Durante un incontro con i riservisti il premier israeliano ha ribadito il suo piano di invasione e ha detto che sta cercando sostengo da parte dei paesi vicini per deportare i palestinesi. Raid a Khan Younis, l’Idf: «L’obiettivo era Mohammed Sinwar»
«Nei prossimi giorni entreremo (a Gaza ndr.) con tutte le forze per completare l'operazione. Completare l'operazione significa sottomettere e distruggere Hamas». Entrare nella Striscia per distruggere, questo è il piano che il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha ribadito martedì 13 maggio in un incontro con i riservisti dell’Idf chiamati appositamente per l’invasione via terra annunciata la scorsa settimana.
«Forse Hamas dirà: “Aspetta, vogliamo rilasciare altri 10 (ostaggi ndr.). Bene, portateli. Li prenderemo. E poi entreremo. Ma non ci sarà alcuna situazione in cui fermeremo la guerra», ha aggiunto il premier affermando che anche qualora si arrivasse a una tregua temporanea la guerra non finirà.
Netanyahu ha poi esplicitato il suo piano di deportazione dei palestinesi: «Abbiamo già istituito un organo di governo che permetterà (ai civili ndr.) di uscire, ma il problema principale è questo: abbiamo bisogno di paesi ospitanti disposti ad accoglierli. È su questo che stiamo lavorando in questo momento».
Il premier e il suo gabinetto di guerra proseguono nel loro progetto nonostante le pressioni della comunità internazionale. E martedì, nuovi bombardamenti hanno colpito l’ospedale europeo a Khan Younis nel sud di Gaza. Secondo l’Idf questa volta, l’obiettivo era Mohammed Sinwar fratello del leader ucciso lo scorso ottobre. Nell’attacco, sono stati uccisi almeno 7 civili non è chiara la sorte di Sinwar.
Nella notte tra martedì e mercoledì gli attacchi israeliani, proseguiti anche all’alba, hanno ucciso almeno 65 persone nel nord della Striscia, in particolare nel campo profughi di Jabalia, riporta Al Jazeera.
Trump e Macron
L’offensiva annunciata da Netanyahu arriva nel momento in cui il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, è in viaggio nei paesi del Golfo arabo per firmare accordi commerciali e provare anche a riprendere in mano il dossier relativo alle normalizzazioni delle relazioni tra Arabia Saudita e Israele.
Al Business Forum di Riad ha detto che Washington sta lavorando instancabilmente per portare la pace a Gaza ed è suo «fervido desiderio» che l’Arabia Saudita «si unisca presto agli Accordi di Abramo», ovvero la storica intesa avviata nel 2020 con cui lo stato ebraico ha stabilito relazioni diplomatiche e commerciali con diversi paesi arabi tra cui Emirati Arabi Uniti, Marocco, Bahrein e Kuwait.
A pesare sarà capire lo status futuro della Striscia e, per il momento, le premesse dell’establishment israeliano sono diverse dai piani che hanno in mente i paesi arabi. A partire dalla gestione di Gaza e dal riconoscimento ufficiale dello stato della Palestina su cui ieri è intervenuta nuovamente la Francia. Nei giorni scorsi, il presidente Emmanuel Macron aveva annunciato l’intenzione di riconoscere uno stato palestinese nel mese di giugno.
Dichiarazioni che avevano fatto infuriare i rappresentanti israeliani, tra questi il ministro degli Esteri Gideon Saar che aveva minacciato «misure unilaterali» nei confronti dei paesi che avrebbero fatto questa scelta. Martedì è arrivata la risposta del suo omologo francese Barrot.
«Nessuno detterà la propria posizione alla Francia», ha detto. «Il nostro obiettivo è quello di riunire quanti più paesi possibili che potrebbero riconoscere lo stato della Palestina e altri che potrebbero normalizzare le loro relazioni con Israele, affinché questa decisione, che spetta alla Francia, renda possibile l’esistenza stessa di uno stato della Palestina», ha aggiunto.
La delegazione
Se da una parte proseguono i piani di guerra, dall’altra continua il blocco degli aiuti umanitari più lungo dal 7 ottobre 2023 imposto da Israele. Da oltre due mesi non entra più niente nella Striscia e anche per questo dal 15 al 19 maggio una delegazione italiana composta da parlamentari, europarlamentari, membri delle ong e giornalisti partirà per recarsi al valico di Rafah e documentare l’assedio umanitario.
Durante la missione, la delegazione incontrerà attivisti palestinesi, operatori umanitari, agenzie internazionali e delle Nazioni Unite, per raccogliere testimonianze dirette dai sopravvissuti e da chi da oltre 18 mesi lavora al fianco della popolazione civile, tanto a Gaza quanto in Cisgiordania.
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