Lo Zimbabwe è l’ultimo stato africano ad essersi liberato del giogo coloniale. A differenza di gran parte degli anglofoni e dei francofoni che si sono indipendentizzati negli anni ’60, di quelli lusofoni a metà degli anni ‘70, lo Zimbabwe ha raggiunto la sua piena libertà solo nell’aprile del 1980. L’occasione fu solennemente celebrata con uno storico concerto di Bob Marley al Rufaro Stadium di Salisbury.

Il cantante giamaicano, che suonò per due sere consecutive gratuitamente, dichiarò più tardi che fu l’esperienza più significativa della sua carriera. Da quel momento in poi, lo Zimbabwe finì sotto un nuovo potere, dalle parvenze più democratiche ma dalla sostanza fortemente dittatoriale. Prima premier nel 1980 e poi presidente nel 1987, Roberto Mugabe restò aggrappato al suo scranno dispotico per oltre 37 anni.

Oggi, 23 agosto, a sei anni dal colpo di Stato che detronizzò Mugabe, sei milioni di elettori registrati si recheranno alle urne in Zimbabwe per scegliere il nuovo presidente. Si tratta della nona elezione dall’indipendenza, ma solo la seconda da quando il paese si è affrancato del suo padre padrone. Dal voto dipenderà l’elezione del prossimo capo di stato, del parlamento e dei rappresentanti dei governi locali.

I candidati presidenziali sono vari, ma la vera, unica partita, esattamente come nel 2018, si gioca tra il presidente uscente, l’80enne Emmerson Mnangagwa, leader dello ZANU-PF, lo stesso partito di Mugabe, e il pastore protestante Nelson Chamisa, 45 anni, a capo del Citizens Coalition for Change (Ccc). Il vincitore dovrà trovare risposte ai tanti problemi del paese.

Metà dei 16 milioni di abitanti vive in condizioni di estrema povertà, il cambio dollaro Usa e dollaro zimbabwano è 1 a 6.800, mentre l'inflazione annuale a giugno si è attestata al 175,8 percento. Gli effetti persistenti del Covid-19 e l'invasione russa dell'Ucraina hanno causato un'impennata del costo di grano e fertilizzanti con un gravissimo ricasco su produttori e consumatori.

Nelle elezioni del 2018, Mnangagwa si presentava come l’eroe del colpo di stato del novembre 2017 ed ebbe gioco piuttosto facile nella sfida contro Chamisa. Ma la situazione socio-economica deteriorata, le continue violazioni dei diritti umani e una problematica governance delle infinite ricchezze del paese, mettono in dubbio la riconferma.

Non a caso, nel corso della campagna elettorale, si è assistito a una serie di preoccupanti stratagemmi anti-democratici da parte del “coccodrillo”, come viene soprannominato. «Fin qui – spiega Tinashe Gumbo, un accademico zimbabwano e osservatore alle elezioni – non ci sono stati molti episodi di violenza.

Ma all’opposizione non sono state concesse possibilità di esporre manifesti, alcuni comizi sono stati vietati e, soprattutto, la Zbc, la tv nazionale, non ha mai coperto né ospitato i leader anti-governativi. Inoltre si hanno notizie accertate di continue intimidazioni sugli elettori, specie delle aree rurali, ai quali viene esplicitamente fatto capire che il voto non sarà segreto».

Chamisa, che a differenza di Mnangagwa ha pubblicato un manifesto, ha promesso «una stabilità macroeconomica caratterizzata da un'inflazione a una cifra e da tassi di cambio stabili» oltre alla creazione di 2,5 milioni di posti di lavoro in cinque anni». Dalla sua ha la giovane età, l’aura di paladino dell’anti-corruzione e l’assenza di scheletri nell’armadio (Mnangagwa ha sempre frequentato e ricoperto incarichi con Mugabe, ndr).

Ma a vederla così la sua è una mission impossibile. Per la maggior parte dei cittadini dello Zimbabwe, l'accesso a cure sanitarie, all’istruzione e ai servizi di base di qualità è un miraggio e i giovani continuano a emigrare in massa verso i vicini Sudafrica, Botswana, Zambia e Mozambico.

E pensare che il paese dell’Africa australe, come moltissimi altri in Africa, è ricchissimo di risorse naturali capaci do risollevarne le sue sorti per secoli: lo Zimbabwe, tanto per citare un caso, possiede i più grandi giacimenti di litio dell'Africa ed è il sesto detentore al mondo di questo minerale quanto mai prezioso in questa era.

«Qui la corruzione regna sovrana – riprende Gumbo –. Oltre al litio abbiamo tanto oro, diamanti ma i cittadini zimbabwani non ne beneficiano, i profitti vanno a compagnie e stati esteri (Sudafrica e Cina su tutti, ndr) e a pochi nostri concittadini. Questo sistema alimenta la corruzione e impoverisce un paese ricchissimo».

Ma i zimbabwani, dalla cacciata del despota Robert Mugabe, attendono invano anche che la situazione dei diritti umani e civili, le garanzie di libertà, migliorino. Non sono pochi a sostenere che le cose non siano affatto cambiate o che addirittura siano peggiorate dall’uscita di scena del dittatore. «Non c’è stato alcun cambio», conclude Gumbo.

«Le violazioni continuano o addirittura si intensificano, specie contro esponenti o simpatizzanti dell’opposizione. E, ciò che è peggio, c’è un abuso continuo del potere giudiziario che porta ad arresti senza processo e detenzioni lunghissime o a inosservanze dei diritti in molti campi. Il volto è cambiato, i metodi no».

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