29 febbraio e 1 marzo 2024: due date che rappresentano la Russia divisa tra due mondi in uno stato di tensione permanente.

È la Russia dello zar Vladimir Putin con la sua postura revisionista di sfida al mondo occidentale, contro quella del dissidente Aleksej Navalnyj che è morto lottando per un paese più libero e democratico.

La prima Russia è andata in scena nel solito rituale del discorso annuale, durato due ore, del presidente della Federazione russa all’Assemblea federale – le due camere riunite del parlamento –  dove Putin ha sostanzialmente ripetuto la solita narrazione degli anni precedenti: dall’analisi della situazione politico-sociale alla guerra in Ucraina.

Tuttavia, in questa occasione Putin non è stato solo il presidente che descrive lo “stato di salute” della nazione alle diverse autorità presenti, ma è anche il candidato alle prossime elezioni presidenziali del 15-17 marzo che si rivolge all’opinione pubblica.

Come da tradizione, infatti, il discorso è stato trasmesso da tutte le reti televisive e, così, avverrà ancora nelle prossime settimane.

In tale veste, non ha risparmiato promesse di interventi più concreti nella politica sociale come «raddoppiare le detrazioni fiscali per il secondo figlio, aumentare le detrazioni per il terzo e i successivi figli».

Si è, inoltre, vantato del fatto che oggi la Russia è «la più grande economia in Europa e la quinta del mondo», ma ha ribadito che uno dei «fattori di rischio per la crescita economica è la carenza di personale professionalmente preparato».

E per questo motivo, Putin ritiene che «entro il 2028 nell’ambito del progetto Quadri», il governo dovrà predisporre «la formazione di un milione di tecnici specializzati per industrie high-tech».

Luci ed ombre in alcuni settori produttivi della Russia su cui il presidente dichiara di intervenire prontamente, con formule, però, che erano già state presentate nei discorsi precedenti, ma sinora mai implementate.

Retorica di guerra

Ma se il presidente vuole rassicurare e dimostrare di avere il quadro completo della situazione e la consapevolezza di quali strumenti utilizzare per lo sviluppo socio-economico, è con la questione ucraina che Putin intende sfoggiare la sua migliore, ma ormai ripetitiva, retorica di guerra.

Una retorica che è ha sempre posto l’accento sulla guerra alla Nato e all’occidente che vorrebbero una Russia debole e dipendente da altri; una guerra esistenziale in base alla quale vincere in Ucraina significa mantenere in vita “questa” Russia.

Putin non si lascia scappare l’occasione di riprendere la questione dell’intervento Nato in Ucraina, affermata dal presidente francese Emmanuel Macron, per incolpare nuovamente i leader occidentali che stanno avviando una militarizzazione del proprio arsenale bellico e avvicinandosi verso «un conflitto con armi nucleari, quindi all’annientamento della civiltà».

Una dichiarazione percepita come una minaccia, ma che per il Cremlino è una semplice constatazione.

Il messaggio ai presenti in sala, all’opinione pubblica russa e a quella occidentale è chiaro: «Le forze nucleari strategiche della Russia sono in stato di piena prontezza al combattimento, tutto ciò di cui parlai qui, nel 2018 (anno della precedente elezione presidenziale), per questo settore è stato fatto».

Il dissenso

Ma è all’esterno delle mura del Cremlino che si trovano le persone che quotidianamente cercano di sopravvivere economicamente e politicamente alle dure azioni repressive del regime putiniano.

È la Russia dei suoi dissidenti che hanno perso la vita per lottare contro ogni tipo di regime che è mutato nei secoli nella forma, ma non nella sua sostanza.

È la Russia di Oleg Orlov, copresidente della storica associazione Memorial che è stato condannato a due anni e mezzo di carcere per discredito dell’esercito russo e di quella di Sergej Sokolov, direttore del giornale indipendente Novaja Gazeta, condannato a pagare una multa di circa 300 euro per un articolo contro la guerra in Ucraina pubblicato nel dicembre 2023.

Ma è, soprattutto, la Russia di quelle migliaia di persone che, con grande compostezza, hanno sfidato il Cremlino per porgere un saluto al feretro di Navalnyj, ripetendo il suo nome e urlando: "No alla guerra”, “Putin assassino”, “libertà per i prigionieri politici” e “Russia senza Putin”.

Molti analisti ritenevano che il regime putiniano avrebbe posticipato le esequie del blogger russo dopo le elezioni presidenziali per evitare plateali forme di dissenso al regime.

Abbiamo assistito, invece, ad una scelta diversa: nessuna ripresa del funerale da parte dei media, chiusura dell’accesso a Internet nel quartiere e controllo del percorso per evitare assembramenti non previsti dalla legge.

Il dato indiscutibile è che il Cremlino ha desistito e ha consentito la celebrazione della morte di Navalnyj in piena campagna elettorale presidenziale.

È la vittoria della madre di Aleksej, Ludmilla Navalnaya, che ha lottato sino in fondo per garantire a suo figlio una degna sepoltura e celebrazione. Ora vi è un luogo di pellegrinaggio per quella Russia che resiste e si è opposta a Putin. Almeno per un giorno.

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