Da qualche anno sembrava che l’onda delle vittoria ascrivibili alla destra populista fosse finita.
Invece dall’Argentina è arrivata una speranza che si riverbera anche negli Stati Uniti: la vittoria del neoliberista radicale Javier Milei al ballottaggio delle presidenziali con il 55 per cento contro il peronista di sinistra Sergio Massa è stata vista nella parte settentrionale del continente americano come il segno che ben presto Donald Trump, attualmente un candidato alle presidenziali americane del 2024 con posizione più radicali rispetto al 2016, tornerà al potere in modo simile. E i sondaggi, anche quelli vicini ai dem, sembrano dare ragione a questa idea.

L’ex presidente, infatti, non ha tardato a congratularsi con Milei dicendo che sicuramente «farà grande nuovamente l’Argentina». Insieme a lui ci sono vari leader di partiti di estrema destra, come lo spagnolo Santiago Abascal di Vox, l’ex presidente brasiliano Jair Bolsonaro e anche Elon Musk, proprietario di X (l’ex Twitter), ha detto «è in arrivo la prosperità in Argentina».
Eppure, questa sorta di comunanza internazionale tra leader che, chi più chi meno (non sono mancate nemmeno le congratulazioni di Viktor Orbán) si possono definire sovranisti, non si spiega senza capire chi sia il personaggio che collega tutti questi puntini.

Il collegamento

Se facessimo una sorta di diagramma di collegamento, al centro di tutti queste personalità ci sarebbe quella debordante dell’ex giornalista televisivo di Fox News Tucker Carlson, dallo scorso aprile conduttore di uno show a suo dire “senza censure” che viene trasmesso proprio sulla piattaforma X.
All’interno di questo programma, che è probabilmente il contenuto video più visto su un social che era nato per dare rilievo alla parola scritta, ancora meglio se messa giù in modalità ermetica, Carlson ha ospitato anche Milei lo scorso 15 settembre, dandogli uno spazio a tutto campo per capire il suo programma di riforme radicali che prevedono l’abolizione della Banca Centrale (uno dei punti forti di uno storico esponente libertario americano, l’ex deputato del Texas Ron Paul, padre dell’attuale senatore del Kentucky Rand, grande sostenitore del trumpismo), una forte limitazione del diritto di aborto e un taglio drastico alla spesa pubblica per rilanciare un’economia in forte difficoltà e piegata da un’inflazione altissima.

All’interno dell’intervista, Milei attaccava anche l’impatto antropico sul cambiamento climatico, ritenuto una “bufala”, ma anche “l’agenda Lgbt+” e persino il messaggio sociale di papa Francesco e della chiesa cattolica.

Quello che in sintesi Carlson definisce “la politica della giustizia sociale” a cui lui dà un connotato nefasto, ritenendola parte di “un’agenda socialista globale” a cui contrapporne una di natura nazional-conservatrice. Anche per questo Milei è diventato un soggetto fondamentale di una costellazione di leader di destra che Carlson ritiene possa aiutare anche Donald Trump.
C’è però un punto piuttosto estremo che ricorre nel discorso di Carlson: le figure politiche che lui intervista, che comprendono il già citato premier ungherese Orbán, il presidente del Salvador Naguib Bukele e l’esponente del partito polacco Diritto e Giustizia Dominik Tarczynski, credono nella teoria della “sostituzione etnica”, ovverosia che ci sarebbe un complotto mondiale, forse guidato dal miliardario di origine ungherese George Soros, noto sostenitore di cause progressiste in America e all’estero, per rimpiazzare la popolazione bianca a livello mondiale, ipotesi senza alcun fondamento che ricorda un’altra narrazione complottista riguardante il piano Kalergi, più antica e dai tratti più esplicitamente antisemiti.

Nuove Americhe

Nonostante Carlson abbia perso gran parte dell’influenza che aveva quando conduceva il programma Tucker Carlson Tonight alle otto di sera nei giorni feriali, può contare sul fatto che lo stesso Elon Musk condivida gran parte delle sue idee di estrema destra e non abbia mancato di rilanciare l’intervista a Milei definendola «molto interessante».

Anche se a livello prettamente elettorale quest’ospitata internazionale ha avuto un’importanza marginale, in questi mesi il futuro presidente argentino è diventato l’ultimo tassello di una tela pazientemente tessuta da Carlson per creare un network di alleati potenziali per la prossima America guidata da Donald Trump, dove l’ex presidente dovrebbe guidare un’alleanza informale libera dai lacci di ferrovecchi novecenteschi come la Nato, in un rapporto impari che ricorda quello intrattenuto proprio dagli Stati Uniti a cavallo tra Otto e Novecento nei confronti dei paesi dell’America Latina. Forse è proprio quella “L’America nuovamente grande” a cui l’ex presidente ha fatto riferimento in tutti questi anni e della quale il neopresidente argentino sarà un ottimo alleato.

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