Negli Stati Uniti, nell’anno delle presidenziali, tutti gli appuntamenti elettorali finiscono al microscopio degli analisti per avere una chiave di lettura sull’andamento dei consensi per i due partiti e per i candidati. Questa volta è toccato agli elettori del terzo distretto dello stato di New York, che dovevano votare per un nuovo deputato al Congresso, dopo che a dicembre il repubblicano George Santos era stato espulso per le numerose bugie sul suo curriculum e per aver usato in modo improprio i fondi della campagna elettorale.

Nonostante queste premesse, pessime per il partito di Trump, il seggio sembrava a rischio. Invece l’ex deputato Tom Suozzi ha vinto facilmente con il 54% dei consensi contro il 46% dell’avversaria Mazi Filip, una neofita della politica di origine etiope e con un passato nelle forze armate israeliane. Filip poteva sembrare un profilo adatto a questa corsa, specie per le difficoltà che hanno i dem riguardo al controllo dei flussi migratori al confine con il Messico.

L’azzardo voluto dai trumpiani è tuttora quello di far saltare qualunque accordo per addebitare qualunque colpa agli avversari, e consolidare l’immagine dell’ex presidente come l’unico possibile solutore del problema. Suozzi però ha saputo ribaltare la tematica in modo radicale: ponendosi come centrista volenteroso di trovare un accordo con i repubblicani per limitare l’arrivo di migranti irregolari.

Non solo: si è posto come un moderato anche sul tema dell’aborto, pressoché ignorato e non ha mai nascosto il suo sostegno a Israele, un asset che gli ha fatto guadagnare consensi in un distretto vinto da Biden nel 2020 ma da un repubblicano due anni dopo. Quindi un perfetto territorio in bilico.

I nuovi equilibri

Peraltro Mazi Pilip, nonostante il background interessante, non è mai stata una candidata in grado di attirare consensi neanche di tipo economico: i dem hanno raccolto 14 milioni di dollari contro gli otto dei repubblicani, che pure avevano l’urgenza di mantenere uno scranno in più per la loro striminzita maggioranza. Adesso, appena ci sarà il giuramento di Suozzi, ci saranno 219 deputati conservatori contro 213 dem.

Basteranno soltanto pochi franchi tiratori per mettere in difficoltà lo speaker Johnson. Va notato che nessuno dei due candidati ha chiesto di avere al proprio fianco né Biden né Trump. Fuori dalla cerchia degli stretti militanti, che pure nelle elezioni speciali compongono gran parte dell’affluenza, i due candidati alla presidenza sono quindi considerati una debolezza e non un punto di forza.

Nonostante la comprensibile gioia dei dem, che vedono una possibilità in più per novembre, non bisogna dimenticare che senz’altro gli scandali dell’ex rappresentante Santos hanno indebolito i repubblicani. E la moderazione di Suozzi ha fatto il resto.

A livello nazionale la posizione trumpizzata dei repubblicani non cambia: a una settimana dal fallimento del primo voto per mettere in stato d’accusa il segretario per la sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas, i deputati di maggioranza alla Camera dei rappresentanti hanno nuovamente presentato la stessa mozione, stavolta con esito positivo grazie al ritorno del deputato Steve Scalise, che nei giorni scorsi si stava curando da un cancro.

Data la fumosità delle accuse (Mayorkas sarebbe colpevole di aver “violato la legge” favorendo i flussi migratori in modi non meglio precisati) difficilmente il Senato a maggioranza dem condannerà l’esponente dell’amministrazione Biden.

In questo modo si terranno i riflettori accesi sulla questione. Il risultato newyorchese pone un dilemma politico: questa linea di totale scontro non è così fruttuosa come pensa l’entourage dell’ex presidente. E la linea di attacco dei candidati presidente contro un Congresso “fannullone” ha dimostrato la sua efficacia già in passato: nel 1948 è stato proprio l’elemento decisivo che ha fatto vincere di misura le elezioni presidenziali a un altro presidente dem impopolare come Harry Truman.

Biden spera di ripetere il medesimo exploit grazie alla testardaggine del suo avversario. Magari cambiando leggermente il tiro e rispolverando un brand di moderazione che è stato molto d’aiuto alla sua passata carriera politica. E che può costituire un messaggio tuttora vincente, specie quando dall’altra parte c’è un candidato molto più estremo anche rispetto a sé stesso, se si fa il paragone con la posizione repubblicana alle elezioni del 2016 e 2020.

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