che islamista. Il clima di guerra, con l’instabilità generale che provoca, ha spinto l’opinione pubblica turca a rintanarsi nel recinto rassicurante del nazionalismo che appare come una forma di protezione di fronte al disordine globale.

Non a caso negli ultimi anni Erdogan ha preso sempre di più le distanze dalla fratellanza musulmana da cui proviene, per incarnare lo spirito kemalista, complici anche i suoi alleati ultranazionalisti del Mhp (che a sorpresa hanno ottenuto un buon 10 per cento alle legislative).

Di conseguenza le relazioni con l’Egitto stanno migliorando, come si può notare dall’avvicinarsi tra i due paesi sul dossier libico.

Tendenze nazionaliste

La tendenza nazionalista si sta generalizzando in tutto il mondo nordafricano e mediorientale. In Tunisia il presidente Kais Saied ha fatto incarcerare Rachid Gannouchi, leader del partito islamista moderato Ennahda e uno dei protagonisti della democrazia tunisina, impostando definitivamente una politica autoritaria con il sostegno dell’esercito.

Com’è noto l’Egitto di al Sisi è già da tempo su questa strada, legittimato da una classe media legata anch’essa alle forze armate. In Algeria il blocco militar-securitario che governa il paese dall’indipendenza, ha reagito duramente al tentativo della società civile di aprire il sistema mentre in Marocco gli islamisti moderati sono stati estromessi dal governo dopo oltre dieci anni di convivenza politica.

Ancor più significativa la virata del principe ereditario saudita Mohammed bin Salman che ha bloccato i finanziamenti all’islam politico (in tutte le sue forme) come anche alla costruzione di moschee nel mondo (segnatamente in Africa), allontanandosi dalla tradizionale alleanza con i religiosi wahabiti mediante diverse riforme interne.

Contro l’occidente

In cambio ha assunto una postura nazionalistica anti-occidentale, chiedendo l’adesione ai Brics (il gruppo formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica) e all’organizzazione di cooperazione di Shanghai (Sco), negando all’alleato storico americano la richiesta di abbassare i prezzi del petrolio e l’adesione alle sanzioni anti russe.

Recentemente l’Arabia Saudita si sta avvicinando all’Iran e alla Turchia con un inatteso giro di valzer diplomatico che trasforma l’assetto geopolitico regionale.

L’identità mediorentale

L’attuale nazionalismo mediorientale – arabo, turco o iraniano che sia – diviene una formula identitaria per reagire al caos geopolitico.

Ma l’allontanamento dall’islam politico non si traduce nell’abbracciare il modello della democrazia occidentale. All’alleanza più o meno marcata con l’islamismo (moderato e non) degli scorsi decenni, si sostituisce un modello autoritario con un’agenda politica e culturale anti-occidentale, in nome dell’interesse nazionale.

Non diversamente reagisce Israele con il recente governo di ultradestra, guidato da Benjamin Netanyahu ma pesantemente influenzato dagli estremisti nazionalisti, che provoca l’allentarsi delle relazioni con gli Stati Uniti

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