Mark Zuckerberg è sotto assedio. Ma non deve guardarsi soltanto dai nemici esterni e da chi attenta al suo monopolio sui social network. Ora il pericolo arriva dall’interno, dai dirigenti insofferenti della linea padronale e dai dipendenti che sfuggono al suo controllo. Al momento non ci sono prese di posizione esplicite, ed è normale che sia così, visto che esporsi pubblicamente significherebbe essere condannati alle probabili ritorsioni.

Basta però leggere i giornali americani in questi giorni per avere un’idea di quello che sta maturando negli uffici di Facebook. Prima il Wall Street Journal e poi il New York Times hanno rivelato dettagli specifici, e molto delicati, su decisioni aziendali controverse. Lo hanno fatto partendo da fonti interne e basandosi su documenti che sono stati passati ai giornali da chi evidentemente non è allineato al capo.

Facebook ha quasi 60mila dipendenti in tutto il mondo, ma alcuni dettagli potevano essere conosciuti soltanto da poche persone, molto vicine a Zuckerberg. Uno dei grandi capi di big tech sembra stia perdendo il controllo sul suo impero.

Fuga di notizie

Nel racconto che le aziende della Silicon valley fanno di sé stesse una parte importante è sempre dedicata al rapporto stretto fra il capo e i suoi dipendenti. Le grandi aziende tecnologiche si presentano come mondi ideali dove lavorare. Realtà dove si sperimenta la flessibilità più che altrove e dove i dipendenti coltivano il culto agiografico per il proprio capo e la sua visione del mondo.

Anche Facebook non fa eccezione. Per anni Zuckerberg è stato nelle prime posizioni di una classifica sugli amministratori delegati più amati dai loro dipendenti. L’indagine è promossa da Glassdoor, un sito internet che raccoglie le recensioni anonime degli impiegati sui loro superiori. Nel 2019 Zuckerberg godeva della fiducia del 94 per cento dei dipendenti, quest’anno la quota è scesa all’84 per cento. Una percentuale ancora molto alta, ma in netta flessione.

È difficile capire l’attendibilità di queste classifiche ma la tendenza è comunque coerente con quanto è emerso in questi giorni. Il New York Times ha raccontato ieri di un progetto per dare maggiore visibilità nel feed di Facebook ai contenuti che promuovono un’immagine positiva dell’azienda. L’algoritmo verrebbe modificato per mostrare a tutti gli utenti messaggi infiocchettati per magnificare i prodotti dell’azienda. Il progetto è stato approvato lo scorso mese da Zuckerberg in persona dopo che era stato presentato in un incontro riservato a gennaio.

«Diversi dirigenti presenti in quella occasione erano scioccati dalla proposta», scrive il New York Times. È probabile che il progetto di fuga di notizie sia iniziato a maturare in quel momento. In estate la squadra che si occupa di marketing e comunicazione ha condiviso un messaggio in un forum interno, utilizzato dai dipendenti: «Abbiamo solo una richiesta da farvi: per favore non divulgate queste informazioni».

Trasparenza

Facebook rimane oggi di gran lunga il social network più utilizzato. Nel tempo Zuckerberg ha acquistato anche altre piattaforme, come WhatsApp e Instagram, costruendo nei fatti un monopolio sui social network e il controllo su una grassa fetta della pubblicità online.

L’aumento di potere ha coinciso però con una serie di attacchi che ne hanno minato fortemente la reputazione. Dalle accuse per l’uso non neutrale dei dati fino alle responsabilità per la diffusione di notizie false, Facebook ha perso la fama di piattaforma libera, gratuita e uguale per tutti.

In più occasioni Zuckerberg ha tentato di rassicurare gli utenti e gli investitori, promettendo una maggiore trasparenza sul modo in cui funzionano le piattaforme. Intanto, nell’ombra, Facebook ha usato il suo potere per risolvere alcune delle questioni ancora aperte, sempre con un occhio di riguardo per il proprio fondatore.

Ieri si è saputo che l’azienda ha pagato cinque miliardi di dollari alla Federal trade commission, l’antitrust americana, per chiudere lo strascico giudiziario della vicenda Cambridge Analytica. La multa sarebbe stata di 106 milioni di dollari, Facebook ha accettato di pagare una cifra spropositata pur di salvare Zuckerberg da un possibile coinvolgimento personale. Più della trasparenza conta il culto per il capo.

I “Facebook files”

Ed è proprio questo culto che ora sembra sempre più fragile. Nei giorni scorsi il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta a puntate che si basava su una serie di documenti interni, chiamati “Facebook files”. Così si è scoperta l’esistenza di un circolo esclusivo di quasi sei milioni di utenti: personalità e politici che hanno un trattamento di favore e che non devono sottostare alle regole interne di moderazione. Si è anche scoperto che Facebook ha promosso, e poi ignorato, alcune ricerche che hanno dimostrato i possibili effetti negativi sugli adolescenti dell’uso di Instagram.

Nel merito, Facebook si è difesa sostenendo che la ricostruzione del Wall Street Journal sia parziale. Ma il punto vero della questione è un altro: Zuckerberg sembra stia perdendo il controllo della sua creatura. Con il rischio che la fuga di notizie e la diffusione di documenti riservati sia solo all’inizio.

 

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