Il calcio non è solo uno sport, ma un vero e proprio strumento di soft power utilizzato da stati, nazioni senza stato e gruppi di interesse. Uno strumento geopolitico, utilizzato dalle potenze economiche e politiche, ed esso stesso un attore geopolitico globale.

In un mondo in cui le potenze economiche dettano le proprie condizioni agli stati e alla politica, il calcio, essendo un grande business, domina il mondo. Con un giro d’affari di 28,4 miliardi di euro. La Premier league comanda la classifica con 5,4 miliardi di valore complessivo. Il calcio italiano genera invece 4,7 miliardi; il 12 per cento del Pil del calcio mondiale viene prodotto nel nostro paese: offre lavoro a 40mila persone e il contributo fiscale è di 1,2 miliardi. I “big five”, i cinque campionati europei principali – in ordine di grandezza: quello inglese, tedesco, spagnolo, italiano e francese –, hanno prodotto un fatturato record di € 15,6 miliardi nel 2017/2018, con un aumento del 6 per cento rispetto all’anno precedente.

In tempi in cui trovare pochi milioni per potenziare la scuola o la sanità è sempre più difficile, l’economia del calcio surclassa quella di molti stati sovrani. Il calcio muove interessi, fa battere i cuori: è più diffuso delle principali religioni monoteistiche e della democrazia liberale. I telespettatori complessivi degli ultimi mondiali sono pari a 3.572 miliardi, più della metà della popolazione mondiale di età pari o superiore a quattro anni.

Il calcio, infine, non è solo strumento geopolitico degli stati. È autonomo soggetto geopolitico.

Proiezioni geopolitiche

La Fifa, ad esempio, è un attore paragonabile all’Onu. Anzi, con 211 federazioni nazionali organizzate in sei confederazioni continentali, possiede più membri delle Nazioni unite, che si ferma a 193.

Gli stati utilizzano il calcio per affermare la propria esistenza: l’Uruguay, nato come stato cuscinetto fra Argentina e Brasile, ha organizzato e vinto il primo Mondiale nell’anno del suo centenario. Mussolini ha organizzato il secondo Mondiale per mostrare al mondo i risultati del regime fascista.

Gli stati utilizzano il calcio per proiettarsi geopoliticamente: il Mondiale in Giappone e Corea del sud è servito per far emergere la centralità del Pacifico, rispetto ai vecchi assetti atlantici; Brasile, Sud Africa e Russia – economie emergenti del cosiddetto gruppo dei Brics –, hanno organizzato gli ultimi mondiali per mostrare al mondo il proprio nuovo status. Con il Qatar, si afferma il protagonismo dei paesi del Golfo e, soprattutto, l’Islam politico, rappresentato proprio dal piccolo emirato e dalla Turchia, dove governano forze vicine ai Fratelli musulmani. 

Non sono solo gli stati a utilizzare geopoliticamente il calcio. Ma anche le nazioni senza stato. È il caso delle nazionali di Catalogna, Padania, Gibilterra. La Palestina, semplice osservatore presso l’Onu, è membro a tutti gli effetti della Fifa, dove siedono anche Macao e Hong Kong, inglobate dalla Cina secondo il principio “un paese due sistemi”; la Fifa ha concesso una nazionale perfino a Taiwan, la cui indipendenza e sovranità non è stata mai riconosciuta da Pechino. Scozia, Galles e Irlanda del Nord, pur non esistendo più politicamente, inglobate nel Regno Unito, “rivivono” nel pallone.

Tra Atlantico e Pacifico

Ovviamente, l’economia utilizza il calcio, come sempre più spesso avviene nell’èra della globalizzazione, in modo indipendente rispetto agli stati. Gli stati-nazione, dotati di territorio e confini, vivono un momento di stanca, superati da un capitalismo de-territorializzato e senza confini, la cui sovranità finanziaria ingloba ed erode la sovranità statuale novecentesca. La classica contrapposizione geopolitica, teorizzata dai padri di questa disciplina, l’inglese sir Halford John Mackinder e il tedesco Karl Haushofer, tra potenze marittime e terrestri, rivive nel pallone.

Le talassocrazie atlantiche dei fondi finanziari angloamericani si contrappongono alla tellurica Bundesliga. Da una parte, un’area omogenea, perché coabitano gli Usa e il Regno Unito: si pensi alla Premier league, dominata da colossi sportivi di proprietà di fondi statunitensi; il Liverpool rilevato dal gruppo Fenway, proprietario della squadra di basket Nba dei Boston Celtics; il Manchester United dei Glazer, proprietari della squadra di football americano Tampa Bay Buccaneers o l’Arsenal della Kroenke Sports Enterprises, che raggruppa diverse squadre professionistiche di basket, football americano e baseball. Dall’altra, il Bayern, che rispecchia il capitalismo renano. Società nelle mani degli azionisti-tifosi, nel board siedono i rappresentanti di grandi corporation tedesche e persino l’ex segretario della Csu e governatore della Baviera Edmund Stoiber.

Ma, come sintetizzato dal geografo Parag Khanna, lo scontro oggi non è più tanto fra talassocrazie e forze continentali, ma tra due potenze marittime: quella atlantica e quella pacifica; gli Usa e la Cina.

Gli Usa, oltre a investire nel calcio inglese, spendono sempre di più in patria. Dopo aver organizzato un mondiale nel 1994, puntano a organizzarne un altro nel 2026. Il Mondiale “Nafta”, l’area di libero scambio nordamericana, con Canada e Messico.

La Cina non sta a guardare. Pechino risponde con la proprietà di Milan e Inter, in attesa di giocarsi addirittura la vittoria alla Coppa del mondo. Non è fantascienza, ma è quanto viene riportato nel Piano di sviluppo di medio e lungo termine del calcio cinese (2016-2050) che, secondo le dichiarazioni di Xi Jinping, anch’egli tifoso, dovrebbe culminare nell’organizzazione del Mondiale e nella vittoria cinese entro il 2050; nel 2025, il giro d’affari del campionato cinese, raggiungerà un valore complessivo pari a 740 miliardi di dollari; più di Premier, Bundesliga, Liga e Serie A messe insieme. D’altronde, di tutti i 1,6 miliardi di tifosi del mondo, 300 milioni sono in Cina. Il Real Madrid ha 127 milioni di fan in Cina, il Manchester United 107 milioni, l’Inter e il Milan ne hanno entrambi 106; più di quanti ne abbiano nei loro paesi d’origine.

La strategia russa e dei paesi del Golfo

Altrettanto importanti sono le strategie di Russia e paesi del Golfo. I successi calcistici che dovevano suggellare la proiezione geopolitica della Russia avvengono fra il 2007 e il 2009: con le vittorie in Europa league prima dello Zenit di San Pietroburgo, poi dello Shakhtar Donetsk.

La prima squadra appartiene a Gazprom, il gigante dell’energia di stato. Lo Shakhtar è la squadra del Donbass, di proprietà di Rinat Akhmetov, miliardario del gas e dell’energia legato a Vladimir Putin, ex deputato del Partito delle regioni, gruppo politico secessionista che ha sempre ribadito come Kiev dovesse guardare a Mosca.
La Russia, d’altronde, con i suoi oligarchi, legati alla rete di potere di Putin, investe nel pallone a livello globale: a iniziare dal Chelsea di Abramovich e di Mourinho e del Monaco di Dmitry Rybolovlev.

Gazprom, in modo particolare, è player geostrategico di grande importanza, capace di perseguire una propria geopolitica, anche nel calcio. Era fra i partner dell’Uefa, prima della guerra in Ucraina, e sponsor di due altre squadre, oltre allo Zenit, fondamentali per Mosca. La Stella rossa di Belgrado, nella Serbia bastione russo nei Balcani, e lo Schalke 04, squadra tedesca di Gelsenkirchen, nella renania settentrionale-vestfalia. La squadra di Gerhard Schroeder, ex cancelliere tedesco e presidente di Nord Stream, il famigerato gasdotto russo che terminava proprio nella regione dello Schalke.

Altrettanto interessante è la strategia dei paesi del Golfo. Qui si contrappongono il Qatar, con il Paris Saint Germain; gli Emirati, con il controllo del Manchester City e dell’Arsenal, di proprietà del ceo di Emirates, Ahmed bin Saeed Al Maktoum; l’Arabia Saudita, che ha ospitato la Supercoppa italiana a Jeddah, e che oggi sbarca nella Premier con la proprietà dello Sheffield Utd. Infine, l’Egitto, con l’Aston Villa di Nassef Sawiris.

Insomma, nell’epoca delle guerre senza limiti e non convenzionali, il calcio è molto più di un gioco.


Il presente testo è una rielaborazione della introduzione di Calcio e geopolitica. Come e perché i paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici, di Narcís Pallarès-Domènech, Alessio Postiglione e  Valerio Mancini (Edizioni Mondo Nuovo, 2021). Il libro ha vinto la menzione speciale del 56esimo Concorso letterario del Coni.

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