Sono una ventina: uomini, donne, bambini e bambine. Da più di un anno sono imprigionati in mezzo al deserto sahariano, a Socna, una cittadina nella regione del Fezzan, Libia sud-occidentale.

«Vivono in condizioni terribili e le milizie chiedono un riscatto per la loro libertà», dice l’organizzazione Refugees in Libya dopo la segnalazione di una delle vittime della prigionia. «Chiediamo alle autorità libiche di agire il più rapidamente possibile per salvare le persone superstiti».

i racconti dei sopravvissuti

Ancora più a sud, a Sabha, a inizio giugno vengono distrutti alcuni campi profughi sudanesi: in ragione di una presunta «campagna di sicurezza» per, dicono le autorità, ridurre gli assembramenti casuali. Il risultato è di centinaia di famiglie sfollate e donne e bambini senza casa. Non va meglio a nord, a Sabratha, dove violenti scontri alcuni giorni fa permettono la fuga di diversi rifugiati «detenuti illegalmente dalle milizie a scopo di estorsione».

La maggior parte, in particolare le donne, sono state violentate. Un traffico di esseri umani che vede tra i suoi responsabili Ahmed Al-Dabbashi, conosciuto con il soprannome di “Al Ammu”, lo “zio”, ex facchino accusato (da anni) di torture, violenze e omicidi nella città costiera. La scorsa settimana il ministero dell’Interno del Governo libico di unità nazionale ha emesso un ordine di cattura contro di lui. Il mandato di arresto, scrive The Libya Observer, arriva dopo la diffusione di un video in cui si vede Ammo mentre interroga una ragazza con una catena al collo e segni di tortura sul volto. La ragazza sarebbe poi morta - e Ammo risulta latitante.

«Quasi ogni giorno riceviamo segnalazioni dalle persone rifugiate che vivono clandestinamente in Libia - ma anche in Tunisia», racconta a Domani Mahamat Daoud di Refugees in Libya. Anche Mahamat viene dal Sudan e dalla guerra: dopo essere passato a sua volta dall’inferno libico, ora vive in Italia. Nell’ottobre 2021, dopo i raid di polizia ed esercito a Gargaresh, in Tripolitania, partecipa alle proteste di fronte all'Unhcr a Tripoli, «in cerca di protezione e rispetto dei nostri diritti umani».

Una protesta di 100 giorni che autorità e milizie libiche reprimono con violenza portando poi i rifugiati nei lager controllati da Najeem Osema Almasri Habish. Proprio lui, il trafficante e torturatore di Mitiga, arrestato a gennaio a Torino su mandato della Corte penale internazionale - perché accusato di crimini contro l’umanità - immediatamente rilasciato e riportato a Tripoli su un aereo italiano.

A maggio la Libia - secondo alcune analisi nell’ambito di un regolamento di conti tra il capo del governo internazionalmente riconosciuto, Abdul Hamid Dbeibah, e il gruppo di milizie rivale (di cui Almasri fa parte) - ha accettato di riconoscere la Corte penale internazionale. E il procuratore capo ha chiesto di arrestare (di nuovo) e consegnare il capo della polizia giudiziaria.

La campagna per cancellare Il memorandum

Tra i video sul sito di Refugees ci sono le immagini di Paolo Gentiloni, allora presidente del Consiglio, che firma il 2 febbraio 2017 con Fayez Mustafa Serraj, presidente del Consiglio Presidenziale libico, l’ormai famoso memorandum Italia-Libia per «combattere l’immigrazione illegale». Ora, per la Giornata mondiale del rifugiato, Refugees in Libya lancia, con Amnesty International Italia, il Tavolo asilo e immigrazione, le organizzazioni del soccorso in mare e altre realtà della società civile, una campagna per chiederne la cancellazione.

«Rifugiati e richiedenti asilo cercano di fuggire attraversando il Mediterraneo, ma vengono riportati a terra dalla cosiddetta Guardia costiera libica finanziata da Ue e Italia e rinchiusi in centri dove subiscono stupri, torture, estorsione» dice Mahamat Daoud. «Abbiamo ricevuto molte testimonianze di torture e morte da un posto che chiamano “prigione di Almasri”. Sì, porta il suo nome» spiega. «Lì ci sono donne, bambini e bambine».

«Se entro il 2 novembre il governo non interverrà per modifiche o abrogazione l’accordo si rinnoverà automaticamente - per la terza volta - dal 2 febbraio 2026», spiega a Domani Serena Chiodo, coordinatrice campagne di Amnesty International Italia. «Il Tavolo asilo e immigrazione ha già realizzato una campagna contro il memorandum nel 2022. Vogliamo tornare a occupare lo spazio pubblico, farci vedere in piazza. Ormai non si parla quasi più della necessità di tutelare il diritto delle persone a richiedere protezione, ma solo di protezione dei confini».

Il governo «vuole farci credere che i criminali sono le persone in fuga o la società civile», aggiunge Bianca Benvenuti di SOS Méditerranée. «Ma i veri criminali sono quelli che non sono ancora stati consegnati alla giustizia. Per noi della flotta civile è una grande speranza portare avanti questa lotta con chi è sopravvissuto ai lager libici».

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