Le elezioni del 25 settembre in Italia non sono passate inosservate all’estero. Non poteva essere altrimenti, vista la vittoria inequivocabile della coalizione di destra e il successo di Giorgia Meloni. Da tutto il mondo non sono mancate le reazioni per l’affermazione della leader di Fratelli d’Italia, che con ogni probabilità guiderà il prossimo governo.  

In molti casi si è trattato di semplici e diplomatici complimenti per l’esito emerso dalle urne da parte di capi di Stato intenzionati a mantenere buoni rapporti con Roma a prescindere da chi siederà a palazzo Chigi. Alcuni messaggi, invece, sono stati ben più euforici, provenienti soprattutto dagli storici alleati europei della destra italiana che hanno visto in Meloni una possibile sponda sovranista. Ma non sono mancati avvertimenti tutt’altro che cordiali, volti a mandare segnali precisi alla probabile futura presidente del Consiglio italiana. 

La lente di Washington

Nella breve campagna elettorale, la leader della fiamma tricolore ha impegnato gran parte del suo tempo a cercare di rassicurare gli alleati oltreoceano, con varie interviste, sulla propria affidabilità e sul proprio atlantismo. Da Washington sono arrivate dichiarazioni sia nei giorni precedenti del voto che in quelli successivi. Il 22 settembre un funzionario della Casa bianca in occasione dell’Assemblea generale dell’Onu ha ricordato che il presidente americano dovrà parlare subito con il nuovo premier italiano per «prendere la misura della persona» ma che negli Stati Uniti non hanno timore di una situazione drastica e da «fine del mondo».

Poche ore dopo le elezioni, il segretario di Stato americano Antony Blinken si è detto ansioso di lavorare con il prossimo governo dell’Italia, un paese definito «un alleato fondamentale, una democrazia forte e un partner prezioso». Ma già il 28 è arrivato da Washington un messaggio diverso.

Durante un evento di raccolta fondi dei democratici, Joe Biden con la mente già propensa alle midterm di novembre, si è lasciato andare ad affermazioni meno neutrali: «Avete visto cosa è accaduto in Italia nelle elezioni. Vedrete cosa accadrà nel mondo. Non c’è da essere ottimisti neanche qui».

Una frase particolare, quella del presidente 79enne, che ha avuto bisogno di un quasi immediato chiarimento da parte del portavoce della Casa bianca: «Rispettiamo la scelta democratica del popolo italiano. Gli Usa sono pronti e impazienti di lavorare col nuovo governo che emerge dal processo elettorale». La promessa linea atlantista di Meloni, anche se è emersa soprattutto negli ultimi mesi, è apprezzata dagli apparati statunitensi, consapevoli del fatto che molto dipenderà da quanto riuscirà a tenere a bada gli impulsi filorussi interni alla Lega. 

La “nemica” Cina

I tentativi di accreditamento agli occhi di Washington hanno portato Meloni a criticare la Cina in campagna elettorale. Il 23 settembre, a due giorni dal voto, la leader di FdI ha rilasciato un’intervista all’agenzia di stampa taiwanese Central news agency. Un segnale già di per sé simbolico, a cui si sono aggiunte persino accuse dirette nei confronti di Pechino e critiche verso la postura italiana degli scorsi anni. Meloni ha infatti descritto la firma del memorandum con la Cina per la Belt and road initiative, arrivata nel 2019, «un grosso errore» e ha ventilato l’ipotesi di non rinnovare l’intesa tra i due paesi.

Nella stessa intervista, inoltre, Meloni ci ha tenuto a dire come abbia «seguito da vicino con disagio» la situazione a Taiwan, definendo «inaccettabili» le minacce della Cina nei confronti dell’isola. Ha anche sottolineato come «Taiwan sarà una questione fondamentale per l’Italia» se il prossimo governo sarà targato destra e guidato da lei. Dichiarazioni che a Pechino non hanno fatto piacere, tanto che a stretto giro l’ambasciata del Dragone a Roma ha risposto. «Di recente, la parte cinese ha notato alcune osservazioni negative che sfruttano la questione di Taiwan per stimolare un approccio ostile nei confronti della Cina. Di ciò manifestiamo il nostro forte malcontento e la ferma opposizione», ha affermato un portavoce diplomatico.

Una replica netta, anche perché agli occhi di Pechino Taiwan è «una parte inalienabile» della Repubblica popolare e il principio dell’unica Cina «è la premessa politica con cui la Cina stabilisce e sviluppa le relazioni diplomatiche con tutti i paesi, Italia compresa», ha ribadito l’ambasciata. Resta il fatto che negli anni Meloni ha avuto da ridire in più di un’occasione per gli atteggiamenti cinesi, dallo scoppio e la gestione del Covid-19 al nodo di Hong Kong e alle discriminazioni nei confronti degli uiguri. 

Nonostante ciò, il giorno dopo il voto da Pechino è giunto il commento di Wang Wenbin, portavoce del ministero degli Esteri: «Cina e Italia sono partner strategici globali e lo sviluppo sano e stabile delle relazioni bilaterali è nell’interesse di entrambe le parti. Ci auguriamo che il nuovo governo italiano», ha aggiunto il portavoce, «continui ad aderire a una politica positiva e pragmatica nei confronti della Cina».

Il sostegno all’Ucraina

Riguardo il conflitto in Ucraina la posizione di FdI e di Giorgia Meloni è stata chiara: pur rimanendo all’opposizione del governo di Mario Draghi, ha infatti appoggiato il sostegno economico e militare italiano a Kiev. Non è un caso che il 27 settembre il presidente ucraino Volodymyr Zelensky abbia scritto un tweet congratulandosi con Meloni per la vittoria e ribadendo di contare «sulla proficua collaborazione con il governo italiano». Un messaggio a cui la leader di Fratelli d’Italia ha risposto assicurando «il leale supporto per la causa della libertà del popolo ucraino».

I due hanno avuto anche un colloquio telefonico il 4 ottobre, in cui tra l’altro il presidente ucraino ha invitato Meloni a Kiev. Il contenuto della conversazione è stato comunicato nelle rispettive note dei due leader: Zelensky ha ringraziato «per il fermo sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale» dell’Ucraina e ha sottolineato «la necessità» di continuare il sostegno anche «dopo la formazione del nuovo governo». Anche in quest’occasione, Meloni ha ringraziato e promesso di non cambiare linea in politica estera sulla guerra. La probabile prossima presidente del Consiglio dovrà però imporsi su chi, all’interno della coalizione di destra, è invece più dubbioso sull’invio di armi a Kiev e sulle sanzioni alla Federazione russa sia nella Lega che in Forza Italia.

La condanna della Russia

Sia il supporto a Kiev sia la condanna nei confronti di Mosca, almeno in apparenza, non sembrano essere messi in discussione da parte di Meloni. Dopo l’esito delle elezioni, il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha comunque gettato l’amo: «Siamo pronti a dare il benvenuto a qualsiasi forza politica in grado di mostrarsi maggiormente costruttiva nei rapporti con Mosca». 

Ma pochi giorni dopo la leader di FdI ha reso nota la sua opinione sull’annessione forzata da parte della Russia, tramite dei referendum farsa, delle quattro regioni ucraine occupate dalle forze di Mosca: «Non hanno alcun valore giuridico o politico». Meloni ha poi rincarato la dose, attaccando il presidente russo Vladimir Putin che «dimostra ancora una volta la sua visione neo imperialista di stampo sovietico che minaccia la sicurezza dell’intero continente europeo». 

Appaiono lontani i tempi in cui – fin dal 2015 – Meloni stessa chiedeva di togliere le sanzioni occidentali alla Russia. Una richiesta espressa poi nuovamente negli anni successivi quando i provvedimenti erano stati rinnovati. D’altronde era sempre lei che nel 2014 riconosceva il referendum di annessione della Crimea, così come gli alleati della Lega. Una posizione mutata di fatto solo all’inizio del 2022, con l’approssimarsi dell’invasione russa (e delle elezioni).

Gli avvisi dell’Unione europea

A lanciare avvertimenti più o meno preventivi sono stati i rappresentanti dell’Unione europea, consapevoli dell’atteggiamento anti europeista tenuto da Meloni nella sua carriera politica e della sua amicizia con i governi dei paesi membri più ostili a Bruxelles, come quello di Budapest o di Varsavia.

La presidente della Commissione Ue Ursula von der Leyen il 23 settembre ha ricordato che se nelle elezioni in Italia «le cose andranno in una situazione difficile, come nel caso di Polonia e Ungheria», l’Ue ha «gli strumenti» per agire, in particolare sul rispetto dello stato di diritto. 

Affermazioni non apprezzate dalle parti dei quartier generali di FdI e della Lega, ma simili a quelle pronunciate dal commissario europeo alla Giustizia Didier Reynders: «Non è la prima volta che rischiamo di trovarci di fronte a governi con movimenti di estrema sinistra o di estrema destra, non è un fenomeno nuovo e noi reagiremo sulla base delle azioni». «Abbiamo un’ampia gamma di strumenti a nostra disposizione» ha aggiunto Reynders.

Anche sull’Europa la posizione di Meloni è cambiata, dalla volontà di uscire dall’euro a una sorta di continuità con quanto fatto da Draghi nell’ultimo anno e mezzo. Una nuova postura rappresentata in maniera plastica dall’appoggio dato a von der Leyen il 5 ottobre riguardo alle misure da adottare a livello comunitario contro il caro energia. Ma anche nei rapporti con Bruxelles, molto dipenderà dalla sintesi che Meloni compirà con Lega e Forza Italia.

Quest’ultima, in teoria, dovrebbe garantire il lato più moderato ed europeista della compagine. Dall’Europarlamento, però, si sono levate le prime proteste nei confronti del Partito popolare europeo, casa di FI, invitato da più parti a cacciare il gruppo di Silvio Berlusconi in caso di appoggio al governo Meloni. 

Il nervosismo con la Francia

Il paese con cui si sono create più tensioni dopo le elezioni è stata la Francia. Sia la premier Elisabeth Borne che la ministra transalpina degli Affari europei Laurence Boone, all’indomani del successo della coalizione di destra in Italia, hanno infatti lanciato alcuni segnali. A distanza di giorni l’una dall’altra si sono dette pronte a vigilare «sul rispetto dei diritti umani e delle libertà» a sud delle Alpi. A seguito dell’intervista di Boone su Repubblica del 7 ottobre, Meloni non ha tardato a reagire, augurandosi una smentita del governo francese riguardo le parole della ministra «che somigliano troppo a una inaccettabile minaccia di ingerenza contro uno stato sovrano membro dell’Ue».

Secondo Parigi quelle di Boone sono state parole eccessivamente semplificate, e tramite il gabinetto della ministra ha fatto sapere che «la Francia rispetta la scelta democratica degli italiani. La ministra non intende dare lezioni a nessuno» e anzi, «vuole portare avanti il lavoro di cooperazione e dialogare con il futuro esecutivo». A interessarsi alla questione anche Draghi, che dal vertice europeo di Praga di quei giorni ha evidenziato come nelle cancellerie mondiali ci sia «molta curiosità, ma non preoccupazione» riguardo al prossimo governo italiano. Tuttavia, l’attrito ha fatto scomodare persino il Quirinale. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha infatti precisato che «l’Italia sa badare a se stessa nel rispetto della Costituzione e dei valori dell’Unione europea». 

Per cercare di stemperare i toni è intervenuto il presidente francese Emmanuel Macron che ha espresso «piena fiducia nel presidente Mattarella e nelle conclusioni che trarrà dallo scrutinio», sottolineando come Parigi lavorerà «con buona volontà» con chiunque diventerà il prossimo premier in Italia. 

Nel paese transalpino a esultare è stata sicuramente Marine Le Pen che, nonostante una lunga vicinanza alla Lega di Matteo Salvini, ha applaudito la scelta del popolo italiano che «ha deciso di prendere in mano il proprio destino eleggendo un governo patriottico e sovranista», complimentandosi con Meloni e il leghista «per aver resistito alle minacce di un’Ue antidemocratica e arrogante».

La cautela della Santa sede

Il Vaticano è stato tra gli attori internazionali che hanno osservato più da vicino il voto del 25 settembre. La vittoria della destra dentro le mura leonine è stata accolta con una generale cautela, ma in alcuni ambienti con più sorrisi che in altri. Il segretario di Stato Pietro Parolin il 12 ottobre non ha nascosto il suo apprezzamento per «l’avvio serio, almeno nella volontà di andare incontro ai grandissimi problemi del paese» da parte delle forze politiche uscite vincitrici dalle urne. Il cardinale ha comunque fatto intendere che il giudizio è sospeso in attesa delle prime reali azioni. 

La visione conservatrice di FdI, Lega e Forza Italia sulla famiglia tradizionale e per esempio l’opposizione alla cultura Lgbt è ben vista in diversi angoli del Vaticano. Non ha sorpreso, infatti, la visita al cardinale Robert Sarah – tra le voci più critiche di papa Francesco – compiuta da Meloni qualche giorno prima delle elezioni.

In compenso, ad avvisare la probabile nuova coalizione di governo in Italia ci ha pensato il cardinale Michael Czerny, alla guida del dicastero Vaticano per lo Sviluppo umano integrale: «Quando una persona è in difficoltà in mare, si è umanamente e moralmente obbligati ad aiutarla e a non rendere le cose più difficili», ha spiegato Czerny il 29 settembre. Un messaggio in linea con il pensiero del papa e diretto a Salvini e Meloni, che sulla linea dura riguardo le migrazioni hanno improntato parte della loro carriera politica. 

Germania e Regno Unito

Diverse invece le reazioni dagli altri due grandi paesi europei: la Germania e il Regno Unito. Da parte del governo del socialdemocratico Olaf Scholz – spesso attaccato da Meloni – non sono arrivate particolari dichiarazioni né complimenti. Il cancelliere, che aveva ospitato il segretario del Pd Enrico Letta il 19 settembre, è in attesa della formazione ufficiale del governo in Italia. Proprio in quell’occasione il presidente del partito socialdemocratico tedesco Lars Klingbeil aveva avvertito del pericolo di una vittoria dei «post fascisti» in Italia, quindi non è un segreto come la pensino a Berlino. Chi ha gioito, invece, è stato qualche esponente della destra estrema di Alternative für Deutschland. 

Da Londra sono arrivati i complimenti della neo premier Liz Truss, che ha sottolineato anche come il Regno Unito e l’Italia siano «stretti alleati». Del resto anche nel momento dell’elezione a Downing Street il 5 settembre Meloni aveva mandato gli auguri alla conservatrice e si era augurata di «rafforzare la già consolidata collaborazione politica e culturale». Un asse che aveva generato numerosi parallelismi tra la leader italiana e quella britannica, già nel pieno di una profonda crisi interna. 

I festeggiamenti dei conservatori europei

Le forze di destra di tutta Europa hanno festeggiato il risultato del voto italiano. A complimentarsi con Meloni è stato il premier polacco Mateusz Morawiecki e – neanche a dirlo – l’ungherese Viktor Orbán. A rendere particolare omaggio alla leader di FdI è stato il partito spagnolo di ultradestra Vox, guidato da Santiago Abascal. Meloni infatti è stata invitata il 9 ottobre alla kermesse del partito – sulla falsariga di quello in cui ha sfoderato il suo “Io sono Giorgia, sono una madre…” – come la «donna che segnerà la storia italiana». 

Un evento che ha attirato molti leader sovranisti di tutto il mondo, dallo stesso Orbán agli americani Donald Trump e Ted Cruz, passando per il cileno José Antonio Kast e la boliviana Jeanine Anez. Una platea che conferma come di moderato in Meloni ci sia poco.

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